26 luglio 2023
Colpiti da una tragedia più grande di noi le parole si fermano e con esse financo i pensieri; si resta muti anche con se stessi nel guardare ciò che non si pensava possibile dover vedere. Di fronte a fatti non solo inaspettati ma nemmeno immaginabili che in pochi istanti di terrore cambiano il paesaggio, anche domestico, in cui viviamo, sferzando le nostre vite con la furia stessa dei tifoni che distruggono i nostri paesi e le nostre campagne e, modificando per sempre la prospettiva nella quale contavamo di continuare a vivere serenamente, ci accorgiamo improvvisamente di essere feriti: tutti gravemente feriti; e spesso non ci resta che il silenzio per piangere. Mi tornano alla mente quelle parole memorabili e drammatiche recitate a fil di voce ma con l’energia del dolore che Papa Paolo VI pronunciò ai funerali di Aldo Moro il 13 maggio 1978:
«Le nostre labbra chiuse come da un enorme ostacolo simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo».
In questi ultimi due drammatici mesi la vita di centinaia di migliaia di italiani è stata devastata da accadimenti inimmaginabili per varietà, numerosità e gravità; chi ha paura della realtà dei fatti, chi fa finta di non vedere e si nasconde dietro a una foglia di fico dicendo che questi eventi estremi ci sono sempre stati, inganna prima di tutto se stesso e, se ha una responsabilità politica, commette il peccato mortale di ingannare i propri elettori; è vero… il Polesine nel 1951… la frana del Vajont nel 1963… l’Arno a Firenze nel 1966…; ma erano eventi rari e distanziati nel tempo.
Ora non è più così! Ora succede tutti i giorni.
Ora in poche settimane l’Emilia-Romagna sott’acqua, la grandine che al Nord raggiunge i 18 cm di diametro, fiumi che esondano ovunque, trombe d’aria mai viste, tempeste furiose che ripetono la tragedia Vaia anche nel centro di Milano mentre il fuoco divora la Sicilia e le isole greche e i termometri raggiungono temperature da pianeta non più vivibile… Ora succede ogni giorno.
Ci si rimbocca le maniche con la caparbietà, l’energia e il senso del dovere e della fratellanza che noi italiani abbiamo sempre saputo trovare e che il mondo ci ha sempre invidiato; ma le bocche sono chiuse, gli animi foschi, i muscoli infiacchiti dalla speranza che tarda a rinascere. Si lotta, non si smette di lottare ma con la forza di una disperazione che viene più dalla paura del futuro che dal trauma di ciò che si è appena vissuto.
Una paura che nasce dalla crescente consapevolezza di essere già oltre un limite che ponevamo in decadi ancora apparentemente lontane… nel 2050 forse…; e invece oggi, estate 2023, quel futuro è già qui.
Ma il senso di impotenza è oggi il nemico peggiore! La sensazione di aver perso la guerra inizia a serpeggiare seminando un panico spesso solo passeggero che, come ogni brutto sogno, si cerca di relegare in angoli reconditi della nostra coscienza…; non è questo, ovviamente, l’atteggiamento di cui c’è bisogno oggi. Ricostruire un esercito dopo una disfatta o, se non vogliamo essere così pessimisti, rafforzarlo dopo troppe battaglie perse ma per non perdere la guerra è la cosa più difficile; ma è quello che con energia, coraggio e anche con l’ottimismo di dovercela fare, aspetta ognuno di noi.
È il momento della mobilitazione personale; è il momento in cui ognuno di noi deve combattere, in prima persona con coraggio e ardore, la sua piccola battaglia con la propria spada di legno, mutando costumi, azioni e politiche di vita personale e familiare. Il FAI, dal canto suo, sarà sempre più impegnato a segnare, con il proprio comportamento, il proprio esempio e le sue azioni educative, la via da seguire; e a reclamare, forte dei suoi quasi 270 mila iscritti, quelle scelte e quelle politiche di intervento che le istituzioni non possono più procrastinare nella consapevolezza che contrastare il riscaldamento globale è la madre di tutte le battaglie, ma anche conscio della inderogabile necessità di preservare il paesaggio del Paese più bello del mondo. Se si sta ad aspettare che le grandi potenze, grandi responsabili di ciò che sta succedendo, armino i loro eserciti mentre noi continuiamo a cantare come cicale (per poi essere calpestati dallo scarpone che ci schiaccia al suo passaggio) non facciamo che allargare le nostre ferite; curiamole invece anche col buon senso, la determinazione e il senso civico che – lo sappiamo – ognuno di noi può e deve personalmente sfoderare nell’ora del bisogno.
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