L'insediamento del Lavello, forse posto in prossimità di un guado sull'Adda, costituiva una postazione strategica già all'epoca della militarizzazione operata in età tardo antica per difendere il territorio pedemontano a nord di Milano, capitale dell'impero romano d'occidente (286-402 d.C.). Alcuni indizi, fra i quali il ritrovamento di un sarcofago a vasca con tetto a spiovente e acroteri, fino a pochi anni fa ancora conservato presso il convento ed ora scomparso, suggerirebbero anche l'esistenza di un'area sepolcrale sopravvissuta, forse, in epoca altomedievale. Il fatto significativo che indica le due fortificazioni di Brivio e Lavello inserite nella corte di Almenno a guardia del fiume Adda (si veda poco oltre) può indirettamente costituire la prova dei limiti territoriali del ducato longobardo di Bergamo. Del Lavello, proprio in riferimento ad un castello, si parla per la prima volta nel diploma dell'imperatore Enrico II che nel 1014 (anno della sua incoronazione a imperatore del Sacro Romano Impero ad opera di papa Benedetto VIII) confermava al vescovo della chiesa di Sant'Alessandro in Bergamo, Alcherio, «La corte di Almenno con tutti castelli ad essa pertinenti cioè i castelli di Brivio e Lavello, così come l'avevano destinata al Vescovo di quella città il conte Attone di Lecco e sua moglie Ferlinda per volontà testamentaria». Tale donazione veniva poi confermata nel 1026 da Corrado II, nel 1147 da Enrico III e nel 1183 da Federico I detto il Barbarossa. Una chiesa di San Simpliciano, attribuita all'omonimo convento milanese, viene ricordata dalle fonti nel gennaio del 1147: Oberto da Pirovano Arcivescovo di Milano (uno dei fautori della prima Lega Lombarda che lanciò un appello ai Comuni lombardi dopo la distruzione di Milano ad opera del Barbarossa), nell'intento di rafforzare i rapporti con le istituzioni monastiche cittadine, conferma al convento di San Simpliciano di Milano i beni e i relativi diritti fra i quali si annovera la chiesa di San Simpliciano del Lavello con servi, feudo ed ogni pertinenza. Le tracce materiali di questo primitivo edificio sono state recentemente messe in luce dagli scavi archeologici operati al di sotto dell'attuale pavimentazione. Oltre ad un altare perfettamente conservato e decorato ad affresco, spicca la presenza,presso la navata, di un piccolo masso avello. Nel 1277 le terre e il castello del Lavello sembrano ancora in possesso del Comune di Bergamo, come recita lo Statuto di quella città. Il Liber Notitiae Sanctorum Mediolani (una sorta di ricognizione di tutte le chiese, oratori ed altari delle Pievi ambrosiane), redatto da Goffredo da Bussero alla fine del secolo XIII, ci attesta al Lavello anche la presenza di una chiesa di Santa Maria che dovette sopravvivere alle distruzioni di Bernabò Visconti operate sul castello (1373). Ancora definita cappella del castello nel 1438, tale edificio giaceva in un luogo comunque disabitato e in stato di abbandono; Il 25 aprile 1480, l'eremita Jacopino, nell'atto di riparare la chiesa diroccata di Santa Maria, riportò alla luce un'antica tomba e sotto il cadavere che vi era contenuto prese a zampillare acqua da una fonte. Questo venne interpretato come un segno della Provvidenza e, unito ad un prodigio che il giorno dopo l'acqua ebbe su Martino, un bimbo di sette anni infermo e paralizzato della località Monastero di Foppenico - che dopo esserne stato bagnato avrebbe preso a camminare normalmente - fece diventare la zona un luogo di pellegrinaggio, culto e miracoli registrati in seguito dalle cronache. A conferma di tale concorso di fede nel tempo, le emergenze archeologiche hanno altresì posto in luce un sistema di vasche ad uso rituale e devozionale intercomunicanti. Per gestire il flusso di pellegrini e devoti provenienti da più parti, la comunità decise di affidare l'assistenza religiosa del Lavello ai Servi di Maria nel 1486 ma solo nel 1489 il Senato veneto confermò l'insediamento dei Serviti al Lavello, voluto tra l'altro da