Discorso del Presidente FAI Marco Magnifico al Presidente Sergio Mattarella

Discorso del Presidente FAI Marco Magnifico al Presidente Sergio Mattarella

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Discorso del Presidente FAI Marco Magnifico al Presidente Sergio Mattarella
Focus

28 aprile 2025

Palazzo del Quirinale, 28 aprile 2025

Signor Presidente,

non siamo venuti qui oggi a dirLe cosa facciamo (so bene che Lei lo sa), né cosa abbiamo fatto nei passati 50 anni, anche se ne siamo profondamente orgogliosi.

Siamo venuti al Quirinale, così in tanti (grazie di cuore per averci consentito questa “invasione”!) per dirLe chi siamo e perché Lei possa leggere nei 130 volti che Le stanno di fronte la gioia non solo di essere qui con Lei ma anche quella di fare quello che facciamo.

La maggioranza tra noi qui, oggi è un volontario; a partire da me dacché sono, da due anni e mezzo, Presidente dopo una carriera iniziata come garzone di bottega nel 1987 quando avevo 33 anni e quando al FAI eravamo in quattro impiegati contro i quattrocento di oggi.

Abbiamo chiesto di essere così in tanti perché il nostro “corpo” potesse oggi essere rappresentato nella sua compiutezza nel festeggiare assieme a Lei un traguardo così significativo.

Sono volontari i tre vicepresidenti e i quattro membri del Comitato Esecutivo che oggi rappresentano il Consiglio di Amministrazione, è stato volontario Andrea Carandini che ha coraggiosamente passato a me il testimone dopo averlo raccolto da Ilaria Borletti alla quale lo aveva dato la fondatrice Crespi; sono volontari i diciannove Presidenti Regionali che rappresentano in ogni regione italiana la nostra fondazione e coordinano le delegazioni provinciali, vero sistema venoso e arterioso del FAI, oggi qui incarnate in un capo-delegazione per regione (in tutto i nostri presìdi sul territorio sono ben 367!); sono ovviamente tutti formati da volontari i novantatré Gruppi Giovani (qui ne sono rappresentati 18, uno per regione) composti da giovani tra i 18 e i 35 anni; è a uno di loro, Antonio Ranalli, abruzzese di Vasto, 20 anni, che lascerò brevemente la parola dopo di me. Desidero infatti che sia un italiano che ha tutta la vita di fronte a commentare con poche parole la missione nella quale hanno creduto i fondatori, nella quale crediamo noi amministratori e volontari di oggi e nella quale credono e crederanno coloro ai quali passeremo il testimone e che, mi auguro, potranno festeggiare i 100 anni del FAI nel 2075. Sono oggi con noi anche i rappresentanti di un ultimo e più giovane gruppo della nostra variegata, vivace, energica compagine nazionale; i dieci giovani e anche meno giovani, che compongono i gruppi “FAI Ponte tra culture” presenti in 21 città ma destinati a diffondersi in ogni capoluogo di provincia e composti da “nuovi italiani” di oltre 50 nazionalità che abbiamo voluto non solo perché potessero raccontare nelle loro lingue d’origine i nostri Beni e il nostro paese a chi è giunto da poco in Italia ma anche perché, nelle centinaia di aperture straordinarie delle nostre celebri Giornate FAI di Primavera, che meritano sempre la Sua ambita targa di bronzo, possano raccontare a coloro le cui famiglie sono italiane da sempre, la ricchezza e la varietà di quelle presenze culturali mediterranee, africane o orientali che sono sempre presenti nei nostri monumenti e che hanno nei secoli arricchito la nostra cultura: dall’Egitto all’Armenia, dalle terre oggi martoriate del medio oriente, fino all’India e alla Cina; senza parlare della cultura islamica e bizantina senza la quale la Sua Sicilia, ma non solo, non sarebbe quella che è.

