08 febbraio 2025
All’avvicinarsi di questa giornata così significativa, qui alla Scala, con voi tutti riuniti assieme a noi attorno al nostro FAI che compie 50 anni, ho lungamente esplorato il mio animo alla ricerca di un sentimento che fosse prevalente perché, più degli altri, potesse esprimere, rappresentare e in un certo senso contenere al meglio tutta la variegata massa di accadimenti dei quali sono stato spettatore e protagonista nei miei quasi 40 anni vissuti col FAI.
Dopo un lungo e devo dire divertente scrutinio (quasi io fossi un estraneo rispetto a me stesso) prima sul podio è salita la gratitudine. Ed è di questa che oggi vi parlo. Delle Gratitudini!
Un approccio frettoloso potrebbe attribuire un significato simile se non addirittura uguale ai concetti di riconoscenza e gratitudine; ma non è così perché la gratitudine, rispetto alla riconoscenza, non solamente la contiene ma le aggiunge quella dimensione di affettività che ne esalta il valore.
Ha sempre fatto intimamente parte della visione del FAI di Giulia Maria Crespi e di Renato Bazzoni ed è entrata profondamente nelle mie viscere l’unire coloro che concretamente e più o meno stabilmente contribuiscono al progresso del FAI con un legame il più possibile simile a quello che caratterizza una famiglia. Non già la famiglia unita da rapporti di sangue bensì – come nel nostro caso – quella che unisce individui che presentano caratteristiche analoghe (come nel mondo della botanica…) o che hanno e sentono tra loro un vincolo comune. Vincolo, si badi!, non già inteso come limitazione ma come obbligo di natura morale che, con diverse declinazioni e diversa intensità, lega, unisce e accomuna persone tra loro diverse per provenienza, età e cultura che decidono di lavorare assieme per una qualsivoglia causa rivolta al Bene comune; sia come scelta professionale che a livello di volontariato.
I primi in assoluto ai quali va la nostra gratitudine, nostra di noi tutti qui in sala e nostra come italiani, sono ovviamente “quei due”: Renato Bazzoni e Giulia Maria Crespi che con il grande avvocato Alberto Predieri e Franco Russoli, Direttore della Pinacoteca di Brera, firmarono il 28 aprile 1975 la nascita del FAI.
Renato concepì il FAI, lo inventò; Giulia Maria gli diede la vita; amici e solidali, per anni compagni di fede e battaglie in Italia Nostra, uniti da una reciproca grande stima e in un rapporto dialettico tempestoso e vitale diedero alla loro creatura l’uno, da profeta della tutela, i contenuti per avere un ruolo nel Paese; l’altra da imprenditrice sui generis (ma il sangue era quello!) gli strumenti e i mezzi per stare in piedi; entrambi con il coraggio generoso, un po’ incosciente e certamente visionario per creare dal nulla un’impresa del genere.
Il coraggio di affrontare un obiettivo apparentemente troppo ambizioso divertiva immensamente Giulia Maria; le piaceva sfidare mondo e destino e ripeteva sempre che quanto più una sfida appare ardua, tanto più è divertente affrontarla e possibile vincerla perché nessuna forza sarà risparmiata perché abbia successo. E così è stato. È una delle grandi lezioni che è bene che il FAI non dimentichi! Senza ogni tanto una certa dose di incoscienza, di imprudenza e a volte anche di temerarietà, senza confidare in quel “Dio del FAI” che Bazzoni sempre citava come il grande facilitatore delle nostre imprese più ardue… il FAI non ce l’avrebbe fatta!
Fatene, con giudizio, tesoro voi nuove generazioni che avrete la fortuna e la ventura di gestire il FAI e di contribuire alla sua crescita nei prossimi 50 anni!
