I Luoghi del Cuore
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ACQUEDOTTO ROMANO

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CASTEL SAN GIORGIO, SALERNO

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ACQUEDOTTO ROMANO
Struttura imponente del I sec. a.C. che, secondo l’opinione comune degli antichi stori­ci, in opera dell’Imperatore Claudio con lo scopo di portare acque abbon­danti e salubri dalle sorgenti di Serino alle popolazioni di antiche ed illustri città come Napoli, Pompei, Nola, Atella, Pozzuoli, e di alimentare un’ampia conserva artificiale, denominata piscina Mirabile nel porto di Miseno, per rifornire di acqua potabile le flotte romane nel mediterraneo. Più volte, nel corso dei secoli, fu presa in considerazione la proposta di un restauro del claudiano acquedotto; il primo incarico fu affidato all’insigne ingegnere Tavolario Lettieri nel 1564 dal vicerè del regno di Napoli don Pietro di Toledo. Altra proposta di restauro fu fatta dal Re Carlo III di Borbone in occasio­ne dell’inizio della costruzione della Reggia di Caserta. Il Re incaricò l’archi­tetto Gaetano Spaltri di verificare la possibilità di portare le pregiatissime acque di Serino alla Reggia. L’architetto per l’occasione diede parere nega­tivo considerando quest’opera assai difficile e dispendiosa. L’ultimo tentativo di restauro fu affidato al famoso ingegnere napoleta­no Felice Abate dal Governo Reale borbonico nell’anno 1841. La lunghezza dell’acquedotto, dalla sua origine fino a Miseno, è di circa 90 Km. E’ tutto rivestito di muratura eccetto i tratti ove fora i banchi di pietra tufo o calcarea) nei quali sono applicati una forte incameratura ed un saldissimo battutto rispettivamente sulle pareti e sul solaio. Esso presenta in tutta la sua lunghezza una sezione rettangolare fino alla imposta della volta e semicircolare o triangolare per la parte superiore; le sue dimensioni interne sono di larghezza m. 0.79 e di altezza m. 1.85. La sua struttura è varia secondo i materiali che offrono i luoghi attraverso i quali esso passa. Il cielo è formato in alcune parti a volta semicilindrica, in altre da grandi lastre d’argilla cotta messe a calvalcioni; le mura laterali sono ricoperte di eccellente incamiciato ed il solaio è formato, in alcuni siti da un battuto di rottami di pietre e mattoni con calcina, in altri da grandi lastre laterizie. L’ing.Felice Abate dedicò uno studio speciale al tratto dell’acquedotto che attraversa la valle di Lanzara comprendente la mirabile galleria che trafora il monte Paterno dal piano di Lanzara a quello di Sarno affinchè si possa trarne una lezione “del modo onde gli antichi romani solevano condurre per traverso i monti i loro incomparabili acquedotti”. L’acquedotto “giunge al casale di Lanzara, quivi costeggiando la montagna che vi rimane imminente dal lato destro e mostrandosi in alcuni siti a fior di terra attraversa un fondo dei signori Calvanese, contiguo al di costoro palaz­zo di abitazione ed immergersi nel luogo stesso sotto terra, per forare un altro monte”. La descrizione dell’ing.Abate continua con “[…] un primo pozzo (spiraglio) essendomi riuscito di scoprire innanzi al palazzo del barone di Paterno il quale era coverto da una gran lapide e vuoto vi trovai l’acquedotto a m.8.72 di profondità del quale tratto anteriore verso il fondo dei signori Calvanese era interamente distrutto ma il tratto posteriore verso il monte era solo per una parte della altezza di tal che un uomo poteva camminarvi per entra a carpone”. Segue la descrizione della mirabile galle­ria: “[…] Così vidi: essere quella galleria forata per un primo tratto, in un banco di tufo, ed in prosieguo nel masso calcareo, la luce di essa corresponde nelle dimensioni al resto dell’acquedotto, le pareti esserne incamiciate di gros­so e ben levigato intonaco e il solaio coverto di saldissimo battuto. Diverse iscrizioni trovai pur tracciate in caratteri rossi sotto il cielo dello speco, taglia­to dallo scalpello nel vivo sasso le quali certamente sarebbe studio importan­tissimo per l’archeologia decifrare […]”. [da "Raccontando Lanzara e dintorni" - 2001, di Francesco Lauro]

