L’ intero centro di Lecco conserva e, in molti casi, nasconde i resti del castello in riva al lago, costruito nella prima metà del Trecento da Azzone Visconti, potenziato poi, anche con postazioni cannoniere, dagli Sforza, tra la fine del Quattrocento e il secolo successivo. Al tempo de “I promessi sposi” (1628-1630), il castello era sotto il dominio spagnolo. E’ citato nella prima pagina del romanzo: “Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l’onore di alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli…”. Il comandante, con parte della guarnigione, era alloggiato nell’edificio che oggi, e dal 1982, è sede della Biblioteca Civica di Lecco. Dalla dismissione del castello, duecento anni prima, l’edificio è stato più volte riadattato e restaurato, prima, all’inizio dell’Ottocento, per trasformarlo in villa di residenza di una importante famiglia di industriali della seta, i Bovara, per passare poi di proprietà di altri industriali, i Locatelli. Il fossato, il contrafforte esterno, le mura e la zona interna di quella che è la parte più a monte del castello sono state conservate e trasformate in giardini. L’intervento originale è, all’inizio dell’Ottocento, dell’architetto Giuseppe Bovara.
Sono state conservati, e sono accessibili, con visite guidate, i camminamenti sotterranei del castello, con le postazioni di guardia, feritoie nelle mura e punto di osservazione nella parte più alta. Quest’ultimo luogo ha un particolare interesse perché consente di ammirare tutta la cerchia di monti attorno a Lecco. Quel paesaggio descritto nell’incipit de “I promessi sposi”, con il monte Resegone e la dorsale del monte Magnodeno. Da qui si può rileggere, con lo sguardo, “Quel ramo del lago di Como…”, ma si può anche ricordare che Manzoni ha scritto un “romanzo storico”, dove comunque la geografia fisica e politica hanno un ruolo decisivo. Al di là di quei monti, a partire dalle loro cime, c’era un altro stato, la Repubblica di Venezia, dove Renzo si rifugia in seguito ai guai di Milano e dove gli sposi andranno a vivere dopo il matrimonio. Ma, guardando verso sud, si vedono le pendici del monte digradare verso il fiume Adda: in quel luogo di confine, c’era, e qualche rovina c’è tuttora, il “castello a cavaliere di una valle angusta e uggiosa” dell’Innominato, il personaggio che risolve il romanzo.
All’interno delle mura, nella zona semicircolare della sommità del castello, negli anni Novanta del secolo scorso il Comune ha costruito una cavea, un’arena, come viene chiamata, per spettacoli: film, musica, conferenze di alpinismo, accompagnate dalla proiezione di immagini.