19 ottobre 2021
Un viaggio particolare nei Beni del FAI attraversa tutta l’Italia, da nord a sud, e segue le tracce di un elemento che in diverse forme e per diversi motivi caratterizza i paesaggi del nostro Paese: il muretto a secco.
Un elemento del paesaggio che all’apparenza può sembrare molto semplice, il muro in pietra a secco è costituito da sassi e massi sistemati una sopra l’altro senza l’aiuto di altri materiali. Questa tecnica di composizione e costruzione, in realtà è una vera e propria Arte, custode di un immenso valore ambientale, culturale e sociale, tanto da essere stata iscritta nel 2018 dall’UNESCO nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell’umanità, perché rappresenta “una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura”.
Testimonianza dei metodi usati dalla preistoria ai giorni nostri per organizzare la vita e gli spazi lavorativi, i muretti a secco erano diffusi nel Mediterraneo per costruire rifugi, i “pagghiari” in Salento, per suddividere i terreni, come quelli che circondano l’Abbazia di S. Maria di Cerrate, o per allevare il bestiame e lavorare il formaggio, come i “barek” e i “calecc” dell’Alpe Pedroria e Madrera in Valtellina, sulle Alpi Orobie, che il FAI ha recuperato e restaurato.
Gli antichi muri a secco possono aiutarci nella sfida epocale, quella di aumentare la resilienza del territorio al cambiamento climatico, scopriamo come.
I muretti a secco in pietra sono uno spazio vitale prezioso, non solo per l’uomo ma anche per le piante e gli animali, che qui, tra gli interstizi delle pietre, trovano condizioni favorevoli per vivere e diffondersi: uno scrigno di pietra custode della biodiversità della fauna e della flora spontanea; sono corridoi ecologici, per insetti, piccoli rettili, anfibi, uccelli che trovano infiniti anfratti tra le pietre, dove rifugiarsi e nidificare.
Addirittura nel Giardino Pantesco a Pantelleria un alto muro a secco protegge dal vento e disseta un grande albero di agrumi, grazie alle gocce di condensa che di notte si formano sulle sue pietre e di giorno bagnano la terra. Vicino ai muri a secco si crea un dunque microclima particolare che permette di superare i periodi più duri di siccità: la pietra raccoglie l'umidità dell'aria e la cede gradualmente al terreno.
Ma non solo: lungo i muri a secco l’acqua piovana rallenta e scorre via nelle fessure tra le pietre, per poi venire raccolta nelle canalette. E’ per questo motivo che questi manufatti rivestono un ruolo vitale di difesa del suolo e prevenzione dalle frane. Come quelli diffusi nel fragile territorio ligure, sui terrazzamenti del Podere Case Lovara a Punta Mesco nel Parco delle Cinque Terre, o sul Monte di Portofino nel Borgo di San Fruttuoso, dove il FAI sta lavorando per recuperare i numerosi tratti di muretti a secco diffusi sui versanti.
La tecnica del muro a secco è una pratica antica che cambia a seconda della funzione, che si adatta alle caratteristiche ambientali di ogni luogo e che si serve di pochi semplici materiali reperibili direttamente in loco. Un elemento dunque unico e versatile che si trasforma da paesaggio a paesaggio di regione in regione. E’ un sapere tradizionale che viene tramandato da generazioni, messo in crisi oggi dall’abbandono delle aree rurali e dai grandi cambiamenti della produzione agricola, ma ancora vivo grazie alle tante maestranze locali e scuole di artigiani presenti in tutta Italia.
I muretti a secco sono testimoni di un modo di “vivere lasciando vivere la terra”, che oggi stiamo dimenticando. Un elemento che riconnette l’uomo alla natura, un patrimonio fondamentale, da conservare, proteggere e valorizzare anche come utile baluardo al cambiamento climatico.
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