Pensate solo alla sfida di affrontare senza soldi, né un capitale alle spalle i restauri dell’Abbazia di San Fruttuoso o quella ancor più folle di comprare il Castello di Masino col suo fardello di abbandono dai tetti fatiscenti alle migliaia di pezzi di arredo divorati dai tarli…; ma si doveva fare e si fece! Senza quelle incoscienze – che trovarono anche ragione nella generosità personale di Giulia Maria – sarebbero mancate quelle pietre angolari sulle quali costruire la credibilità iniziale del FAI. Giulia Maria mise anche le basi di quella formidabile rete di sostenitori del FAI che, aziende o privati che fossero, credettero nella Fondazione finanziandola quando era ancora una scommessa e che da allora non ci hanno abbandonato e, anzi, sono cresciuti per numero e generosa partecipazione; a loro, molti dei quali sono diventati veri amici e sono qui con noi stamattina, l’eterna gratitudine nostra e del FAI tutto!
Si deve invece a Bazzoni l’impostazione della rete territoriale delle Delegazioni, prima fra le quali quella di Milano istituita quasi contemporaneamente alla nascita e affidata alla mai dimenticata Maria Viganoni, detta Mariuccia; una forza della natura, quella che a Milano si definiva “una milanesona” che fu l’alfiere di quello che è oggi l’imponente sistema vascolare del FAI che in tre decenni di costante crescita ha portato la presenza civile, la proposta culturale e la concretezza operativa del FAI in tutte le province italiane; e qui un altro vincolo (sempre inteso come obbligo di natura morale) per i prossimi 50 anni!
Il rammentare sempre che è l’unione a far la forza; ma non solo l’unione delle forze fisiche bensì soprattutto quella delle varie anime di un organismo!
Il successo e il progresso della missione del FAI trae e continuerà a trarre forza, vigore e incisività se le sue due anime continueranno a integrarsi, a stimolarsi e a completarsi a vicenda: l’anima professionale incarnata dai dipendenti ai quali, dal restauro all’amministrazione fino alla raccolta fondi, è affidata la cura dell’essenza stessa del FAI: I BENI (lo dico sempre: una Fondazione È il suo patrimonio; dunque il FAI È i suoi Beni) e l’altra anima, quella calda, passionale e civile dei volontari, di quelle migliaia di italiani giovani e meno giovani, delegati e non delegati che con ingegno e sacrificio personale hanno dato vene, sangue, braccia, gambe, muscoli e soprattutto testa e cuore al FAI perché potesse diventare una realtà in ogni regione, in quasi ogni città ma anche e sempre di più in quelle aree interne del nostro Paese che fanno spesso molta fatica a intravedere un futuro e che gridano a noi che viviamo nei grandi centri la loro voglia di continuare a essere parte viva e integrante del nostro Paese come lo sono state nel passato.
A voi, dunque, carissime e carissimi Presidenti Regionali, Delegate e Delegati, a voi volontari la speciale e appassionata gratitudine di noi tutti e anche, ne sono certo, di quei 15 milioni di italiani (vi rendete conto?) ai quali avete spalancato occhi e bocche nelle 45 edizioni delle nostre Giornate FAI, tra Primavera e Autunno e di quegli oltre 500 mila studenti ai quali avete dato la possibilità di raccontare agli adulti le meraviglie delle vostre contrade, così facendone certamente dei convinti paladini per le loro future sorti. Grazie!
Qualcuno avrà forse un poco sussultato poco fa quando ho raccomandato al FAI del futuro di non perdere quella indispensabile dose di incoscienza e financo di temerarietà – potremmo meno pericolosamente chiamarla fantasia – che la nostra Fondazione ha nel suo DNA se non vuole veder azzoppato l’estro e l’originalità che sono una delle sue più speciali caratteristiche; ma se oggi posso raccomandare con avvedutezza questo po’ di dissennatezza è perché il FAI è finalmente saldo sulle sue gambe dopo che i frutti di tanti anni di lavoro ci hanno portati ad avere già da qualche anno una gestione con marginalità positiva, a creare finalmente un patrimonio da destinare a endowment che viene costantemente incrementato da lasciti ed eredità e, forse il più grande successo, a coprire i costi della gestione caratteristica dei Beni con i ricavi stessi dei Beni; un processo lungo, faticoso e fondamentale iniziato con determinazione e coraggio da Ilaria Borletti quando Giulia Maria decise di passarle il testimone; Ilaria arrivò al FAI con un suo amico che presto divenne anche nostro: l’indimenticato e indimenticabile Angelo Maramai. E da lì le fragili fondamenta iniziarono a consolidarsi.
