30 gennaio 2025
«Si può pensare appunto a un sogno troppo ambizioso, presuntuoso e utopistico, ma io penso che senza utopia non si fa la realtà», Franco Russoli.
«Al Monastero di Torba, un bassorilievo di Giacomo Manzù dedicato a Franco Russoli testimonia con una targa la sua decisiva presenza nella vita nuova del Monastero», scriveva Ottavio Rossani, sul “Corriere della Sera” del 15 giugno 1986, quando si inaugurò, dopo anni di restauri il Monastero a Gornate Olona in provincia di Varese.
Nell’edizione speciale del Notiziario del 1986, un numero completamente dedicato al primo grande restauro del FAI, Renato Bazzoni scriveva: «La giovane Fondazione capiva che Torba era un’occasione disperata ma affascinante».
Fu Franco Russoli, uno dei quattro fondatori, a proporre al Consiglio, già nel 1975, di comperare Torba, intravedendone per primo il potenziale valore artistico, storico e paesaggistico.
All’epoca Russoli, museologo, critico e storico dell’arte, era il “vulcanico” direttore della Pinacoteca di Brera, che dirigeva dal 1957.
Nel 1972, con insistenza e incontenibile entusiasmo, quasi “costrinse” lo Stato ad acquistare Palazzo Citterio, adiacente alla Pinacoteca, al fine di avere uno spazio per rappresentare anche l’arte del Novecento e realizzare la sua visione di museo come centro culturale, una kunsthalle. Se Parigi aveva con il Centre Pompidou il suo quartiere delle arti, anche Milano avrebbe avuto la sua “Grande Brera”.
Anche nel consiglio del FAI Franco Russoli era risoluto: continuava, pur tra le perplessità e i dubbi della giovane Fondazione, a segnalare con perseveranza e fervore il caso di «un monastero abbandonato, cadente e una torre tutta coperta d’edera dove, al secondo piano, affreschi di grande interesse dovevano essere salvati a ogni costo».
Ricorda Giulia Maria Crespi nel Notiziario del FAI n° 128: «Successivamente, varie volte Russoli tornò all’attacco denunciando l’estremo degrado in cui versavano i resti del vecchio Monastero e della torre romano-longobarda, e avvisando che vandali stavano lentamente accelerando i lavori del tempo.
Spinta da questa ferma insistenza andai a visitare Torba per rendermene personalmente conto. Ricorderò sempre quella mattina nebbiosa di gennaio, cielo plumbeo e campagne coperte di neve. Quanto vidi era desolante, al punto da farmi esprimere al Consiglio seri dubbi sull’opportunità di compiere tale acquisto.
Ma Russoli era testardo, continuava a insistere, ed egli riuscì, con quel suo innato fascino, corredato dagli occhi così celesti, a farmi cambiare parere.
“Come”, egli diceva, “non vuoi salvare un ultimo avanzo di pittura longobarda? E quei sassi della torre rosi dal tempo, non li vuoi liberare dall’edera? E quei volti di monache che si intravedono sui muri di calce, non li vuoi riportare alla luce?».
Senza quasi crederci fino in fondo, ma persuasa dalla visione illuminante di Franco Russoli, che credeva fortemente che senza utopia non si fa la realtà, Giulia Maria Crespi nel 1977 acquistò il Monastero di Torba e lo donò al FAI.
Renato Bazzoni se ne innamorò perdutamente ed ebbe inizio la prima grande sfida della Fondazione:
far risorgere un luogo abbandonato, oggi diventato Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
Franco Russoli, l’audace visionario della Grande Brera, morì nel 1977, troppo presto per vedere realizzato sia il suo grande progetto per l’arte milanese, sia per vedere salvato e restituito alla collettività – per sempre e per tutti – il Monastero di Torba.
Per Russoli «il museo deve essere promotore di pensiero critico, promotore di cultura. E, in quanto istituzione che tutela la cultura, deve rendere questo patrimonio accessibile a tutti, diventando centro e simbolo della comunità nella quale è situato».
Il nostro padre fondatore sarebbe molto fiero di vedere quello che è diventato oggi il Bene FAI: un cantiere della conoscenza dove continuano gli scavi archeologici e che si pone al centro di un progetto di valorizzazione in sinergia con il territorio circostante, la realizzazione di laboratori didattici ed esperienze di visita accoglienti, inclusive e sicure per tutti i potenziali visitatori.
Nella tranquillità e nel silenzio che circondano questo luogo semplice e appartato, che conserva e restituisce tracce di un passato fatto di barbari, monache e guerrieri – e dove riposa anche Renato Bazzoni con sua moglie – il nostro pensiero non può non andare a colui che riuscì a intravvedere l’utopia fra l’edera, i sassi e l’abbandono.
«Grazie, Franco Russoli, il merito è tuo», scrisse Giulia Maria Crespi, e noi ci uniamo in coro.
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