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TORRENTE FANDAGLIA

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BARBANIA, TORINO

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TORRENTE FANDAGLIA
È un corso d’acqua discreto, il Fandaglia. Non vuole arrecare disturbo e per questo compie gran parte del suo viaggio all’interno di valli profonde e coperte da fitti boschi. Tant’è che, per godere dei giochi di luce generati dalla sua acqua limpida, oppure concedersi una salutare rinfrescata, è gioco forza zampettare su ripidi e talvolta scivolosi tratturi. Ma va bene così: bisogna guadagnarselo, il Fandaglia. Già cercarne la sorgente è un’impresa da esploratori motivati e, soprattutto, incuranti dei graffi di rovo e punture di ortica. Le intricate boscaglie di bassa quota e gli anfratti delle montagne fra Corio e Lanzo, anche se prossime alla pianura, non si prestano all’abbandono dei sentieri. Vegetazione rigogliosa significa però ricchezza d’acqua e il generoso fiotto con cui il Fandaglia esce da una vasca di raccolta lo conferma. Ci troviamo ai piedi del crinale che unisce il Pilone del Merlo al Pian della Rossa e, secondo attendibili informazioni, è qui che si può collocare la sorgente. Il tempo di vedere la luce e il Nostro salta subito via veloce: soltanto a valle della Borgata Cudine, in un’ampia e amena conca, rallenta la sua corsa. Unito al Rio del Prato e ad altri confratelli, saltella fra radure e boschetti per il diletto degli abitanti di Case Plà e Case Poeta. E’ questo un angolo davvero attraente. Un tavolo con panchine, collocato con sapienza montanara a mezz’ombra (ombra gaia), consente al viandante non frettoloso il piacere di una sosta cullati dalla melodia minimale dello scorrere dell’acqua. L’ameno valloncello è però solo un intervallo, ben presto il rio, gagliardo e sfuggente, saluta radure, boschetti e viandanti e s’infossa nel profondo di una gola. Per ribadire il carattere schivo, ai piedi del Bric della Frera si intrufola in una vera e propria gola: si trova il canyon del Fandaglia, che “grande” come il suo omologo d’oltre oceano non sarà, ma, nel suo piccolo, suggestione la crea eccome. A metà del suo viaggio, scavato nel pianalto delle Vaude, il Fandaglia riserva il tratto più spettacolare, in grado di offrire scampoli di adrenalina a quanti, scesi al Mulino Bertetto, si avventurano sul sentierino aggrappato alle pareti della gola. All’uscita, un’inattesa cascatella che precipita in una pozza (la classica goja) è il giusto premio per gli ardimentosi. Auspico che a nessun valorizzatore venga in mente di installare in quest’angolo di wilderness locale un “percorso avventura”. Per quella bastano d’estate le pozze limpide e d’inverno, udite udite, vi si riscopre pure il freddo. Metà maggio, quel fuggevole intervallo di tempo in cui convivono in fiore acacie, biancospino e margherite, è invece il periodo propizio per spingersi lungo il corso del Fandaglia nel tratto compreso fra la Sp 23 e la Sp 34. Al limite delle Vaude, con la Borgata Boschi che vigila dall’alto, il Nostro si concede finalmente con facilità, disegnando anse in un vallone ampio e accogliente, dispensatore di bucoliche sensazioni e aromi di miele e sambuco. “Si va dunque a fare conoscenza con il vallone del Rio Fandaglia, fra geometrie di campi coltivati e sparuti gruppi di abitazioni, filari di salici e incontri con poiane e caprioli. A maggio avvolti dal profumo di acacia, oppure a settembre con il sole garbato e le ombre più gagliarde, e il tempo che scivola via, impalpabile, verso l’autunno e le brine dell’inverno”. Scivola via insieme all’acqua del Fandaglia: il ponte sulla Sp 34 segna l’ultima parte del suo viaggio. I monti e le Vaude sono alle spalle e il Nostro si concede un breve scampolo di pianura. Quieto e appagato, ondeggia fra prati e ripe di acacia e, senza rimpianti, se ne va incontro al suo destino. Poco lontano scorre Amalunes: il suo destino. Bando alla nostalgia, il Fandaglia si concede senza remora, il suo è stato un viaggio breve ma avventuroso.

