Curiamo il paesaggio, coltivandolo

Curiamo il paesaggio, coltivandolo

#ColtivareilPaesaggio

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Coltivare il paesaggio

    Per millenni l’uomo ha trasformato i territori che abitava per renderli idonei ai propri bisogni. In particolare, l’attività agricola, iniziata più di 10.000 anni fa, ha plasmato buona parte dei paesaggi del mondo, rendendoli il frutto di una lenta e costante coevoluzione tra natura e cultura, di un progetto collettivo misurato sulle risorse disponibili e sull’ingegno umano. Le lavorazioni del terreno, la perimetrazione dei campi, la creazione di terrazzamenti e muri a secco, la regimentazione delle acque sono state pratiche condotte in equilibrio dinamico con l’ambiente, che hanno creato un mosaico vario e diversificato, unico per ogni territorio in quanto ad assetto e varietà colturali, definendo le matrici del paesaggio.

    "Per secoli i contadini hanno modellato la terra costruendo ardite terrazze come nelle Cinque Terre o in Cina, nello Guangxi, correggendo leggermente l’inclinazione dei campi per consentire alle tiepide acque del sottosuolo quel percolamento che, nelle marcite della pianura padana, consentiva la crescita del foraggio anche con il gelo. Gli esempi sono infiniti e la quantità di lavoro impressionante. Per secoli quella moltitudine ha anche garantito la cura e la manutenzione del territorio di cui tutti - anche chi contadino non era o non è - hanno beneficiato: pulizia delle sorgenti, dei torrenti e dei boschi; costruzione e manutenzione dei muretti a secco e delle siepi, così importanti per la biodiversità; cura dei fossi per lo scolo delle acque piovane... tutti lavori di cui la società è sempre stata debitrice a questa infinita, umile e infaticabile moltitudine silenziosa al cui lavoro secolare dobbiamo la meraviglia, la varietà e la antica ricchezza del paesaggio italiano. Un’opera dell’uomo in continuo divenire a seconda delle esigenze della popolazione che ci vive, del clima, del variare delle tecniche colturali. Un’opera che muta e che non è mai uguale a se stessa ma fragile e delicata come le altre e, ahimè, ancor più delle altre esposta ai pericoli dell’abbandono." Marco Magnifico

    Monte Fontana Secca, Bene FAI a Quero Vas (BL)
    Abbazia di Santa Maria di Cerrate, Bene FAI a Lecce
    L'ortaglia di Palazzo Moroni, Bene FAI a Bergamo
    La Baia di Ieranto, Bene FAI a Massa Lubrense (NA)
    Dalle pratiche tradizionali alla meccanizzazione: l’impatto della “Rivoluzione verde”

    Se queste pratiche si sono mantenute quasi invariate per secoli, nel secondo dopoguerra le veloci trasformazioni economiche e sociali hanno segnato un loro radicale cambiamento. L’agricoltura tradizionale è così mutata sotto le spinte della "Rivoluzione Verde" o "terza rivoluzione agricola", del rapido sviluppo tecnologico, della meccanizzazione, dell’apertura dei mercati internazionali. Il modello agricolo che la "Rivoluzione verde" ha lentamente imposto e diffuso – a partire dagli anni Quaranta dello scorso secolo sotto la guida del genetista americano Norman Borlaug (premio Nobel per la Pace nel 1970), che per incrementare le rese di grano e mais e soddisfare la crescente domanda di cibo, creò nuove varietà ad alto rendimento e ideali per la meccanizzazione - ha visto nel tempo il prevalere di monocolture intensive, l’uso smisurato di pesticidi e concimi chimici e l’introduzione di organismi geneticamente modificati. Questo metodo industriale ed intensivo di produrre ha causato negli anni ricadute negative sugli ecosistemi, provocando il declino della biodiversità, l’aumento della deforestazione, l’inquinamento di suolo e acqua, una maggiore emissione di gas climalteranti cibo e mostra oggi con chiarezza di non essere più né sostenibile, né equo.

