ABBAZIA DI SANTA MARIA DI CERRATE | ph. Lorenzo Cicconi Massi | © ©FAI

Abbazia di Santa Maria di Cerrate

Il Salento ha un cuore millenario

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Abbazia di Santa Maria di Cerrate

tipologia

Bene aperto al pubblico

contatti

0832 361176
faicerrate@fondoambiente.it

Un gioiello di pietra immerso tra gli ulivi del Salento, dove Oriente e Occidente si incontrano in un intreccio di fede, arte e vita contadina.

Affidata in concessione al FAI dalla Provincia di Lecce, nel 2012

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L’Abbazia di Santa Maria di Cerrate lega la sua fondazione a una leggenda: il re Tancredi d’Altavilla, conte di Lecce, avrebbe visto apparire qui la Madonna durante una battuta di caccia. Storicamente, la fondazione è attestata¿tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo, quando Boemondo d’Altavilla insediò un cenobio di¿monaci greci, seguaci della regola di San Basilio Magno, che ripararono in Salento per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste di Bisanzio. 

Costruita lungo l’antica via romana che collegava Brindisi, Lecce e Otranto, nel tempo l’abbazia si sviluppò fino a divenire uno dei più importanti complessi monastici dell’Italia meridionale. Nel 1531 passò sotto il controllo dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, che ne curò la manutenzione e ne sfruttò le rendite agricole. Dopo il saccheggio dei pirati turchi del 1711, il complesso fu abbandonato e si trasformò in una masseria dedita alla produzione dell’olio e alla lavorazione del tabacco. Nel 1965, la Provincia di Lecce affidò i primi¿lavori di restauro all’architetto Franco Minissi; grazie a un bando pubblico, nel 2012 l’Abbazia venne affidata al FAI. 

La chiesa di Santa Maria, con la sua facciata romanica a capanna, il rosone e il portale scolpito nella pietra leccese, custodisce un patrimonio unico di affreschi bizantini. Nella penombra delle volte, la luce fa risplendere i colori originali, restituendo la potenza simbolica di un’arte che unisce il rigore normanno alla spiritualità orientale. Intorno alla chiesa si dispongono il portico trecentesco, la Casa Monastica, un antico pozzo del 1585, due frantoi ipogei e un mulino a palmenti oggi restaurato dal FAI. Nell’area interna si coltivano aranci del tipo "Portogallo", mentre all’esterno cresce un oliveto sperimentale con varietà resistenti alla xylella, simbolo di rinascita per la terra salentina. 

Un luogo che racconta, in silenzio e bellezza, la doppia anima del Salento: mistica e rurale, bizantina e mediterranea...

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Questo luogo è uno dei Beni che il FAI ha restaurato con cura e aperto al pubblico, perché tutti possano scoprirlo e amarlo.

Per mantenerlo intatto e curarlo in modo adeguato, questo luogo - come tutti gli altri salvati dal FAI - necessita di un’attenta manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, e periodici interventi di restauro. Inoltre, i costi di gestione che permettono l’apertura al pubblico sono significativi. Per questo abbiamo bisogno di un aiuto concreto da parte di chi, come noi, vuole mantenere vivi per sempre luoghi unici e speciali.

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