Malgrado il progressivo degrado a cui sembra avviato a causa degli incendi dolosi, il pascolo eccessivo, le prospezioni petrolifere, l’incuria o l’impotenza amministrativa, il Bosco di Santo Pietro rappresenta il più vasto relitto di sughereta mista a lecceta della Sicilia centro meridionale e conserva in se lembi di struggente bellezza in grado di evocare il fascino dell’antica foresta a galleria della macchia mediterranea .
Donato agli abitanti di Caltagirone dal conte Ruggero detto il Normanno nella seconda metà del dodicesimo secolo, fino alla fine dell’ultimo conflitto mondiale il bosco di S. Pietro ha rappresentato il più grosso cespite di ricchezza della città di Caltagirone, un immenso capitale naturale ed economico che, a titolo di esempio consentì a quella città di ricostruire autonomamente i principali monumenti pubblici dopo il disastroso terremoto del 1693. Da una sola “decortica” di sughero si ricavavano fino a 15.000 “carretti” di preziosa scorza principalmente destinata alla produzione di tappi in una miriade di grandi e piccole fabbriche sparse su tutta la città. Per non parlare dei pascoli, degli affitti, del moiele, della vendita di legname e di carbone, mentre gli usi civici come il frascaggio, il legnatico, il fungatico, l’erbatico, e la consuetudine della caccia davano ai cittadini la possibilità di integrare i loro magri redditi.
In sintesi, se nel '600 era normale pagare i contratti di affitto in termini di rotoli di carne di cervo reperita sul posto oggi il Bosco di Santo Pietro è soltanto un vago ricordo di se stesso immerso in un territorio classificato arido e desertico su una fascia altimetrica che dai 400 metri di contrada Corvacchio lentamente degrada fino ai 50 metri misurati nei pressi della medievale Abbazia di Terrana, un tempo proprietà del vescovo di Betlem.
Eppure il suo rilievo storico e culturale è ancora molto radicato nel sentimento popolare ed il suo valore scientifico-naturalistico è ancora notevole per l’indice di biodiversità che in esso resiste e si conserva: oltre 400 specie di vegetali alcuni dei quali anche rari, circa 100 di fauna avicola, tendenzialmente in crescita e mammiferi come la Martora, l’istrice, il gatto selvatico; e inoltre rettili come la Testudo hermanni, il Biacco, il Colubro leopardino, la vipera, per non parlare della leggendaria Culovia.
Nel 2000, all’alba del millennio, questo luogo diventa finalmente la Riserva naturale orientata “Bosco di Santo Pietro” ma dopo appena cinque anni di vita autonoma, in cui cominciavano già a balenare scintille di rinascita la riserva viene re-inghiottita nel ventre molle della burocrazia a causa della mancata pubblicazione del decreto istitutivo in uno sperduto albo pubblico di periferia e ritorna nel limbo delle riserve ancora da istituire e così in questi ultimi dieci anni il bosco ha continuato a perdere, a causa degli incendi, parti consistenti: nel 2018 bruciarono circa 800 ettari, nel luglio del 2020 altri 20 ettari circa, eppure diverse sono le storie che il bosco potrebbe raccontare e le attività che ancora potrebbe offrire, se lo strappassimo al degrado in cui versa in certe sue zone, se valorizzassimo certi meravigliosi percorsi naturalistici, certe risorse presenti nel territorio come la Stazione Sperimentale di granicoltura,la pista aerea militare e i vari bunker militari, testimoni del secondo conflitto mondiale.
Per la sua storia e per quello che ancora rappresenta sotto il profilo naturalistico paesaggistico e scrigno di saperi e di possibilità ancora verosimili noi ci battiamo per restituire la dignità di territorio attivamente protetto a questo fragile relitto di ecosistema, ultimo lembo delle antiche foreste autoctone di tutto quel teritorio chiamato anche Vallo di Noto.
Ecco perché vorremmo che il Bosco di Santo Pietro diventasse anche il Vostro luogo del Cuore!