02 marzo 2018
Monzino era il figlio di Franco, fondatore della Società anonima magazzini Standard, poi Standa, e di Matilde Alì d’Andrea-Peirce, di nobile famiglia siciliana. Trascorse l’infanzia sul lago di Como, a Moltrasio. Dopo aver concluso gli studi classici iniziò a lavorare alla Standa, di cui divenne direttore generale fino al 1966, quando il gruppo venne ceduto alla Montedison.
Nei primi anni Cinquanta fece un incontro destinato a cambiare il corso della sua vita: quello con la montagna. Accettò la scommessa di scalare il Cervino, senza preparazione alcuna, accompagnato da Achille Compagnoni, che aveva appena conquistato il K2. La fatica della scalata, il freddo, il gusto per la sfida esercitarono su di lui un fascino irresistibile e lo spinsero in ogni parte del mondo: dall’Himalaya all’Africa, dalla Groenlandia alle Ande. Nel corso delle sue 21 spedizioni Guido Monzino ha posto la bandiera italiana sulle cime più alte, dove non era mai giunta. Monzino era determinato e volitivo, un grande leader che organizzava le sue imprese con puntigliosa attenzione, incurante della fatica. Era schivo di natura, poco incline alla mondanità e molto legato al gruppo di guide della Valtournenche che lo ha sempre accompagnato nel corso dei suoi viaggi.
Nel 1971 raggiunse il Polo Nord, raccogliendo il testimone di un altro grande esploratore: il Duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia, che nel 1900 aveva toccato l'86° parallelo. Quella guidata da Monzino fu la prima spedizione a essere giunta al 90° parallelo con le tradizionali slitte degli inuit guidate dai cani: una marcia faticosissima di 71 giorni, un cammino sul pack durante il quale Monzino ha sfidato e vinto temperature rigidissime e difficoltà di ogni tipo. “Il ricordo di quel Tricolore e di quella Croce, simboli indelebili di una civiltà contrastata, ma sempre vittoriosa, deposti sul vertice del mondo, è la gioia più grande che riscatta ogni sofferenza, ripaga ogni rischio per diventare in questo momento invito per nuovi orizzonti”, confidò Monzino a Papa Paolo VI che lo ricevette in udienza.
Nel 1973 il Conte puntò a un nuovo, ambizioso traguardo, l'Everest: fu a capo della prima ascensione italiana sul Tetto del Mondo. Monzino organizzò una spedizione imponente composta da 55 militari dell'Esercito, 8 civili e 110 tonnellate di materiale per “concorrere sul piano internazionale ad un’affermazione di prestigio per la patria". Anche in questo caso scrisse una pagina di storia: la spedizione riuscì a raggiungere la vetta.
Un anno dopo realizzò un altro grande sogno: acquistare quella villa di cui era innamorato sin da ragazzo, ammirata durante le sue gite in barca sul Lago di Como, Villa del Balbianello. Monzino la restaurò con cura e vi trasferì i cimeli dei suoi viaggi. Nella ricca ed elegante biblioteca sono custoditi le migliaia di volumi e le cartine geografiche che egli consultava con meticolosa attenzione per preparare le sue imprese; inoltre in Villa possiamo ammirare le opere d'arte che ha collezionato nel corso dei suoi viaggi – tra le quali un’importante collezione d’arte primitiva - e anche una delle slitte che ha raggiunto il Polo Nord.
Monzino venne a mancare improvvisamente, l'11 ottobre 1988, a sessant'anni, proprio come il Duca degli Abruzzi e volle essere sepolto a Villa del Balbianello, luogo che tanto amava e che dal 1974 era diventato il suo rifugio. Il 2 marzo 2018 il Comune di Tremezzina ha commemorato Guido Monzino intitolandogli la via che conduce alla Villa.
Il modo migliore per conoscere e ricordare questo grande italiano è proprio visitare la Villa che ha lasciato in eredità al FAI, per ritrovare la passione per la sfida e lo spirito d'avventura che lo hanno reso uno dei più grandi esploratori del nostro Paese.
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