27 novembre 2023
L’orologio della crisi climatica sta ticchettando, freneticamente, incessantemente, spingendoci verso scenari ancora inesplorati.
Quanto tempo stiamo impiegando per fermarlo, per farlo rallentare? Quanto tempo ci rimane per reagire prima che arrivi a un punto di non ritorno? E come farlo?
In una Venezia simbolo della crisi climatica e insieme in festa per la ricorrenza della Madonna della Salute, il 21 novembre il FAI, nella cornice di Casa Bortoli, ha voluto parlare di tempo e ha voluto farlo con uno sguardo ampio, tramite le voci di esperti che abbracciassero le tematiche del cambiamento climatico, dandogli forma dentro i diversi ambiti della nostra vita.
Il webinar Il tempo del clima è stato condotto dal giornalista e direttore del magazine “Materia Rinnovabile” Emanuele Bompan, il quale ha introdotto il tema del tempo come elemento centrale quando si parla di cambiamento. Tutte le trasformazioni che interessano la nostra società, l'economia, la cultura, la vita quotidiana, le grandi istituzioni internazionali, richiedono tempo. Un tempo che di fronte alla crisi climatica deve essere utilizzato con coscienza e responsabilità, dato che, come cita il giornalista ed editorialista, ci rimangono vent'anni per evitare di superare quella soglia di due gradi centigradi che gli scienziati dicono essere ancora sicura per l’umanità e il Pianeta.
Eppure questa urgenza e necessità di azione – richiesta a gran voce dalle giovani generazioni – si scontra con la lentezza di un cambio di rotta da parte dei sistemi economici, delle amministrazioni pubbliche, degli ordinamenti giudiziari e legislativi internazionali.
Una lentezza che, secondo Lorenzo Fioramonti, Professore Ordinario di Sostenibilità e Direttore dell’Istituto per la Sostenibilità, Università del Surrey (UK), è colpevole e rischia di essere il più grande fallimento della storia dell’umanità. Per l’economista si sostanzia, infatti, un paradosso: più siamo consapevoli e consci di ciò che ci aspetta di fronte ai cambiamenti climatici, più non siamo in grado di agire.
Una delle colpe di questa inerzia è da imputare proprio al modello economico che abbiamo costruito nell’ultimo secolo della nostra storia, un modello basato sull’equivoco secondo cui più consumiamo, più diventiamo ricchi. Nella realtà, invece, ci stiamo impoverendo. Per Fioramonti serve cambiare la nostra concezione di ricchezza, che non sia più una ricchezza finanziaria, dettata dal PIL e legata al denaro, ma che derivi invece dal nostro bene comune, ovvero dall’ambiente e dalla natura e da tutti quei servizi ecosistemici che questi ci offrono.
Il sistema economico oggi dovrebbe quindi portare alla creazione di valori etici ed ecologici, dovrebbe investire in misure che abbiano un impatto sociale positivo, aumentando di conseguenza il benessere della collettività.
E di collettività ha parlato molto Piero Pelizzaro – Responsabile Officina per la Rigenerazione dell’Immobile pubblico, Agenzia del Demanio – portando l’attenzione sui compiti del settore pubblico nel favorire l’interesse comune e contrastare la crisi climatica. Punto chiave su cui agire in questa direzione è una pianificazione lungimirante del territorio, fondata sull’inclusività, sulla mobilità sostenibile, sulla rigenerazione e riqualificazione del patrimonio pubblico, ma soprattutto basata sul dialogo trasparente e continuativo tra le varie amministrazioni.
Di fronte ai cambiamenti climatici vanno ricercate soluzioni comuni, che esulino dai singoli interessi e dai cambi di governo, e che, a ben guardare, possono già essere ritrovate nel patrimonio storico culturale nel nostro Paese.
Dai lucernai ai muretti a secco, dalla raccolta delle acque piovane alla presenza di spazi verdi nelle città e sulle case, tutte soluzioni da ricercare e scoprire nella memoria del nostro passato, il più potente strumento di resilienza di cui disponiamo. Pelizzaro invita infatti a guardare la storia come maestra di vita e a coniugare la bellezza di tutto ciò che ci circonda con la partecipazione delle comunità alla cura del bene comune. Un bene che sopravvive anche grazie alle nostre scelte e che oggi richiede un cambio delle nostre abitudini: produrre meno, consumare meno (e meglio) e… camminare di più.
Un cambio concreto nelle scelte e nello stile di vita della popolazione è stato espresso nelle parole di Barbara Terenghi, Direttore della Sostenibilità di Edison. In un quadro italiano in cui l’installazione di nuova capacità rinnovabile sta accelerando – per quanto ci sia ancora un gap importante da colmare per raggiungere gli obiettivi dettati dall’Unione Europea al 2030 – anche l’autoconsumo collettivo da parte dei cittadini è aumentato.
Si stanno sempre più diffondendo nel sistema Italia le cosiddette comunità energetiche: i nuovi decreti attuativi porteranno le amministrazioni a promuovere comunità rinnovabili in cui si possano associare privati cittadini, piccole imprese e le stesse amministrazioni, in una dimensione collettiva che potrà diventare un modello di riferimento e di emulazione.
Un meccanismo vincente di fronte alle sfide di decarbonizzazione poste dai cambiamenti climatici.
Così come un meccanismo vincente si auspica sia quello delle COP – le conferenze delle parti – che da quasi trent’anni si adoperano per cercare un quadro operativo internazionale per contrastare il cambiamento climatico. A pochi giorni dall'inizio della COP28, Fabio Stevanato, Direttore del Programma Italia di ECF, ha ricordato i temi e le questioni spinose che anche quest’anno i negoziatori dovranno affrontare: primi tra tutti il raggiungimento della neutralità climatica e la polarizzazione tra i paesi del Nord e Sud globale. Quello che negli anni è emerso sempre più è infatti una divisione molto netta tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati sugli obiettivi di decarbonizzazione e sulla disponibilità di allocare risorse finanziare per le misure di mitigazione e adattamento. Una divisione, questa, che rallenta i tempi di azione di fronte a una clessidra che continua inesorabilmente a svuotarsi.
Stevanato ha infatti ricordato il bisogno di trovare nell’Europa una nuova leadership che possa assumere un ruolo di mediatore tra nord e sud globale, così che tutti gli Stati possano coralmente dirigersi verso un’azione collettiva per contrastare i cambiamenti climatici.
E dalla scala globale il sipario torna a chiudersi su Venezia, la città simbolo del cambiamento climatico, destinata a un futuro infausto di fronte a un mare che si sta inevitabilmente alzando.
Andrea Rinaldo, veneziano e insignito del Nobel per l’acqua, richiama l’attenzione su un tema centrale per il tempo presente e per quello futuro: il civismo e l’educazione come basi per promuovere uno sviluppo sostenibile della società.
Un tema che è cuore pulsante dell’operato quotidiano del FAI, che attraverso il suo lavoro tutela e valorizza il patrimonio culturale e paesaggistico del Paese e di fronte alle conseguenze della crisi climatica – quegli eventi metereologici estremi sempre più frequenti che hanno duramente colpito anche i Beni della Fondazione – si impegna concretamente ad investire nella mitigazione e nell’adattamento, ma soprattutto promuove la responsabilità di tutti nei confronti dell’ambiente, il nostro bene comune più grande, da proteggere e da amare.
l FAI è attivamente impegnato nell’azione per contrastare la crisi climatica. La rende concreta mettendo in atto misure di mitigazione e adattamento all’interno dei suoi Beni.
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