22 agosto 2022
Un giorno del 1986/1987 (era uno dei miei primissimi anni al FAI) Renato Bazzoni (Segretario Generale e uno dei fondatori) volle fare un “gioco programmatico”, sul futuro della Fondazione. Il nostro Patrimonio era allora costituito da soli quattro Beni: 1000 mq di terra incolta presso Cala Junco a Panarea (la prima donazione in assoluto da parte dell’ingegner Di Blasi), il Monastero romano-longobardo di Torba, acquistato e contemporaneamente donato da Giulia Maria Crespi, e i castelli di Avio e della Manta, donati rispettivamente da Emanuela Castelbarco e Elisabetta Provana De Rege. Attorno al tavolo, oltre a Bazzoni, sedevano la Presidente Crespi, il Vice-presidente Francesco Valcanover (il mitico Soprintendente di Venezia) e Pier Fausto Bagatti Valsecchi, che del primo FAI fu uno dei più vivaci consiglieri. C’ero anch’io, giovane impiegato appena assunto. Il gioco consisteva nell’immaginare di poter mandare nello spazio un immenso scatolone che, una volta aperto dagli alieni, potesse raccontare loro l’essenza dell’Italia. «Che cosa ci metteremmo dentro per spiegare cos’è il nostro Paese?» chiese Renato. Al di là degli alieni, Bazzoni voleva capire in che tipo di acquisizioni avrebbe dovuto lanciarsi il FAI se fosse riuscito a diventar grande. Ognuno dei presenti tirò fuori i propri sogni dal cassetto: «Pezzi di Natura!» disse subito la Presidente, «un’azienda agricola, una costa intonsa, un grande bosco, dei pascoli di montagna con le vacche...». Bagatti sognava invece un grande giardino all’italiana e un parco romantico all’inglese, mentre Valcanover - riscuotendo sorpresa ma anche una smorfia di Giulia Maria - disse «Arte contemporanea! L’Italia non si è fermata all’Ottocento!». Il gioco andò avanti tra divertenti contrasti e condivisioni, finché Bazzoni aggiunse «...e anche un cimitero!». «Un cimiteroooo? Ma Renato sei matto?» esclamò Giulia Maria con il solito tatto, tuttavia assai divertita dalla proposta. Renato pensava in quel momento al Cimitero degli Inglesi di Firenze del quale, neanche a farlo apposta, qualche anno dopo valutammo la donazione (poi sfumata).
La storia dei quasi quarant’anni seguenti dice che furono tutti ottimi profeti. Oggi il FAI possiede e gestisce due alpeggi d’alta quota con vacche e malghe, l’imponente bosco dei Giganti della Sila e (novità degli ultimi giorni non ancora annunciata) una vera azienda agricola. Sono arrivati il grandioso giardino all’italiana di Villa Della Porta Bozzolo e quello magnifico all’inglese di Villa Rezzola a Lerici, sognati da Bagatti, mentre Valcanover fu profeta della donazione della Collezione Panza di Biumo a Varese.
Bazzoni, con il suo cimitero, ci andò vicinissimo ma certo non osava immaginare che un capolavoro assoluto come il Memoriale Brion di San Vito di Altivole sarebbe un giorno lontano entrato a far parte del Patrimonio della Fondazione: lui, architetto, quel capolavoro di Carlo Scarpa... come osare tanto!
Il Memoriale Brion, recentemente donato al FAI da Ennio Brion e da sua sorella Donatella, è in realtà molto più di un cimitero, molto più di una tomba. Io l’ho sempre vissuto come un pezzo di Aldilà. Quale mai architetto ha osato progettare e costruire un pezzo di mondo che non esiste su questa terra oltre a Carlo Scarpa? L’impressione di entrare in un mondo reale, ma del tutto sconosciuto perché destinato alle anime più che ai corpi, fu quella che ebbi la prima volta che ci andai, una trentina di anni fa, e che sempre si rinnova ogni volta che, attraversato il piccolo cimitero di Altivole, oltrepasso la soglia dei propilei scarpiani. Gli edifici dalle forme così inusuali, il rapporto con il paesaggio circostante da cui la tomba è separata ma non divisa, la sensazione che la parola debba essere bandita in un contesto che si nutre del silenzio di chi vi entra e non dei suoni umani ai quali siamo avvezzi, l’acqua che ovunque purifica gli spazi e che sgorga, scorre e riposa, il padiglione per la meditazione e la piccola chiesa con l’ingresso sagomato ad Omega, perché tutti, come l’alfabeto, siamo destinati a finire. E poi il cemento accostato all’oro zecchino, l’ebano all’avorio, i sarcofagi che l’amore coniugale avvicina sfidando le leggi della gravità. Nell’Aldilà non esiste la gravità... così come in questo mondo non esiste il mondo del quale Scarpa ci ha dato un assaggio. Forse se quello scatolone fosse arrivato nei Campi Elisi tutto il resto del contenuto sarebbe stato una sorpresa. Ma il Memoriale Brion no: i Campi Elisi, forse, sono proprio così.
Articolo apparso su “Il Sole 24 Ore – Domenica” del 21 agosto 2022, qui pubblicato per gentile concessione del quotidiano.