L’edificio, databile tra il I e il II secolo d.C., prende il nome dal ritrovamento al suo interno di un “torcularium” utilizzato per spremere le vinacce. Ritrovata durante i lavori per la realizzazione di un centro commerciale, la Villa è stata messa in sicurezza ma non è sempre visitabile. La costruzione – che presenta un impianto quadrangolare – non ha solo un settore padronale, ma ha una distinta pars fructuaria, un settore cioè dove produrre e conservare il vino. Il ritrovamento di una cella vinaria e di un torchio in discrete condizioni lasciano intendere che l’edificio fosse un centro di produzione e di distribuzione di vino per la vicina Puteoli. Tutta la villa è organizzata come una moderna azienda agricola, con ambienti allestiti in base alle esigenze dei signori romani della falanghina: il torcularium (il torchio) – rimasto quasi intatto – è formato da un calcatorium (la base) in cocciopesto destinato alla premitura, sul quale veniva istallato il torchio per la successiva spremitura delle vinacce. Un torchio formato da un sostegno verticale, infisso in un grande blocco di pietra lavica sul quale era innestato il prelum (la pietra lavica circolare), che veniva abbassato su una cesta. I signori romani della falanghina avevano dotato l’azienda anche di immense vasche di raccolta del vino, perfettamente conservate. Dopo la fermentazione, il mosto veniva raccolto in grandi recipienti. L’unico dolium (l’otre) integro è stato recuperato alla spalle della cella. A partire dal V secolo d.C. l’area comincia a essere utilizzata per le sepolture: sono state rinvenute, infatti, 24 tombe di diversa tipologia a ridosso del cortile. Centinaia le monete di bronzo raccolte.