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PIEVE DI S. STEFANO DI GAIFA E TORRE BROMBOLONA CANAVACCIO

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URBINO, PESARO E URBINO

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PIEVE DI S. STEFANO DI GAIFA E TORRE BROMBOLONA CANAVACCIO

Il contesto comprende dall’altopiano delle Cesane al monte Pietralata, parte della media valle del fiume Metauro, che scorre al centro. Tra dolci rilievi, si succedono ambienti boschivi e agricoli immersi in un paesaggio rurale di guadi tra le due sponde del fiume e i suoi affluenti, con insediamenti abitativi sparsi in località denominate da chiese e castelli come Gaifa e Primicilio (XIII sec.), di cui restano la Pieve e la torre Brombolona, icona di questa vallata e tuttora sovrastante Canavaccio come più popolosa frazione di Urbino. Il borgo della pieve di S. Stefano di Gaifa è attestato dal XIII sec., ma la sua origine risale al monastero benedettino di S. Michele Arcangelo del VIII-X, distrutto per ben due volte, ricostruito nel 1277 sull’altra riva del fiume Metauro, poi abbazia di monaci Olivetani di Pagino, chiusa nel 1788. La Pieve ricostruita nel ‘600 riporta sul portale un’iscrizione, con l’effigie del santo titolare Stefano I papa e martire, che la dichiara “chiesa matrice” dei castelli di Primicilio e Gaifa, in quanto era sede del fonte battesimale per le altre chiese del territorio dalle quali percepiva annualmente una certa quantità di grano e di lino. Tra queste, S. Bartolomeo di Gaifa, S. Cristoforo dei Valli, S. Andrea in Primicilio, da cui provengono manufatti e interessanti dipinti oggi nella chiesa di S. Maria Assunta di Canavaccio. Perdura ancora l’enigma e la leggenda della contesa tra i due castelli della quattrocentesca campana, su cui era riportata l’arcana iscrizione del SATOR, chiamata Brombolona per via dei dialettali “bromboli” di ghiaccio che vi si formavano d’inverno, da cui il nome anche alla torre che la ospitò fino alla sua sparizione. La parola Gaifa che nomina l’abbazia, la pieve e il castello, deriva dal termine longobardo Waifa che significa “terra di nessuno”. A testimone di questa integrazione tramite il culto di popoli stranieri nel territorio è il bassorilievo con la raffigurazione di un angelo, ancora incastonato come pietra di riuso sopra l'architrave di un ingresso secondario alla pieve. La pieve e l’abbazia delle origini, per tradizione, si vuole siano sorte a loro volta nei terreni di Campo Donico o Adonico, riconducibile forse a un tempio dedicato ad Adone, divinità romana. Testimonianza di questa fase, oltre agli elementi architettonici di riutilizzo quali i capitelli reimpiegati come acquasantiere nella Pieve, sono i ritrovamenti ceramici e lapidei riconducibili ad una villa rustica romana e forse di terme dal vicino torrente. Prove di attività produttiva sono la recente scoperta di una vasca di decantazione, a pochi passi dal conosciuto ritrovamento di fornaci sulla piana sottostante la Pieve, lungo quella che ora è la strada provinciale ricalcante quella che prima era l'antica strada romana confluente nella consolare Flaminia. Quando la storia sembra essere ormai tutta raccontata, Gaifa ci sorprende invece con le sue frequentazioni ancora più antiche, rimaste in testimonianze troppo spesso trascurate come fondi di capanne protostoriche rintracciati nei terrazzamenti circostanti e sepolture purtroppo saccheggiate in diversi luoghi della valle e che avrebbero potuto raccontarci di più sugli insediamenti piceni in tutto il territorio.

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Il contesto comprende dall’altopiano delle Cesane al monte Pietralata, parte della media valle del fiume Metauro, che scorre al centro. Tra dolci rilievi, si succedono ambienti boschivi e agricoli immersi in un paesaggio rurale di guadi tra le due sponde del fiume e i suoi affluenti, con insediamenti abitativi sparsi in località denominate da chiese e castelli come Gaifa e Primicilio (XIII sec.), di cui restano la Pieve e la torre Brombolona, icona di questa vallata e tuttora sovrastante Canavaccio come più popolosa frazione di Urbino. Il borgo della pieve di S. Stefano di Gaifa è attestato dal XIII sec., ma la sua origine risale al monastero benedettino di S. Michele Arcangelo del VIII-X, distrutto per ben due volte, ricostruito nel 1277 sull’altra riva del fiume Metauro, poi abbazia di monaci Olivetani di Pagino, chiusa nel 1788. La Pieve ricostruita nel ‘600 riporta sul portale un’iscrizione, con l’effigie del santo titolare Stefano I papa e martire, che la dichiara “chiesa matrice” dei castelli di Primicilio e Gaifa, in quanto era sede del fonte battesimale per le altre chiese del territorio dalle quali percepiva annualmente una certa quantità di grano e di lino. Tra queste, S. Bartolomeo di Gaifa, S. Cristoforo dei Valli, S. Andrea in Primicilio, da cui provengono manufatti e interessanti dipinti oggi nella chiesa di S. Maria Assunta di Canavaccio. Perdura ancora l’enigma e la leggenda della contesa tra i due castelli della quattrocentesca campana, su cui era riportata l’arcana iscrizione del SATOR, chiamata Brombolona per via dei dialettali “bromboli” di ghiaccio che vi si formavano d’inverno, da cui il nome anche alla torre che la ospitò fino alla sua sparizione. La parola Gaifa che nomina l’abbazia, la pieve e il castello, deriva dal termine longobardo Waifa che significa “terra di nessuno”. A testimone di questa integrazione tramite il culto di popoli stranieri nel territorio è il bassorilievo con la raffigurazione di un angelo, ancora incastonato come pietra di riuso sopra l'architrave di un ingresso secondario alla pieve. La pieve e l’abbazia delle origini, per tradizione, si vuole siano sorte a loro volta nei terreni di Campo Donico o Adonico, riconducibile forse a un tempio dedicato ad Adone, divinità romana. Testimonianza di questa fase, oltre agli elementi architettonici di riutilizzo quali i capitelli reimpiegati come acquasantiere nella Pieve, sono i ritrovamenti ceramici e lapidei riconducibili ad una villa rustica romana e forse di terme dal vicino torrente. Prove di attività produttiva sono la recente scoperta di una vasca di decantazione, a pochi passi dal conosciuto ritrovamento di fornaci sulla piana sottostante la Pieve, lungo quella che ora è la strada provinciale ricalcante quella che prima era l'antica strada romana confluente nella consolare Flaminia. Quando la storia sembra essere ormai tutta raccontata, Gaifa ci sorprende invece con le sue frequentazioni ancora più antiche, rimaste in testimonianze troppo spesso trascurate come fondi di capanne protostoriche rintracciati nei terrazzamenti circostanti e sepolture purtroppo saccheggiate in diversi luoghi della valle e che avrebbero potuto raccontarci di più sugli insediamenti piceni in tutto il territorio.

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