Il lavoro quotidiano e paziente di Angelo continuò con la presidenza di Andrea Carandini, il quale appena nominato, nel 2013 mi disse «Marco perché non torniamo a far visita al National Trust? avremo certamente qualcos’altro da imparare»; mai sottovalutare il ruolo dei grandi maestri! Tutto sta nel desiderarli, nell’ascoltarli con umiltà e nell’affidarsi a quelli giusti…
Andammo a Londra dove più volte ero stato con Giulia Maria (ricordo sempre quando l’allampanato e inglesissimo Director General Martin Drury ci disse, nel salutarci – erano gli anni ’90 – «and always remember: ask, ask and ask again»… insegnamento mai dimenticato che passo a voi, FAI dei futuri 50 anni! Chiedete, chiedete, chiedete! Non abbiate mai vergogna di chiedere; non chiedete per voi, ma per il Bene comune!) e così con Andrea incontrammo Dame Fiona Reynolds la straordinaria e combattiva Director General del National Trust in quel momento. Ci invaghimmo della sua determinazione e Andrea senza indugio la invitò a Milano dove in tre memorabili giornate di lavoro anche con tutta la struttura, fervida di idee e consigli com’era, ci aiutò a fare un nuovo passo per dare stabilità al FAI del futuro (che è poi quello di oggi): ne uscì il primo piano strategico novennale del FAI; da lì con le idee ancor più chiare sulle mete e sui risultati che avremmo dovuto raggiungere completammo l’opera iniziata da Ilaria; poi Angelo, in silenzio se ne andò tra il rimpianto di chiunque lo conobbe ed ebbe la gioia di lavorare con lui.
A Ilaria, Andrea e Angelo, la nostra e l’altrui appassionata gratitudine per essere stati, con i loro diversi talenti, i protagonisti della prima età matura del FAI dopo quella più scomposta della sua vivace adolescenza.
Oggi la fermezza e la cura del dettaglio in ogni andito della nostra organizzazione e delle nostre finanze sono i cavalli di battaglia di Davide Usai; ed è grazie a questa raggiunta e consolidata solidità che il FAI può ora guardare con ragionata fiducia e con sempre indispensabile intraprendenza ai prossimi 50 anni.
Lo dico sempre e lo ripeto: il FAI è condannato a crescere, non per il Bene suo ma per quello del Paese; non una condanna da poco… che quest’anno, per festeggiare i 50 anni si incarna addirittura nella inaugurazione e apertura al pubblico di cinque nuovi Beni! È il nostro modo di sottolineare che questo è il nostro lavoro, questo il nostro sevizio al Paese.
Dunque: aprile 2025, Podere Case Lovara, Punta Mesco, Parco Nazionale delle Cinque Terre con la sua storia di agricoltura eroica; maggio 2025, Villa Rezzola, Lerici, il più bel giardino inglese della Riviera di Levante; giugno 2025 solo le prime stanze del Casino Mollo, Riserva dei Giganti della Sila, Spezzano della Sila; settembre 2025, Alpeggio Monte Fontana Secca, Massiccio del Grappa, Setteville, Belluno; novembre 2025, Case Montana nel Giardino della Kolymbethra, Valle dei Templi, Agrigento, Capitale italiana della Cultura 2025.
Siamo matti? Forse: qualcuno ci dà addirittura degli indemoniati!
A Carandini il FAI deve anche quello stimolo a una ricerca sempre più profonda, quella tipica dell’archeologo che divorato dall’ansia di sapere scava nelle viscere della terra e ne trae un sapere da condividere; dalla sua costola, come Eva da Adamo, è uscita Daniela Bruno oggi, dopo una modifica a me molto cara del nostro Statuto, Direttrice Culturale del FAI. Ancora una volta le due anime! Le due componenti generatrici – quella imprenditoriale e quella culturale – assieme nella diversità dei ruoli e delle competenze per il futuro di una Fondazione che al contempo è a tutti gli effetti un’impresa da ormai 50 milioni di fatturato l’anno e a tutti gli effetti una istituzione culturale che sempre di più imposta sullo studio e sulla ricerca la sua missione educativa, motivo stesso della sua esistenza come ben recita l’articolo 2 dello Statuto:
«Scopo esclusivo della Fondazione è l’educazione e l’istruzione della collettività alla difesa dell’ambiente e del patrimonio artistico e monumentale italiano».
