13 dicembre 2024
Immagine in evidenza: Renato Bazzoni all’inaugurazione della mostra "Italia da Salvare", 1967 © Corriere della Sera
«Ho l’abitudine di vagabondare per l’Italia e quando ho tempo libero mi diverto a pigliare fotografie».
Queste all’inizio degli anni Sessanta le parole di Renato Bazzoni, architetto, ai tempi membro della sezione milanese di Italia Nostra, poi tra i fondatori del FAI.
Mentre documenta il paesaggio italiano Bazzoni è tra i primi a rendersi conto che c’è un patrimonio inestimabile che rischia di andare perso a causa della crescente speculazione edilizia. È così che nel 1964-1965 inizia a sentire la necessità di organizzare una mostra ne documenti lo stato disastroso. Una situazione che si aggrava 1966, quando frane e alluvioni colpiscono l’Italia, specialmente Firenze, città d’arte per eccellenza, dove straripa l’Arno inondando la città di fango, con danni incalcolabili.
L’idea di Bazzoni si fa sempre più urgente e concreta, tanto che ottiene l’appoggio del Touring Club, già ampiamente radicato sul territorio, e di Italia Nostra oltre che di molti amici architetti, fotografi professionisti e cittadini che, a seguito del suo appello, inviano fotografie da tutta la penisola.
Anche Giulia Maria Crespi, all’epoca editrice del “Corriere della Sera” e attivista della sezione milanese di Italia Nostra, si schiera a favore della mostra senza esitazioni, così come i più illustri editori, le associazioni che difendono il territorio e le istituzioni universitarie.
A inaugurare l’esposizione a Palazzo Reale a Milano, nella primavera del 1967, c’è il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Italia da salvare, questo il titolo scelto della mostra, è corredata da un corposo catalogo con articoli di Antonio Cederna, giornalista e ambientalista, e dello storico dell’arte Franco Russoli, direttore della Pinacoteca di Brera.
L’esigenza è quella di fare conoscere a tutti gli italiani i problemi di tutela del patrimonio, discussi fino a quel momento solo da studiosi e da tecnici.
«Soltanto così potrà attuarsi una politica attiva e coordinata per la salvaguardia di un patrimonio culturale di valore inestimabile, che appartiene all’intera umanità e deve essere tramandato alle future generazioni», si legge nell’introduzione.
La copertina del catalogo, una fenditura rossa su fondo nero, è opera del grafico e designer Pino Tovaglia, che più avanti disegnerà il logo del FAI.
Tra le fotografie si vedono reperti archeologici dispersi, castelli in abbandono, piazze storiche assediate dalle auto, abusi edilizi, gli scarichi delle industrie nei fiumi lombardi, opere d’arte offese dall’incuria. La mostra è un successo, tanto che viene replicata a Roma al Palazzo delle Esposizioni e l’inaugurazione avviene in presenza di Aldo Moro, ai tempi Presidente del Consiglio. Poi viaggerà anche a Verona, Venezia e Bologna.
Proprio in occasione della prima inaugurazione, quella milanese, Giulia Maria Crespi conosce Elena Croce, scrittrice e ambientalista italiana figlia del filosofo Benedetto Croce, con cui stringe una solida amicizia. Entrambe concordano che è il momento di passare ai fatti: all’interno di Italia Nostra c’era infatti chi voleva agire con cautela e chi come loro, oltre a denunciare, sentiva la necessità di agire concretamente, ovvero, salvare e gestire i beni culturali.
Tra il 1968 e il 1969, a Milano, Elena Croce, Giulia Maria Crespi e Renato Bazzoni fondano l’Associazione Alessandro Manzoni – Italia da Salvare su modello del National Trust inglese, fondato nel 1895 allo scopo di «promuovere la conservazione permanente a beneficio della Nazione di terre e costruzioni (compresi gli edifici) di interesse storico o estetico».
Si legge nello statuto dell’Associazione Alessandro Manzoni, «è divenuto ormai pressante conservare il nostro patrimonio artistico e naturale, non solo per il popolo italiano, ma perché di proprietà del mondo», e viene esplicitato che, «l’unico mezzo di conservazione possibile è nella proprietà».
L’associazione doveva essere parallela a Italia Nostra, ma il progetto non decollò. Renato Bazzoni, nel 1971, viene eletto presidente della sezione milanese di Italia Nostra e Giulia Maria Crespi lo sostiene trovando i fondi per organizzare iniziative e convegni.
Nel frattempo, Crespi aveva portato il Corriere a essere la punta avanzata dell’opinione pubblica nei primi anni Settanta, ma a causa della situazione finanziaria compromessa, nel 1974, deve cedere la sua quota di proprietà ad Andrea Rizzoli.
Crespi cerca quindi un nuovo impegno che abbia lo stesso rilievo del quotidiano nella vita del Paese. Dapprima pensa di piantare un grande bosco a Milano per dare svago, ombra e ossigeno ai cittadini, ma poi si ammala di tumore e una volta guarita decide che «se qualcosa di brutto accade, bisogna assolutamente neutralizzarlo con un’azione bellissima», scrive nella sua autobiografia Il mio filo rosso. Questa “azione bellissima” si concretizza.
Proprio in quell’anno è l’amico Renato Bazzoni a insistere su quanto fosse urgente fondare un National Trust italiano per salvare il patrimonio italiano e la spinta decisiva arriva, ancora una volta, da Elena Croce, che raggiunge Crespi in Val Badia e le dice:
«Questo è quanto da te chiede il destino».
Il 28 aprile 1975 insieme a Renato Bazzoni, all’avvocato Alberto Predieri e al soprintendente di Brera Franco Russoli, dà il via a una delle più grandi avventure della sua vita, il FAI, Fondo per l'Ambiente Italiano.
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