14 aprile 2025
«Se formalmente il FAI fu fondato da Giulia Maria Crespi, Renato Bazzoni, Franco Russoli e Alberto Predieri esso non esisterebbe senza i primi decisivi, fondanti e concreti gesti di fiducia di Emanuela Castelbarco, Orietta Doria, Elisabetta Provana De Rege, Guido Monzino, Giuseppe Roi, Giuseppe Panza e altri. Dimostrando da subito di saper ben restaurare e gestire i primi Beni donati da questi progenitori la Fondazione venne man mano formando e nutrendo quella sua personale e crescente credibilità culturale e aziendale che le permise di affrancarsi da quella costola di società milanese che l’aveva messa al mondo per consentirle di camminare e prosperare sulle sue gambe e diventare una vera realtà nazionale; come oggi sta dimostrando di saper fare. Ma senza quei primi, coraggiosi gesti di fede questo oggi non ci sarebbe». Marco Magnifico, Presidente FAI, Editoriale Notiziario 170, 2024.
Le storie legate alle prime donazioni e lasciti alla Fondazione sono spesso emozionanti e cariche di valore affettivo. Ognuno di questi Beni che ha reso il FAI celebre in tutto il mondo, ha una storia da raccontare, che non si limita alle mura che li compone, ma si estende alle persone che, con amore e dedizione, hanno deciso di lasciarli al FAI.
Per questo affidiamo il racconto delle motivazioni personali e il significato profondo di questo gesto attraverso le testimonianze dirette di alcune delle persone che hanno deciso di donare o lasciare in eredità Beni affinché questo patrimonio potesse trasformarsi in un’eredità molto più grande e duratura, grazie al lavoro del FAI.
La prima grande donazione che ha segnato la storia del FAI è stata quella della fondatrice Giulia Maria Crespi, che nel 1977, su insistenza dell’altro fondatore Franco Russoli che per primo ne intravide il potenziale storico, artistico e paesaggistico, acquistò il Monastero di Torba (un antico complesso monastico in provincia di Varese) e lo donò al FAI.
Questo gesto, non solo costituì la prima grande sfida della Fondazione, ma divenne il simbolo di come un luogo abbandonato di grande valore, potesse risorgere ed essere restituito alla collettività.
Da quel momento, il FAI ha potuto proseguire la sua missione grazie a una serie di gesti di fiducia e generosità da parte di un gruppo di persone lungimiranti che ha voluto credere negli obiettivi di una giovane Fondazione che si ispirava al National Trust inglese.
«Il mondo è molto cambiato e in quest’epoca è spesso molto difficile per un privato riuscire a conservare beni di alto valore artistico che appartengono alla Storia.
Quando fu creato in Italia il Fondo per l’Ambiente Italiano, che proseguiva gli stessi scopi del National Trust inglese, e i suoi fondatori mi chiesero se fossi disposta a fare la prima donazione al FAI di un bene di importanza storica come il Castello di Sabbionara d’Avio, ho riflettuto a lungo.
Non volendo assolutamente venderlo, essendo a me molto caro per ragioni sentimentali e familiari, e avendo visto come molti miei amici inglesi, che amavano le loro proprietà, fossero riusciti a tenerle vive donandole al National Trust, ho pensato che non avrei potuto donare il castello a un’istituzione più idonea. Il FAI avrebbe potuto fare i restauri per impedirne la rovina e conservarlo per le prossime generazioni, e continuando certamente con più ampio respiro gli sforzi iniziati da mio padre (che aveva vissuto lì gli ultimi vent’anni della sua vita) e poi proseguiti da me. Avrebbe così potuto mettere a disposizione del pubblico un bene storico e artistico che valeva la pena di essere conosciuto, pur dando a me e ai miei diretti discendenti il diritto di continuare ad abitare una parte di quel luogo da noi tutti amato e da secoli legato alla mia famiglia».
Emanuela Di Castelbarco Pindemonte Rezzonico
«Strano come succedono le cose nella vita! Era la primavera del 1983 quando ricevetti una telefonata in cui di chiedeva se il professor Ardito Desio potesse fare una visita. Mio marito e io eravamo curiosi di sapere di cosa si potesse trattare dato che non avevamo ancora avuto il piacere di conoscere questa famosa personalità.