E grande, sempre più grande sarà l’impegno del FAI per dimostrare che la sfida al grande e terribile tema del riscaldamento climatico è la madre di tutte le battaglie; come sempre lo faremo anche e soprattutto attraverso i nostri Beni dove energie rinnovabili e risparmio idrico continueranno a essere al centro dei prossimi interventi; per dimostrare che si deve e che si può!
Alle appassionate competenze di Davide Usai e Daniela Bruno si sommano quelle sempre più varie e specifiche di una squadra incisiva e vigorosa in ogni campo dell’agire, devota alla missione e unita da quel legame familiare che tanto mi sta a cuore e che ha consentito di raggiungere risultati prestigiosi; a tutti ma proprio a tutti, da chi raccoglie fondi a chi incrementa le iscrizioni, da chi pota le siepi a chi accoglie col sorriso i visitatori nei Beni, da chi imposta e segue i restauri a chi assicura quella manutenzione quotidiana, costante e maniacale che è il faticoso segreto (forse di Pulcinella ma tuttora sconosciuto ai più) per assicurare un futuro certo a edifici e natura, a tutti ma proprio a tutti la nostra gratitudine! Così come, ma ancora prima, il grazie dovuto al Consiglio di Amministrazione che vigila con partecipe attenzione sulle attività della Fondazione, al Comitato Esecutivo e in particolare ai Vicepresidenti Borletti, Valeri e Rivolta e al Comitato dei Garanti e Piergaetano Marchetti suo illustre Presidente.
Questo mio excursus sulle gratitudini trova infine il suo compimento incarnandosi nel cuore stesso del nostro FAI: i suoi Beni. E nel giungere (questa è davvero una riflessione personale!) a questa ultima parte della mia introduzione ai lavori di oggi mi sono nuovamente interrogato se devo maggior gratitudine a coloro che hanno affidato al FAI la loro proprietà – sia essa una casa o un bene naturale – e con essa parte della loro storia e dei loro affetti o se ne devo ancor più ai Beni stessi che in questi 40 anni mi hanno donato così tanti indimenticabili ed esuberanti momenti di ebbrezza, di provocante e a volte devastante curiosità, di rinfocolamento (si dice?) del desiderio di conoscenza e, in definitiva, di totale divertimento interiore; e anche quella meravigliosa sensazione che certamente anima il medico quando sconfigge la malattia del suo paziente e cioè una specie di furia indagatrice all’inizio viscerale e poi man mano razionalizzata alla luce delle conoscenze acquisite dallo studio e dall’esperienza… una sorta di iperattività immaginativa per figurarsi come potrà essere quel sito dopo l’eventuale cura del FAI, come e quanti visitatori potrebbe accogliere e soprattutto cosa potrebbe raccontare loro per emozionarli e avvicinarli così a un pezzo di storia del loro Paese…; in quei miei primi sopralluoghi il passo nervoso ha sempre seguito a fatica l’occhio bulimico che con movimenti quasi isterici corre or qui or lì alla ricerca di sorprese e di conferme, di abbagli e di sconforti, di speranze e di delusioni…; il tutto per formare, grazie alla somma delle fondamentali sensazioni del primo momento, un iniziale giudizio sommario ma di solito in buona parte veritiero, sulla opportunità o meno di un intervento del FAI.
E poi, quasi sempre, ecco un improvviso segnale più forte e più incisivo di altri, una specie di sussulto che a un certo punto imprime una svolta alla visita; uno di quei segnali inaspettati che tante volte nella vita risuonano come un piccolo schianto che trasforma fatti e sensazioni.
