06 giugno 2023
A buoni conti iniziava subito con un bel «NO» accompagnato da quel suo sguardo inquisitivo, un po’ di traverso, spesso dispettoso, ogni tanto dolce e anche leggermente ironico; l'ironia non le apparteneva minimamente (prenderla in giro non era divertente perché non capiva) ma essere un po’ dispettosa col prossimo (a volte molto) era un lato della sua fiera femminilità.
Il «NO» le serviva per mettere subito una barriera tra lei e l'interlocutore, per stimolarne le capacità intellettuali e valutarne le forze e – tipico stratagemma da regina – prendersi subito un po’ di vantaggio; avrebbe poi deciso lei – a seconda dell’energia, della vivacità, dell'interesse e del grado di belligeranza di chi le stava di fronte – quando e come aprire a un dialogo che sarebbe poi stato aperto e costruttivo, ricco, incalzante e sorprendente e che poteva andare avanti per ore, giorni o, come nel mio caso, per trentacinque lunghi e indimenticabili anni.
Il dialogo poteva anche avere momenti molto aspri e, se l’argomento era cruciale, era facile arrivare a un punto di non ritorno. Iniziava allora una intensa attività epistolare; scriveva benissimo ("mio padre ci teneva molto") lettere intense, chiare e in buona parte inaspettate con le quali – se a risolvere una incomprensione servivano – trovava la chiave per riaprire le porte al dialogo; senza dialogo, confronto e, in diversa misura, contrasto non c'era Giulia Maria. Tutto era fuorché riposante esserle amici e lavorare con lei, ma sapeva improvvisamente essere di una generosità senza eguali. Non conosceva il grigio; o era bianco o era nero; si poteva discutere del grado di candore del bianco o di profondità del nero ma per il compromesso non c'era spazio se non, in pochi casi, per la "ragion di stato"; cioè quando il suo grande realismo non le faceva capire che anche lei, come ogni essere umano, doveva piegarsi.
I ricordi si affollano ora nei cuori di chi visse l'esperienza di esserle amico o di lavorare con lei, di starle vicino, di subire il fascino della sua creatività inesauribile e spesso giocosa (adorava giocare, travestirsi, recitare...) e di condividere con lei la sfida continua che ella lanciava quotidianamente a se stessa e agli altri; era la sfida di una donna profondamente civile che voleva – inseguendo le sue visioni e i suoi ideali – migliorare il mondo in cui viviamo con le sue idee, le sue azioni, le sue battaglie; era una grandissima combattente e in questo continuo, giornaliero compito che si era data – e che in un certo senso era la missione della sua vita – cercava sempre alleanze col prossimo, perché non voleva agire e combattere da sola ma sempre in squadra; con una buona dose di cinismo l'alleato (o chi si credeva tale) poteva però cambiare repentinamente lasciando chi si considerava ormai "arruolato" con un palmo di naso; era molto impegnativa perché partiva sempre dal presupposto che le sue idee e gli strumenti che aveva pensato adatti a raggiungerle fossero i migliori anche se poi riteneva la discussione con chiunque le fosse vicino fondamentale per affinare e migliorare il suo punto di vista che era pronta a modificare in incontri infiniti o riunioni di gruppo dove il brainstorming – che era una delle sue passioni – lasciava sul campo menti esauste ma soddisfatte per esser state messe alla prova e per aver raggiunto, tutti assieme, un risultato; e se tempesta c'era stata, meglio! Perché allora l'accordo trovato o ritrovato era un successo per tutti; era il successo del gioco di squadra.
Negli ultimi mesi, molto molto difficili per lei, ascoltava spesso la Sesta sinfonia di Beethoven perché, mi disse due o tre volte, l'attesa di quel celestiale sereno dopo la tempesta era un po’ una rappresentazione della sua vita, delle mille battaglie per l’Italia e per il prossimo (mai per sé!) che aveva combattuto da sola, in due o, preferibilmente in squadra (come col FAI); un sereno come quello della Sesta, mi diceva, non giunge quasi mai nella vita ma tu sai che è quello il traguardo al quale devi giungere; senza far fatica, senza proporre e difendere le proprie idee per un mondo migliore, senza tempeste dopo le quali attendere il sereno, la vita non merita di essere vissuta. Ma il sereno della Sesta è anche il sole che ritorna tra le fronde, dei canti degli uccelli che festeggiano la fine dell’uragano, delle gocce d'argento sulle foglie che fanno del bosco un miracolo, della felicità delle radici che bevono l’acqua della vita; quella Natura meravigliosa nella quale trovava se stessa, senza la quale non poteva vivere, che la nutriva con lunghe e quotidiane passeggiate nei suoi boschi e per la cui difesa e sopravvivenza ha lottato tutta la vita.
Al suo funerale ha voluto che venisse suonato l'Inno alla gioia della Nona sinfonia di Beethoven perché la vita è un dono che va sempre e comunque festeggiato; anche quando è giunto il punto finale.È stata una grande fortuna averle vissuto tanti anni vicino e aver imparato, tra le tante cose, che chi vuol raggiungere un obiettivo, anche se apparentemente arduo, non deve porsi il problema degli ostacoli che potrebbe trovare sul suo cammino; se l'idea è davvero buona ci penserà lei, la forza dell'idea, a spazzarli via. È la lezione del FAI; nessuno ci credeva; solo lei e Bazzoni! Oggi quell’idea fa parte delle nostre vite; ed è quel pezzettino, più o meno grande, di Giulia Maria che tutti coloro che l'hanno conosciuta tengono e terranno gelosamente nel proprio cuore e che servirà ad ognuno per fare sempre, con la propria vita, il mondo in cui viviamo un po’ migliore. Anche volersi bene è stato impegnativo ma gliene ho voluto tantissimo.