Il professore venne e la conversazione volse subito al Monte di Portofino e su tutti i suoi problemi, e anche su San Fruttuoso. Ci ha poi chiesto se conoscevamo il FAI; veramente non ne avevamo ancora sentito parlare. Ci bastò sapere che era modellato sul National Trust, associazione che conoscevamo e ammiravamo da sempre, per essere perfettamente consapevoli di cosa intendesse. Parlandone poi fra noi le nostre idee sono maturate con il tempo. Noi avevamo fatto del nostro meglio per mantenere i fabbricati, ma con gli introiti quasi nulli degli affitti non era compito facile, soprattutto perché avevamo dovuto fare lavori importanti ai tetti e anche alle fondamenta della Chiesa.
Ricordo che agli inizi degli anni Trenta mio padre aveva fornito le case dei pescatori di bagni completi, un’idea alquanto avanzata per quei tempi. Quando poi restaurò l’Abbazia, riportando alla luce le bellissime trifore, molte delle quali erano state murate attraverso i secoli, cercò di interessare diversi ordini religiosi e la Diocesi a utilizzarla, ma senza successo. Poi le cose stagnarono e il tempo passò. Ed eccoci a conoscenza del FAI. Mio marito e io vedemmo subito le possibilità che questo ente offriva: un’organizzazione che poteva prendere le cose in mano, aveva la facoltà di accesso ai fondi necessari per i restauri, aveva la volontà, la competenza e il buon gusto di riportare il complesso al suo antico splendore per il godimento del pubblico attuale e delle future generazioni. Facendo poi la conoscenza della contessa Mozzoni Crespi e dell’architetto Bazzoni la nostra convinzione si è maggiormente saldata: la donazione al FAI era la migliore soluzione per San Fruttuoso».
Orietta Pogson Doria Pamphilj
«Molte furono le considerazioni che ci indussero dopo lunghe meditazioni a offrire in donazione al FAI il Castello della Manta. Due furono soprattutto i motivi essenziali: assicurare la necessaria manutenzione e sorveglianza del Castello e dei suoi affreschi di importantissimo valore artistico permettendone l’apertura al pubblico, e – come avviene con il National Trust in Inghilterra – conservare il diritto di abitazione in parte del castello a noi e ai nostri eredi e discendenti.
Con la donazione al FAI riteniamo di aver assicurato nel modo migliore la protezione e il futuro di questo edificio che tanto amiamo».
Elisabetta De Rege Provana
Il conte Guido Monzino, scomparso l’11 ottobre 1988, lasciò in eredità al Fondo per l’Ambiente Italiano la Villa del Balbianello con gli arredi, le collezioni, la biblioteca, l’archivio, il Museo delle sue spedizioni alpinistiche e polari, i boschi sulla penisola di Lavedo e altre pertinenze.
Affinché il FAI potesse «provvedere alla conservazione di questo centro storico-culturale, curandone la manutenzione e ogni pertinente sviluppo» il conte Monzino dispose altresì che una munifica “dote” fosse ereditata dal FAI perché, con i suoi redditi annuali, fosse assicurata la copertura finanziaria delle più impegnative spese di gestione.
Con altra clausola testamentaria, inoltre, Guido Monzino destinò al Fondo per l’Ambiente Italiano un’importante cifra «da usarsi per la capitalizzazione in atto da parte del FAI medesimo per i propri fini istituzionali». Guido Monzino invitò, infine, «il FAI a mantenere sempre innalzato sul molo del Balbianello il nostro tricolore nazionale, a ricordo di quelle bandiere che le mie Guide Alpine fecero sventolare su molti punti del mondo, per puro spirito di idealità; con modestia ma sempre con eroismo».
«Da molti anni avevo il desiderio di realizzare un museo nella villa, aprendo al pubblico la collezione, e ho individuato nel FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano l’interlocutore ideale. Una parte della collezione si trova da diversi anni al Museum of Contemporary Art di Los Angeles, al Guggenheim di New York e al Museo Cantonale d’Arte di Lugano. Donare al FAI la villa e la collezione in essa contenuta ha fatto sì che tale patrimonio abbia potuto rimanere permanentemente in Italia.