Così accadde, per esempio, la mia prima volta all’Alpe Fontana Secca, accanto al Monte Grappa, dove a ogni passo, salendo a piedi e in silenzio verso la cresta del monte per quei ripidi pascoli ormai abbandonati sentivo crescente e quasi fisicamente il peso di quel dolore, di quelle sofferenze, di quelle fatiche delle migliaia di ragazzi che qui morirono nel 1917 per darci una Patria e con gioia pensavo alla futura allegrezza di quei prati intrisi di morte nel rivedere un domani, grazie al FAI, le vivaci chiazze bianche e nere delle vacche burline, di nuovo a brucar pascoli pieni dei fiori che l’abbandono aveva nascosto; o ancora – arrivando la prima volta a Villa dei Vescovi dalla città – l’incanto inaspettato della irreale, immota dolcezza del paesaggio euganeo caro a Petrarca inquadrato dalle arcate rinascimentali del Falconetto affrescate da Sustris.
Il Paesaggio naturale ma storico di Fontana Secca, il Paesaggio inquadrato e forgiato dall’estro dell’Uomo di Villa dei Vescovi, il Paesaggio che tutto contiene; il vero grande tesoro italiano come ben sappiamo ancora fragile e ancora troppo spesso a rischio.
Tutto ciò per dire che i monumenti – sia quelli d’arte che quelli di Natura – parlano! È lo spirito del luogo a parlare… è un bisbiglìo lieve e sommesso che per essere udito chiede tempo e silenzio, umiltà e curiosità ma che poi ripaga chi decide di volerlo ascoltare con una generosità che sempre dischiude panorami storici, civili e umani in gran parte sconosciuti in un intreccio di storie e di racconti sempre unici e diversi; un privilegio, il goderne appieno, che il FAI per missione rende possibile a chiunque con semplicità ma con profondità di approccio, senza incutere soggezione ma creando quella confidenza in grado di far sentire ognuno a proprio agio così stimolando nel maggior numero possibile di persone quel sentimento di gratitudine – cioè anche di affetto – per il nostro Patrimonio che è il primo, essenziale passo per una sua condivisa, convinta e, Dio lo volesse, imperitura tutela.
Tutto questo detto – dalla centralità dei Beni al loro ruolo quasi “strumentale” rispetto allo scopo primario della educazione della collettività – vien da sé che se nessuno avesse negli anni ’70/’80 raccolto l’invito – a suo tempo per lo meno bizzarro – della neonata e sconosciuta Fondazione a donare la propria villa o il proprio giardino il FAI semplicemente non esisterebbe. L’inizio fu molto difficile ed è ben narrato nel volume voluto da Andrea Carandini e scritto da Alberto Saibene nel 2019 Il Paese più bello del mondo; nessuno, ovviamente, si presentava alla porta del FAI offrendo in donazione un proprio Bene; e mentre Bazzoni scriveva a Elena Croce (grande musa ispiratrice del FAI) «…non è facile andare avanti ma proprio queste difficoltà mi rendono duro e testardo…» Franco Russoli convinceva la dubitosissima Giulia Maria ad acquistare il Monastero di Torba per regalarlo al FAI; fu poi la volta di Emanuela Castelbarco la prima vera mecenate della giovane Fondazione alla quale donò il magnifico e collassante Castello di Avio appena dopo che un amico di Bazzoni, l’avvocato Di Blasi, aveva regalato 1.000 mq sull’isola di Panarea… Da lì, e non posso purtroppo citarli tutti, un po’ a balzelloni all’inizio e poi con crescente continuità la lista di questi italiani così speciali, visionari e fiduciosi nella bontà di questo esperimento cominciò ad allungarsi; dai principi Doria con San Fruttuoso ai conti De Rege con la Manta e poi… e poi in un crescendo di varietà tra architetture civili e religiose, di contesti naturali prodigiosi seppur abbandonati che ha portato oggi a quell’insieme così sorprendente e variegato che proprio grazie alla sua varietà comincia a raccontare, dagli ipogei del V secolo avanti Cristo della Kolymbethra alla Tomba Brion di Carlo Scarpa e agli artisti della Collezione Panza, ben 2.500 anni di storia italiana; non pensiamo forse abbastanza spesso al ruolo determinante di queste famiglie che spossessandosi a favore di tutti di un pezzo tanto cruciale e identitario del loro patrimonio familiare hanno fatto, tramite il FAI, così bene all’Italia e mi sembra ancor troppo poco mandare a loro da questo teatro, in nome e per conto di tutto il Paese, la nostra piena e incondizionata gratitudine.
