Sul monte di fronte ai ruderi dell’antico castello di Pietracuta, si trova il complesso conventuale domenicano, dalle solenni linee architettoniche rinascimentali.
In realtà, la sua costruzione risale alla prima metà del XVII secolo, per volontà del nobiluomo pietracutese Giovanni Sinibaldi, che fra le numerose cariche ricoperte fu anche Governatore di Rimini nel 1616. Egli, per pia devozione e non solo, elargì numerosi danari in vita e per volontà testamentarie, affinché fosse portata a termine l’opera che solo dopo la sua morte, avvenuta nel luglio 1649, fu completata ed ospitò i primi frati domenicani provenienti da Rimini (1655 ca.).
Oltre alla preghiera e alla predica, i fratelli si dedicavano anche alla coltivazione del riso nelle vicine aree paludose del fiume Marecchia; una coltura questa, vietata negli anni ottanta del secolo XVIII dal Consiglio comunale di Pietracuta, per le gravissime epidemie che colpirono i suoi abitanti.
L’intero complesso è costruito con mattoni di produzione locale che, a seconda della qualità di cottura e del tipo di materiale, hanno assunto sfumature cromatiche differenti, mentre scarsi ma di notevole effetto sono gli inserti in bianco d’Istria. La facciata in cotto della chiesa è scandita da quattro lesene impostate su alti piedritti di disegno classico, identici a quelli usati da Raffaello nelle stalle Chigi verso via Lungara a Roma. Ad essa s’innesta, il prospetto del convento sempre in laterizio, percorso da due fasce di pietra bianca.
I portali originali dell’edificio non esistono più. I due lati conservati del chiostro -con vera centrale- sono costituiti ognuno da quattro arcate, sostenute da colonne in arenaria di ordine tuscanico; due di quelle angolari recano scolpito sul capitello lo stemma dei Sinibaldi.
La chiesa è a pianta rettangolare, la così detta aula usuale nella tipologia monastica, con una grande abside quadrangolare che ospitava il coro, è percorsa per tutto il suo perimetro da un cornicione dentellato. Ai lati della navata quattro arcate simmetriche individuano lo spazio degli altari laterali distrutti; quello del crocefisso presenta ancora la decorazione ad affresco con motivi architettonici in prospettiva.
La navata e l’abside sono separate da un arco trionfale, decorato nell’intradosso da cassettoni in stucco che alternano rosoni di gusto classico a grandi stelle a sei punte, emblema araldico dei Sinibaldi. La volta dell’abside è decorata al centro da una cornice polilobata. L’unico altare rimasto è quello maggiore, seppur mutilo dei suoi intagli lignei e del paliotto in scagliola. All’origine, completa dei suoi arredi, la chiesa doveva presentarsi ricca di decorazioni, partecipe dell’opulenta vivacità illusionistica del gusto barocco.
L’edificio monastico che si snoda su due piani presenta di particolare interesse il refettorio a pianterreno, con grande volta a crociera, sottolineata da costoloni in stucco modellato a rosette e volute che dai quattro angoli si svolgono sino ai tre spazi centinati al centro della volta. Al piano superiore, raggiungibile attraverso uno scalone principale o una stretta scaletta ricavata alla base del campanile, vi sono sei stanze di varia grandezza, con varie tipologie della volta a crociera: dalla forma più semplice ed arcaica senza costoloni ad una vera e propria volta ad ombrello culminante in una stella centrale che si ripete anche nel pavimento di cotto della terza sala; la seconda è detta degli angeli perché presenta ancora alcuni putti in gesso che originariamente la decoravano su tutte e quattro le pareti ad un’altezza di circa due metri e mezzo.