19 gennaio 2024
L’urgenza di questo provvedimento è nei fatti: eventi estremi sempre più violenti e frequenti – dalle piogge intense ai forti venti, dalla siccità alle alluvioni – si acuiscono anche nel nostro Paese, considerato un hot spot climatico.
Il FAI solo nello scorso 2023 ha subito in molti Beni gravi danni: in maggio temporali eccezionali con venti fortissimi e grandinate mai viste hanno sfregiato il giardino di Villa del Balbianello sul lago di Como. A giugno il Bosco di San Francesco, in Umbria, è stato violentemente investito dall’esondazione del torrente Tescio. A luglio, in Veneto, trombe d’aria hanno colpito Villa dei Vescovi e un violento nubifragio ha segnato Villa Necchi Campiglio a Milano.
Il Piano Nazionale sull’Adattamento risulta quanto mai necessario sia per garantire l’incolumità dei cittadini sia per assicurare maggiore resilienza di fronte alle conseguenze sempre più evidenti dei cambiamenti climatici.
L’obiettivo principale del PNACC è fornire un quadro e uno strumento per intraprendere azioni finalizzate a ridurre i rischi derivanti dai cambiamenti climatici e migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socioeconomici e naturali. Dal momento che i cambiamenti climatici hanno impatti trasversali sugli ecosistemi, sull’uomo e su tutte le sue attività, le azioni di adattamento non possono che essere trasversali, fondate su solide basi scientifiche e sostenute da un’efficiente struttura amministrativa, che sappia coinvolgere la totalità dei settori e delle competenze. Condizioni non sempre avvalorate nel contesto nazionale.
Il PNACC è composto da un documento principale e da quattro allegati, per un totale di più di 900 pagine. Il documento di piano vero e proprio è un compendio di diversi punti, tra cui il quadro giuridico in cui l’Italia è inserita e il quadro climatico, nel quale vengono mappate le criticità ambientali e gli impatti dei cambiamenti climatici a scala nazionale.
Se questi primi punti sono ben documentati e si basano su solide basi scientifiche, più vaghi risultano gli altri due: le risorse finanziarie e la governance di livello nazionale.
Tra gli allegati, invece, è stato preparato un corposo foglio Excel che contiene una lista di 361 misure per rendere i vari settori più resilienti (risorse idriche, agricoltura, energia, foreste, insediamenti urbani, trasporti e altri ancora).
Alcune delle misure contenute in questo database sono rivolte al patrimonio culturale e al passaggio, considerati particolarmente vulnerabili di fronte agli eventi metereologici estremi e ai rischi legati al dissesto idrogeologico.
Le proposte avanzate dal Piano vanno dal miglioramento delle conoscenze e dei programmi di formazione su tecniche edilizie tradizionali, al monitoraggio continuo dei materiali e del loro degrado, ma annoverano anche l’introduzione di agevolazioni fiscali per la manutenzione e protezione del patrimonio e il ripristino di tecniche e pratiche legate ai paesaggi rurali tradizionali.
Sotto il profilo della governance, il piano prevede l’istituzione di un Osservatorio nazionale con il compito di individuare le priorità territoriali e monitorare l’efficacia delle azioni di adattamento.
Una sorta di tavolo di coordinamento e confronto per l’aggiornamento e la pianificazione.
Se è ben definito quanti membri formeranno il Comitato dell’Osservatorio (16) e da quali Ministeri saranno scelti, meno chiare rimangono la natura dei ruoli, se su base volontaria o meno, e le risorse per sostenere finanziariamente questo organo.
A fianco dell’Osservatorio dovrebbe poi costituirsi un Forum di confronto tra i diversi soggetti e a tutti i livelli, con la funzione di garantire il coinvolgimento di tutta la società civile nell’implementazione delle politiche pubbliche.
Una volta costituito l’Osservatorio saranno le varie amministrazioni regionali e comunali a dover preparare delle strategie e dei piani di adattamento, individuando le misure appropriate per ogni settore e identificando la struttura responsabile dell’attuazione.
Ma è lo stesso piano a mettere in luce come «la ramificazione dei livelli di governance in Italia rende complessa la mappatura delle competenze delle strutture amministrative e dei rispettivi ruoli nel campo nell’adattamento poiché la trasversalità delle azioni impone il coinvolgimento di quasi tutti, se non tutti, i piani, programmi e progetti di ogni dipartimento».
Come esempi virtuosi sono state riportate alcune amministrazioni locali che hanno predisposto ad hoc degli uffici per il coordinamento delle politiche ambientali: a Genova l’Ufficio resilienza, a Milano e a Roma lo “Chief Resilience Officer”, a Padova l’Ufficio Ambiente e altri ancora. Figure oramai imprescindibili, che dimostrano quanto sia necessario rafforzare a scala nazionale la capacity building climatica e formare esperti che sappiano analizzare il contesto attuale e redigere una pianificazione adeguata.
Per attuare tutte le misure di adattamento servono però risorse economiche adeguate, ma sono proprio queste le grandi assenti del Piano.
Il PNACC, infatti, non beneficia di risorse proprie. Nel testo si prevede che siano le singole amministrazioni a dover ricercare attraverso i fondi diretti (programmi LIFE ed Horizon) e indiretti (dal Fondo di coesione al Fondo europeo di sviluppo regionale) i soldi per implementare le misure di adattamento. E nemmeno nella legge di bilancio approvata nell’ottobre del 2023 vengono previsti dei finanziamenti.
Risorse che invece dovrebbero essere prioritarie vista la portata e le conseguenze delle crisi climatica che stiamo vivendo.
A questo riguardo, il direttore scientifico dell’ASviS, Enrico Giovannini, ha sottolineato come: «Bisogna urgentemente valutare se e come gli investimenti previsti dal Pnrr o quelli finanziati da altri strumenti, come i fondi europei e nazionali per la coesione, possano contribuire alla realizzazione del Piano. Tali analisi vanno condotte entro marzo, così da poter valutare in occasione della preparazione del prossimo Documento di Economia e Finanza eventuali correzioni da riversare poi nella Legge di bilancio per il 2025. Le politiche di contrasto e di adattamento alla crisi climatica devono essere considerate prioritarie dal Governo, dalle Regioni e dai Comuni, per scongiurare disastri come quelli degli ultimi anni e rendere le nostre infrastrutture resilienti».
Anche il FAI sta lavorando allo sviluppo di un Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici per implementare la resilienza dei suoi Beni e creare una mappatura del rischio sempre più dettagliata dei territori in cui sono ubicati.
Sulla base delle fonti scientifiche più autorevoli verranno infatti individuati i territori più esposti e i potenziali rischi climatici a cui potrebbero essere soggetti i Beni in futuro. Questa analisi permetterà al FAI di implementare le azioni e le misure preventive che proteggano il patrimonio storico-culturale e il paesaggio rendendolo più resiliente di fronte alle nefaste conseguenze dei cambiamenti climatici.
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