E sono con noi oggi, signor Presidente, tre italiani che fanno parte del gruppo forse più basilare e vitale tra tutti quelli che oggi sono Suoi ospiti; sono in tutto 72 coloro che, assieme alle loro famiglie, in questi 50 anni hanno deciso – direi… “osato” tanto è il peso della decisione presa – il gesto coraggioso, definitivo e altamente civile di donare alla collettività, attraverso il FAI, un pezzo di loro stessi, della storia personale e identitaria loro e della loro famiglia. Parlo di coloro che hanno donato alla nostra fondazione un grande castello come quelli di Masino o di Avio, o un giardino, una collezione come quella Panza di Biumo o un alpeggio come quello che inaugureremo vicino al Monte Grappa in settembre, una tomba come quella celeberrima creata da Carlo Scarpa ad Altivole per i Brion o una villa grande o piccola come quella di Oria ove Antonio Fogazzaro scrisse Piccolo Mondo Antico, un orto come quello di Leopardi che Lei venne a inaugurare qualche anno fa, una casa ricca come quella delle sorelle Necchi a Milano o molto semplicecome l’ultima appena donata al FAI nel centro di Lipari dalla signora Urania Albergo. Quando dopo i restauri anch’essa sarà aperta al pubblico, racconteremo la storia di quella collettività orgogliosa e coraggiosa della quale chi vive nelle grandi città si ricorda solamente in estate ma che in quell’isola vive tutta la vita; quella di Lipari è l’Italia delle “aree interne”, quelle che rappresentano il 60% del territorio nazionale ma dove vive solo il 20% della popolazione; poter rendere il nostro servigio anche a questa Italia degli Appennini, delle isole minori, della montagna che si spopola, dei piccoli paesi che “evaporano” in silenzio senza che il Paese se ne accorga (si tratta del 50% dei comuni italiani!) è forse il lato più bello e sfidante della nostra missione; è quello che, più degli altri, ci dà il senso civile e collettivo del nostro agire.

Tra tutti i donatori di Beni istituzionali non posso non ricordare oggi la prima donatrice, la più visionaria, la più coraggiosa, la più battagliera, la più esigente: Giulia Maria Crespi che dopo aver fondato, esattamente 50 anni fa come oggi, il FAI assieme a Renato Bazzoni e anche a Franco Russoli e Alberto Predieri, decise nel 1977 di comperare il monastero romano-longobardo di Torba, nei pressi di Varese, per regalarlo lo stesso giorno al FAI. Il prossimo 6 giugno – giorno del suo compleanno – lo dedicheremo ufficialmente a lei officiando, dopo tempo immemore, una Messa nella raccolta chiesa romanica del monastero; verrà l’arcivescovo di Milano Delpini a celebrarla sul nuovo, piccolo altare che ho chiesto a Mario Botta di disegnare e donare al FAI; una chiesa senza un altare non è una chiesa e quella di Torba, per secoli, era stata un fienile. Nell’abside riposano le ceneri di Renato Bazzoni; Renato e Giulia Maria per sempre uniti in questo primo Bene del FAI; la pietra angolare sulla quale si è innalzata la Fondazione che festeggiamo e che è sostenuta oggi da quasi 320 mila italiani che, iscrivendosi, ci consentono, assieme a decine di altri donatori, aziende e benefattori, di mantenere il FAI in piena salute economica aprendo al pubblico tutto l’anno i Beni donati e poi restaurati; in essi nel 2024 abbiamo accolto oltre un milione di visitatori, 100 mila dei quali studenti dall’asilo al liceo.

A rappresentare infine i quasi 400 dipendenti del FAI sono qui oggi il Direttore Generale Davide Usai che con polso fermo tiene la macchina organizzativa sotto virtuoso controllo, la Direttrice Culturale Daniela Bruno, archeologa e custode della qualità culturale del FAI – sempre obbligatoriamente un dito sopra il possibile! – 11 dirigenti responsabili dei principali settori operativi del FAI, 29 direttori dei più importanti Beni aperti al pubblico – dagli alpeggi della Valtellina fino al Giardino della Kolymbetra nella valle dei Templi di Agrigento – e anche tre dei nostri giardinieri che ho voluto qui a rappresentare tutti coloro che, nei vari e numerosi ruoli, restaurano, curano e mantengono i pezzi d’Italia che ci sono stati affidati con quella cura speciale che ci contraddistingue; una cura che incarna lo spirito con cui lavorano tutti i colleghi che va oltre la professione, che va oltre il dovere, che va molto spesso ben oltre le ore per le quali si riceve lo stipendio; non è solo una questione di capacità e passione, signor Presidente ma è proprio una questione d’amore.