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Struttura imponente del I sec. a.C. che, secondo l’opinione comune degli antichi stori­ci, in opera dell’Imperatore Claudio con lo scopo di portare acque abbon­danti e salubri dalle sorgenti di Serino alle popolazioni di antiche ed illustri città come Napoli, Pompei, Nola, Atella, Pozzuoli, e di alimentare un’ampia conserva artificiale, denominata piscina Mirabile nel porto di Miseno, per rifornire di acqua potabile le flotte romane nel mediterraneo. Più volte, nel corso dei secoli, fu presa in considerazione la proposta di un restauro del claudiano acquedotto; il primo incarico fu affidato all’insigne ingegnere Tavolario Lettieri nel 1564 dal vicerè del regno di Napoli don Pietro di Toledo. Altra proposta di restauro fu fatta dal Re Carlo III di Borbone in occasio­ne dell’inizio della costruzione della Reggia di Caserta. Il Re incaricò l’archi­tetto Gaetano Spaltri di verificare la possibilità di portare le pregiatissime acque di Serino alla Reggia. L’architetto per l’occasione diede parere nega­tivo considerando quest’opera assai difficile e dispendiosa. L’ultimo tentativo di restauro fu affidato al famoso ingegnere napoleta­no Felice Abate dal Governo Reale borbonico nell’anno 1841. La lunghezza dell’acquedotto, dalla sua origine fino a Miseno, è di circa 90 Km. E’ tutto rivestito di muratura eccetto i tratti ove fora i banchi di pietra tufo o calcarea) nei quali sono applicati una forte incameratura ed un saldissimo battutto rispettivamente sulle pareti e sul solaio. Esso presenta in tutta la sua lunghezza una sezione rettangolare fino alla imposta della volta e semicircolare o triangolare per la parte superiore; le sue dimensioni interne sono di larghezza m. 0.79 e di altezza m. 1.85. La sua struttura è varia secondo i materiali che offrono i luoghi attraverso i quali esso passa. Il cielo è formato in alcune parti a volta semicilindrica, in altre da grandi lastre d’argilla cotta messe a calvalcioni; le mura laterali sono ricoperte di eccellente incamiciato ed il solaio è formato, in alcuni siti da un battuto di rottami di pietre e mattoni con calcina, in altri da grandi lastre laterizie. L’ing.Felice Abate dedicò uno studio speciale al tratto dell’acquedotto che attraversa la valle di Lanzara comprendente la mirabile galleria che trafora il monte Paterno dal piano di Lanzara a quello di Sarno affinchè si possa trarne una lezione “del modo onde gli antichi romani solevano condurre per traverso i monti i loro incomparabili acquedotti”. L’acquedotto “giunge al casale di Lanzara, quivi costeggiando la montagna che vi rimane imminente dal lato destro e mostrandosi in alcuni siti a fior di terra attraversa un fondo dei signori Calvanese, contiguo al di costoro palaz­zo di abitazione ed immergersi nel luogo stesso sotto terra, per forare un altro monte”. La descrizione dell’ing.Abate continua con “[…] un primo pozzo (spiraglio) essendomi riuscito di scoprire innanzi al palazzo del barone di Paterno il quale era coverto da una gran lapide e vuoto vi trovai l’acquedotto a m.8.72 di profondità del quale tratto anteriore verso il fondo dei signori Calvanese era interamente distrutto ma il tratto posteriore verso il monte era solo per una parte della altezza di tal che un uomo poteva camminarvi per entra a carpone”. Segue la descrizione della mirabile galle­ria: “[…] Così vidi: essere quella galleria forata per un primo tratto, in un banco di tufo, ed in prosieguo nel masso calcareo, la luce di essa corresponde nelle dimensioni al resto dell’acquedotto, le pareti esserne incamiciate di gros­so e ben levigato intonaco e il solaio coverto di saldissimo battuto. Diverse iscrizioni trovai pur tracciate in caratteri rossi sotto il cielo dello speco, taglia­to dallo scalpello nel vivo sasso le quali certamente sarebbe studio importan­tissimo per l’archeologia decifrare […]”. [da "Raccontando Lanzara e dintorni" - 2001, di Francesco Lauro]
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