Non posso da ultimo non esprimere la nostra Gratitudine a quelle istituzioni dello Stato che dimostrano con i fatti di considerarci ormai parte attiva e credibile della Repubblica in quanto efficace istituzione sussidiaria nello spirito dell’articolo 118 della Costituzione; siamo ovviamente molto, molto fieri della considerazione più volte dimostrataci dal Capo dello Stato (FORMIDABILE il suo discorso di Marsiglia!) e poi i Ministri della Cultura che in tutti questi anni (chi più chi meno) hanno contato su di noi dandoci fiducia e stimolo, i Soprintendenti tanto spesso bistrattati e tanto spesso eroici, i Presidenti di molte Regioni, tanti Sindaci con i quali è stato ed è una gioia collaborare; e non da ultimi quegli oltre 300 mila italiani che con la loro iscrizione annuale danno corpo e credibilità alla nostra grande missione e anche quel milione e passa di italiani che quest’anno hanno già votato per l’edizione 2025 de I Luoghi del Cuore, uno dei progetti più sensazionali del FAI, perché tutto nelle mani dei cittadini. Sono loro a scegliere! Senza dimenticare chi ci sostiene dall’estero; la nostra gratitudine ai Friends of FAI, al FAI UK e al FAI Swiss; sono qui con noi James Carolan, Chairman FOF, William Parente, Chairman FAI UK e Simona Garelli Zampa, Presidente FAI Swiss. Grazie!
E infine: tutti! Tutti, da Giulia Maria e Renato ai grandi donatori, dai Consiglieri ai Garanti, dai Delegati e volontari a chi si impegna quotidianamente sulla propria scrivania o nel giardino che gli è stato affidato, tutti uniti nel nome di quel civile spirito di servizio verso la Nazione e chi la abita che non risponde ad alcuna regola o ad alcun obbligo; ma che è piuttosto uno dei più nobili atteggiamenti e una delle più civili e generose attitudini a far grande e speciale un vero cittadino. Nel nome di questo libero, spontaneo, gioioso, nobile spirito di servizio siamo qui, oggi, alla Scala!
E mi commuove, in chiusura, dare un nome e un cognome a questo modo e a questo stile di intendere e vivere il proprio ruolo nella società; è il nome di una donna del Sud, di quel sud per il quale ho un amore così intenso e speciale, che pur con le sue difficoltà dà al nostro Paese quelle straordinarie risorse e quella carica umana così generosa, unica e irripetibile, quel sud in cui si collocano così tante di quelle cosiddette aree interne che hanno bisogno del pieno sostegno nostro e del Paese per credere in se stesse e avere così un pieno ruolo nel nostro comune futuro e alle quali il FAI promette il suo pieno sostegno.
Urania Albergo era una donna delle Eolie che pochi mesi fa ha lasciato in eredità al FAI la sua bella casa nel centro di Lipari affinché raccontando la vicenda della sua antica famiglia e della comunità in cui nacque e visse tutta la vita, noi potessimo accendere un faro sulla storia di quelle Eolie dove il FAI emise il suo primo vagito.
Grazie signora Urania! A lei, col cuore la nostra gratitudine piena e gioiosa; e anche a voi Isole Eolie mitico pilastro del nostro mare che accolse Ulisse, reggia di Eolo ai cui venti migliori affidiamo il FAI del futuro, la nostra gratitudine! A Panarea in quei mille impervi metri quadri tutto iniziò 50 anni fa e siamo felici ma soprattutto commossi di festeggiare proprio con voi oggi questo primo mezzo secolo di vita grazie alla scelta nobile e alta di una vostra figlia. Siamo emozionati che il FAI, da oggi, sia anche Liparota!
E a voi tutti, ancora la nostra gratitudine per essere qui oggi tutti assieme; è il grazie di tutto il FAI; quello di ieri, quello di oggi e, ne sono certo, anche quello di domani.
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