Più si conosce infatti, più si tocca, più si studia, più si ripara, più si ridà un futuro a quel poco d’Italia che la sorte ci ha messo e ci metterà nelle mani, più ce ne si innamora; e la cosa straordinaria è che si tratta di un amore corrisposto che, come tutti gli amori corrisposti, cresce, si radica e continua a sorprendere; i monumenti di natura, di paesaggio, d’arte e di storia oggetto del nostro studio e delle nostre cure ci ripagano infatti del nostro impegno rivelandoci sempre nuovi orizzonti di conoscenza; più li studi, più li restauri, meglio li mantieni più loro svelano nuove prospettive e nuovi segreti utili a una narrazione sempre più profonda, variegata e adatta a ogni tipo di pubblico.

Scopo esclusivo del FAI infatti non è, come molti spesso credono, il restauro di monumenti d’arte o di natura ma, come recita senza esitazione l’articolo 2 del nostro Statuto, (cito) “l’educazione e l’istruzione della collettività alla difesa dell’ambiente e del patrimonio artistico e monumentale italiano”.

Operando sulla base del principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 118 della Costituzione il FAI affianca le istituzioni dello Stato “per lo svolgimento di attività di interesse generale” tra le quali, prima fra tutte, l’educazione.

I nostri Beni dunque – siamo una fondazione e una fondazione è i suoi Beni – restaurati, curati, aperti al pubblico e raccontati nei loro più svariati aspetti come strumento vivo, concreto, emozionante per connettere o riconnettere gli italiani alla straordinaria storia del loro Paese e per farne quindi i suoi primi e più convinti paladini e difensori.

Le ho detto chi siamo signor Presidente, Le ho detto con quale spirito oserei dire “patriottico” serviamo questo nostro strepitoso Paese. In chiusura Le posso solo promettere che continueremo su questa strada non solo curando il patrimonio naturalistico, paesaggistico e culturale italiano, non solo educando gli italiani a capirlo, ad amarlo e a rispettarlo nelle sue singolarità e nei suoi contesti ma anche sempre proteggendolo da chi non lo capisce o, peggio, agisce contro di esso; come gli estensori di una proposta di legge in discussione proprio in questi giorni al Senato che vorrebbero, assieme ad altre pericolose modifiche al Codice dei Beni Culturali, mutilare il ruolo delle Soprintendenze rendendone il parere obbligatorio ma non vincolante, il che equivarrebbe a neutralizzarle; oppure come coloro che antepongono la transizione energetica alla tutela del territorio come se si potesse far bene all’ambiente facendo del male al paesaggio. Combattere il riscaldamento climatico è oggi per l’uomo la madre di tutte le battaglie – e a questo proposito la nostra grata memoria corre alla Laudato Sì di Papa Francesco – ma in un Paese come l’Italia questa battaglia non può essere vinta anteponendola alla tutela del paesaggio vero capolavoro della creazione umana. Abbiamo in questo senso fatto sentire fortemente la nostra voce al fine di arrivare finalmente alla definizione delle cosiddette “aree idonee” a ospitare i nuovi impianti energetici, così interrompendo l’arrembaggio a territori come il tavoliere delle Puglie, le campagne del Viterbese o i crinali interni della Sua Sicilia e sancendo una volta per tutte dove i nuovi impianti possono essere realizzati e dove no; una responsabilità affidata qualche mese fa alle Regioni che proprio in queste settimane stanno pubblicando le loro scelte che valuteremo con estrema attenzione.

È una missione complessa, impegnativa ed esaltante quella del FAI che tutti noi qui presenti oggi siamo stati felici e onorati di aver potuto ribadire a Lei signor Presidente, così rinnovando davanti al Paese l’impegno preso cinquant’anni fa dai nostri Fondatori.

Grazie ancora signor Presidente anche e sempre per lo spirito, lo stile, l’imparzialità e la fermezza con i quali Lei ci rappresenta.

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