27 maggio 2024
La nostra terra. Il nostro futuro è lo slogan della Giornata Mondiale dell’Ambiente di quest’anno: un’occasione per riportare le questioni ambientali al centro del dibattito pubblico e far sì che le persone accrescano la consapevolezza e diventino agenti attivi del cambiamento verso modelli di vita più sostenibili. Celebrata ogni anno il 5 giugno per ricordare la prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente tenutasi a Stoccolma nel 1972, è anche l’occasione per riflettere sui diritti e le responsabilità dell’uomo in relazione al Pianeta che abitiamo.
Quest’anno la Giornata Mondiale dell’Ambiente vuole riportare l’attenzione alla terra, non solo quella che abitiamo, con la T maiuscola, ma anche quella che tutti i giorni è sotto i nostri piedi, che ci permette la vita, con la sua capacità di sostenere le colture, di filtrare le acque e di essere uno dei nostri maggiori regolatori del clima. Terra che diventa territorio, ambiente e paesaggio a seconda dello sguardo con cui la osserviamo e che, in ogni sua accezione, sta venendo profondamente trasformata dall’uomo e dai drastici effetti dei cambiamenti climatici. L’erosione dei suoli dovuta alle violente piogge, la loro perdita di fertilità a causa della desertificazione, l’alterazione del ciclo dell’acqua, l’aumento di frequenza e intensità dei fenomeni metereologici estremi sono solo alcune delle conseguenze che già stiamo vivendo sulla nostra pelle.
La Giornata Mondiale dell’Ambiente vuole quindi riportare al centro la terra – una Terra oggi più vulnerabile, che ha bisogno di essere rispetta e curata – per spingere il dibattito pubblico e i governatori a pensare e mettere in atto soluzioni per il ripristino del territorio, la lotta alla desertificazione e la resilienza alla siccità.
All’interno di questo quadro il FAI vuole ricordare proprio quelle misure virtuose in armonia con la natura che tradizionalmente l’uomo ha messo in pratica per far fronte alle condizioni “ostili” dettate dal clima: quelle soluzioni e misure che la Fondazione stessa ripropone all’interno dei suoi Beni.
Conoscere è il primo passo per agire
Al Giardino delle Kolymbethra nella Valle dei Templi di Agrigento, per esempio, si stanno recuperando le piante della tradizione siciliana, prima tra tutte il carrubo, per ampliare le zone ombreggiate e “difendersi” dall’aumento delle temperature e dell’irraggiamento solare. Chiamato proprio l’albero dell’ombra, il carrubo è una specie sempreverde tipica della vegetazione a “macchia” dell’area Mediterranea, in grado di adattarsi in luoghi aridi e resistere alla siccità. Parte integrante del paesaggio agrario siciliano, la sua coltivazione ha origini antichissime e trova fondamento nell’utilizzo dei baccelli sia per il consumo umano sia come alimento per gli animali, ma la sua funzione si estende dal materiale all’immateriale, da quella economica a quella ambientale e culturale, perché sotto le sue chiome folte e il fitto fogliame gli uomini e gli animali hanno sempre trovato riparo e ristoro da quel sole che incessantemente bacia le terre della Trinacria.
All’Orto sul Colle dell’Infinito a Recanati (MC), invece, la cura della terra è riportata al dettaglio: nel piccolo appezzamento coltivato in modo biologico sono utilizzati solo prodotti naturali, il suolo è arricchito con concimazioni organiche a base di humus e le risulte vegetali vengono riciclate; sono presenti diverse varietà di fiori per favorire gli impollinatori e viene praticata la consociazione tra le specie orticole. Si tratta di un orto che vuole mantenere viva la tradizione agronomica, conciliando l’attenzione al benessere del suolo e della biodiversità con il portato culturale di quelle terre.
La maggior parte delle colture ortive proviene infatti da semi antichi, legati alla tradizione e alla memoria contadina.
Tra queste spicca il Pomodoro Varrone ottenuto dall'Agronomo Nazareno Strampelli nei primi decenni del '900 grazie all’incrocio tra una pregiata varietà inglese resistente alla siccità – il Sutton’s Best of All – e varietà italiane resistenti alla peronospora, operando così un miglioramento genetico dal punto di vista di resistenza e adattabilità all'ambiente e oggi anche ai cambiamenti climatici. I semi di questa varietà, che si credeva perduta, sono stati ritrovati nel 2015 dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università Politecnica delle Marche nella Banca del Germoplasma dell’Istituto Vavilov (VIR) di San Pietroburgo e successivamente sono stati donati al FAI.
E non finisce qui, perché a svolgere importanti funzioni ecologiche e paesaggistiche di difesa e ripristino del territorio ci sono anche i muretti a secco. Recuperati e ripristinati in molti Beni del FAI – da Podere Case Lovara nel parco delle Cinque Terre, a Castel Grumello in Valtellina, fino al Borgo di San Fruttuoso nel golfo di Camogli e alla Baia di Ieranto – queste strutture costruite fin dai tempi più antichi possono aiutarci nella sfida di aumentare la resilienza del territorio ai cambiamenti climatici. La loro presenza aiuta non solo a frenare la violenza dell’acqua e a combattere l’erosione del suolo, ma riveste anche un’importante funzione nella lotta alla desertificazione. Le culture che si sono dovute adattare alla scarsità della risorsa idrica hanno infatti utilizzato le costruzioni in pietra a secco come “collettori” di umidità, come superfici di captazione dell’acqua presente nell’atmosfera e negli interstizi del suolo.
La resilienza del carrubo in Sicilia, la riscoperta di antiche varietà di ortaggi resistenti alla siccità, il ripristino dei muretti a secco sono tutti paesaggi agrari e di vita che appartengono alla storia e che oggi, di fronte alle sfide poste dai cambiamenti climatici, possono rappresentare il futuro.
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