14 ottobre 2025
Dieci anni fa, nel 2015, il FAI inaugurava la mostra fotografica itinerante Conoscere e amare l’Italia: le trasformazioni del Paese attraverso le fotografie di Renato Bazzoni, padre del FAI. L’esposizione raccoglieva gli scatti dell’architetto milanese e ripercorreva le tappe del suo impegno civile per la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale italiano, a partire dagli anni Cinquanta.
«Il nostro Paese reca importantissime stratificazioni di antiche civiltà. Noi non possiamo ignorarlo, non possiamo distruggere queste vestigia. Anzi, dobbiamo farle nostre, in modo che non vengano conservati dei cimiteri, ma delle sedi umane perfettamente vitali», Renato Bazzoni
Appassionato di architettura antica e rurale, Renato Bazzoni attraversò l’Italia in automobile alla ricerca di testimonianze di un mondo in via di estinzione: fattorie fortificate, pievi isolate, esempi di architettura spontanea regionale come trulli, thòlos e nuraghi disseminati lungo tutta la penisola. Durante questi viaggi, affidò alla sua macchina fotografica il compito di documentare, interpretare e raccontare le profonde trasformazioni del Paese nel passaggio da società agricola a società industriale e postindustriale.
«Le sue immagini sono la preziosa testimonianza di un’Italia che stava cambiando vorticosamente e in modo irreversibile: le coste e i centri storici venivano aggrediti e il paesaggio rurale andava spogliandosi», ricorda Alberto Saibene, curatore della mostra.
La mostra, organizzata con il fondamentale contributo e sostegno dell’Associazione Amici del FAI, viaggiò per l’Italia dal 2015 al 2018. Fu inaugurata a Milano, presso la sede centrale del FAI, La Cavallerizza, per poi approdare al Teatrino di Vetriano, un piccolo gioiello della Fondazione in provincia di Lucca, e successivamente a Sanremo, in Liguria.
Nel 2016 l’esposizione fece tappa a Orvieto e Perugia, nel 2017 a San Severino Marche e Monza, e nel 2018 raggiunse tre Beni del FAI: Villa Gregoriana a Tivoli, il Castello della Manta (CN) e infine il Monastero di Torba (VA), luogo simbolico dove ebbe inizio la storia della Fondazione. Proprio al Monastero, recentemente dedicato a Giulia Maria Crespi in occasione del Cinquantenario del FAI, riposano le spoglie di Renato Bazzoni e della moglie.
Nato a Milano nel 1922 da una famiglia toscana, Renato Bazzoni si laureò in Architettura e fu assistente alla cattedra di Composizione architettonica per quasi vent’anni. Parallelamente, avviò una brillante attività professionale nella Milano del dopoguerra e del boom economico, progettando edifici industriali, alberghi, abitazioni, ospedali e opere pubbliche, tra cui il cosiddetto “Pirellino” di via Melchiorre Gioia.
Ma il suo cuore batteva per l’architettura storica e rurale. Nel 1964 aderì a Italia Nostra e nel 1967 fu l’ideatore di Italia da salvare, la prima grande mostra che – sull’onda emotiva dell’alluvione di Firenze e dell’inondazione di Venezia del 1966 – denunciava i danni del dissesto ambientale e l’abbandono del patrimonio artistico. Il tour della mostra, lungo cinque anni e articolato in 19 tappe tra Italia, Europa e Stati Uniti, fu un grande successo anche grazie alla forza evocativa delle fotografie, molte delle quali realizzate dallo stesso Bazzoni.
Il suo impegno proseguì con l’indagine Tecneco, commissionata da ENI e «Corriere della Sera», che rappresentò la prima relazione sulla situazione ambientale del Paese. Tuttavia, la mancanza di risposte concrete e la consapevolezza che l’epoca del “progresso illimitato” si era chiusa dopo lo shock petrolifero del 1973, spinsero Bazzoni a fondare, insieme a Giulia Maria Crespi, Alberto Predieri e Franco Russoli, il FAI nel 1975, ispirandosi al National Trust inglese.
«Lo conobbi nel 1966 quando stava preparando la mostra Italia da Salvare», scrisse Giulia Maria Crespi nel Notiziario del FAI n° 62. «Lavorava di giorno, di notte, saltava i pasti, ignorava le domeniche, le vacanze e dormiva poche ore. Mi sembrava un pazzo e non sapevo che questo fosse il suo ritmo di vita abituale e che sempre sarebbe stato così. Prima per Italia Nostra, poi per il FAI. (…) Fu lui a convincermi a seguire i suggerimenti di Elena Croce che voleva un National Trust italiano. Io recalcitravo, ma lui insisteva. Tale era la sua cocciutaggine che superò la mia, per cui nel 1975 nacque il FAI-Fondo per l'Ambiente Italiano. Da principio la gente sorrideva: io ero ingenua, lui era sognatore. Ma questo sognatore, questo testardo che imperversava nella impopolare battaglia degli anni '70 per la salvaguardia della bellezza italiana voleva portare giù sulla terra l'astrazione degli ideali».
Per Bazzoni il FAI rappresentò una missione totalizzante. Operò come tecnico del restauro per i Beni acquisiti – tra cui il Castello di Avio (TN), il Castello di Masino (TO) e il Monastero di Torba (VA) – e come infaticabile promotore della Fondazione, curandone la comunicazione, i viaggi culturali, le conferenze, in cui emergevano le sue doti di divulgatore appassionato e la profonda umanità.
Renato Bazzoni si spense improvvisamente il 9 dicembre 1996, nel pieno della sua attività, lasciando al FAI un’eredità morale che ancora oggi guida l’azione della Fondazione.
«Se Bazzoni ha lasciato un segno tangibile, se Bazzoni ha impresso nella realtà non soltanto parole ma fatti concreti, allora tutti quelli che credono nell'arte, nel bello, nella natura debbono sentirsi spronati ad agire con nuova forza. (…) Che sia l'esempio di Bazzoni come il lievito nel pane: possa moltiplicarsi, estendersi, compenetrare sempre più coscienze giovani e vecchie, possa stimolare coraggio nei timidi, accrescere energie in quelli che già militano, possa risvegliare gli indifferenti, denunciare problemi che investono la nostra arte e il nostro territorio! Questa è la vera maniera per onorare la memoria di Renato Bazzoni, l'unica che possa servire per il bene dell'Italia per cui ha tanto lavorato e che tanto ha amato».
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