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È un corso d’acqua discreto, il Fandaglia. Non vuole arrecare disturbo e per questo compie gran parte del suo viaggio all’interno di valli profonde e coperte da fitti boschi. Tant’è che, per godere dei giochi di luce generati dalla sua acqua limpida, oppure concedersi una salutare rinfrescata, è gioco forza zampettare su ripidi e talvolta scivolosi tratturi. Ma va bene così: bisogna guadagnarselo, il Fandaglia. Già cercarne la sorgente è un’impresa da esploratori motivati e, soprattutto, incuranti dei graffi di rovo e punture di ortica. Le intricate boscaglie di bassa quota e gli anfratti delle montagne fra Corio e Lanzo, anche se prossime alla pianura, non si prestano all’abbandono dei sentieri. Vegetazione rigogliosa significa però ricchezza d’acqua e il generoso fiotto con cui il Fandaglia esce da una vasca di raccolta lo conferma. Ci troviamo ai piedi del crinale che unisce il Pilone del Merlo al Pian della Rossa e, secondo attendibili informazioni, è qui che si può collocare la sorgente. Il tempo di vedere la luce e il Nostro salta subito via veloce: soltanto a valle della Borgata Cudine, in un’ampia e amena conca, rallenta la sua corsa. Unito al Rio del Prato e ad altri confratelli, saltella fra radure e boschetti per il diletto degli abitanti di Case Plà e Case Poeta. E’ questo un angolo davvero attraente. Un tavolo con panchine, collocato con sapienza montanara a mezz’ombra (ombra gaia), consente al viandante non frettoloso il piacere di una sosta cullati dalla melodia minimale dello scorrere dell’acqua. L’ameno valloncello è però solo un intervallo, ben presto il rio, gagliardo e sfuggente, saluta radure, boschetti e viandanti e s’infossa nel profondo di una gola. Per ribadire il carattere schivo, ai piedi del Bric della Frera si intrufola in una vera e propria gola: si trova il canyon del Fandaglia, che “grande” come il suo omologo d’oltre oceano non sarà, ma, nel suo piccolo, suggestione la crea eccome. A metà del suo viaggio, scavato nel pianalto delle Vaude, il Fandaglia riserva il tratto più spettacolare, in grado di offrire scampoli di adrenalina a quanti, scesi al Mulino Bertetto, si avventurano sul sentierino aggrappato alle pareti della gola. All’uscita, un’inattesa cascatella che precipita in una pozza (la classica goja) è il giusto premio per gli ardimentosi. Auspico che a nessun valorizzatore venga in mente di installare in quest’angolo di wilderness locale un “percorso avventura”. Per quella bastano d’estate le pozze limpide e d’inverno, udite udite, vi si riscopre pure il freddo. Metà maggio, quel fuggevole intervallo di tempo in cui convivono in fiore acacie, biancospino e margherite, è invece il periodo propizio per spingersi lungo il corso del Fandaglia nel tratto compreso fra la Sp 23 e la Sp 34. Al limite delle Vaude, con la Borgata Boschi che vigila dall’alto, il Nostro si concede finalmente con facilità, disegnando anse in un vallone ampio e accogliente, dispensatore di bucoliche sensazioni e aromi di miele e sambuco. “Si va dunque a fare conoscenza con il vallone del Rio Fandaglia, fra geometrie di campi coltivati e sparuti gruppi di abitazioni, filari di salici e incontri con poiane e caprioli. A maggio avvolti dal profumo di acacia, oppure a settembre con il sole garbato e le ombre più gagliarde, e il tempo che scivola via, impalpabile, verso l’autunno e le brine dell’inverno”. Scivola via insieme all’acqua del Fandaglia: il ponte sulla Sp 34 segna l’ultima parte del suo viaggio. I monti e le Vaude sono alle spalle e il Nostro si concede un breve scampolo di pianura. Quieto e appagato, ondeggia fra prati e ripe di acacia e, senza rimpianti, se ne va incontro al suo destino. Poco lontano scorre Amalunes: il suo destino. Bando alla nostalgia, il Fandaglia si concede senza remora, il suo è stato un viaggio breve ma avventuroso.
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