Ho molto amato questa casa che ha fra l’altro costruito uno strumento ideale per esporre arte. Il FAI, con la sua ventennale esperienza di conservazione e gestione di beni monumentali e ambientali, saprà certamente valorizzare al meglio la sua esclusiva peculiarità di coniugare il nuovo con il passato, offrendo alle generazioni future la possibilità di apprezzare questo luogo e l’arte in esso contenuta. Devo ringraziare i miei genitori, Ernesto Panza e Maria Mantegazza, per avermi consentito di realizzare il mio sogno e a loro dedico questo monumento che li ricorderà insieme a chi l’ha costruito e conservato nei secoli.
Senza l’impegno della Presidente del FAI, Giulia Maria Mozzoni Crespi, dell’indimenticabile architetto Renato Bazzoni e di tutto lo staff che lavora per la conservazione di un patrimonio culturale e ideale – essenza stessa di una società civile – tutto ciò non sarebbe stato possibile. Assieme a mia moglie Rosa Giovanna e ai miei figli esprimo dunque la mia fiducia e il mio pieno compiacimento nell’affidare al FAI questo bene che contiene molta parte della mia vita».
Giuseppe Panza di Biumo
Io sottoscritto Giuseppe Roi (…), alla mia morte, lascio in legato al Fondo per l’Ambiente Italiano, di seguito indicato F.A.I., tutti i beni immobili di mia proprietà, siti nel Comune di Valsolda (Como) alle condizioni, precise e imprescindibili, che seguono:
A) La Villa Fogazzaro Roi, sita in Oria Valsolda (Como), dovrà essere denominata così denominata sempre.
B) Tutti i beni mobili e le suppellettili, esposti nei locali della Villa (…) sono parti integranti e permanenti del presente legato; per mio desiderio ed auspicio, non dovrebbero neppure essere cambiati di posto (…). Istruzioni per l’apparecchio per 10 commensali del tavolo nella sala da pranzo della Villa Fogazzaro Roi in Oria di Valsolda (…):
Lego al F.A.I. tutti gli oggetti elencati di seguito, vincolati alla Villa Fogazzaro Roi, attualmente depositati nella così detta “camera delle porcellane”, al fine che la tavola in sala da pranzo abbia a presentarsi ai visitatori sempre così allestita. Tutto il vasellame in ceramica; vetro e/o cristallo; nonché posate e accessori in vermeil e argento diventeranno proprietà del F.A.I. nella tonalità dei singoli servizi, onde sopperire ad eventuali, malaugurati danni e/o furti.
A) Una tovaglia di Fiandra bella, con tovaglioli assortiti, di colore rosa pallido o, meglio, chiaro; ed una bianca, sempre con tovaglioli assortiti, quale eventuale ricambio.
B) Un servizio completo di piatti in ceramica inglese, fondo rosa con decorazioni a fiori e ghirlandine bianco/marrone, marcati: “Etrus-can Festoon”.
C) N.B. Al centro della tavola grande zuppiera, affiancata da due coppe rettangolari con bordi traforati del medesimo servizio, riempite con arte di frutta o di fiori (anche se non genuini o freschi!).
D) 2 cucchiai, 2 forchette, 2 coltelli in vermeil e madreperla, cifrati A.F. (Antonio Fogazzaro), per ciascuno dei commensali.
E) 4 bicchieri “graduati”: acqua, vino bianco, vino rosso, vino da dessert; con decoro di uva; per ogni commensale + 2 caraffe per acqua e 2 per vino del medesimo servizio, posizionate
AGGIUNGERE LE COPPE X CHAMPAGNE: SI GRoi
entro 4 sottobottiglie con bordo a foglie di vite d’argento, sistemate o sulla tavola da pranzo (acqua e vino in diagonale); oppure sulla credenza di fondo (…)
Dal testamento olografo del marchese Giuseppe Roi
Questi primi generosi gesti di fiducia nel FAI sono state le pietre miliari sulle quali la Fondazione ha costruito nei decenni la sua credibilità e concretezza e perciò hanno ispirato negli anni molti altri donatori e sostenitori a seguire la stessa strada.
Ogni gesto di generosità, piccolo o grande che sia, è una scelta d’amore perché, allora come oggi, guarda al futuro.
Ogni lascito contribuisce alla missione della Fondazione: non conta l'entità del Bene o della somma, conta la grandezza del gesto!
nei Beni FAI tutto l'anno
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