    L’agroecologia

    Di fronte agli impatti negativi dell’agricoltura intensiva e all’odierna crisi ecologica è dunque necessario ripensare il paradigma agricolo dominante e adottare pratiche che assicurino la produzione alimentare e allo stresso tempo mantengano gli ecosistemi in salute. Il FAI vuole, dunque, portare l’attenzione sull’agroecologia, una scienza e insieme una tecnica e una pratica che si pone il fine di coniugare la produzione di alimenti con la gestione sostenibile delle risorse naturali. Mettendo in pratica il paradigma agroecologico, la filiera agroalimentare può diventare una delle leve più potenti che abbiamo a disposizione per rovesciare l’attuale crisi e garantire anche alle generazioni future un Pianeta prospero.

    "L'agroecologia è una teoria e insieme una pratica, una scienza e insieme una tecnica, che integra la produzione agricola con la necessaria preservazione dell'ambiente. Ha un carattere di trans-disciplinarietà in quanto fa dialogare tra loro i diversi campi e le diverse professionalità che si occupano di agricoltura e tutela del territorio. Si può anche dire che rappresenta un paradigma filosofico, cioè un sistema di valori che orienta l'agricoltura verso uno sviluppo sostenibile. Alla base del concetto di sostenibilità si trova proprio la responsabilità di curare il nostro ambiente, la nostra casa, il nostro territorio." Fabio Caporali

    *Nel grafico, confronto tra le strategie dell’agricoltura industrializzata e l’agroecologia, tratto dall’intervento del Prof. Stefano Bocchi al XXVII Convegno del FAI.

    I paesaggi rurali di interesse storico-culturale

    Al fianco delle tecniche agroecologiche il FAI conserva e promuove nei suoi Beni "paesaggi rurali di interesse storico", ovvero quelle "porzioni di territorio classificate come rurali, che pur continuando il loro processo evolutivo, conservano evidenti testimonianze della loro origine e della loro storia, mantenendo un ruolo nella società e nell'economia." Questi paesaggi sono espressione dell’eredità culturale delle popolazioni e testimonianza di un patrimonio culturale immateriale di pratiche tradizionali, noti anche come traditional knowledge.

    I saperi e le tecniche dell’agricoltura storico-tradizionale, quelli precedenti ai cambiamenti del secondo dopoguerra, che hanno generato le specificità socio-culturali di ogni luogo, possono costituire oggi un’opportunità per mettere in atto nuove pratiche sostenibili, che non rinuncino ai progressi scientifici, ma che abbiano un minor impatto sulla società e sull’ambiente ed anzi ne promuovano il benessere e la diversità biologica e culturale.

    "I sistemi agricoli tradizionali non sono solo cultura, ma sono anche insegnamenti e soluzioni alternative per rispondere a problemi urgenti del mondo odierno: offrono infatti esempi di adattamento a condizioni critiche che potrebbero presentarsi in futuro e che costringeranno a ripensare le modalità moderne e non più sostenibili di fare agricoltura." Mauro Agnoletti

    Due Beni del FAI si trovano all’interno di paesaggi storici censiti e registrati dal Ministero dell’Agricoltura nel “Registro dei paesaggi rurali tradizionali o di interesse storico, delle pratiche e conoscenze tradizionali", istituito all’art. 4 del Decreto n. 17070 del 19 novembre 2012, relativo all'istituzione dell'Osservatorio Nazionale del Paesaggio rurale, delle pratiche agricole e conoscenze tradizionali (ONPR). Il registro censisce la loro significatività, integrità e vulnerabilità, tenendo conto sia di valutazioni scientifiche, sia dei valori che sono loro attribuiti dalle comunità, dai soggetti e dalle popolazioni interessate. Sono il Bosco di San Francesco inserito nella Fascia Pedemontana Ulivata Spoleto-Assisi e il Podere Case Lovara inserito nel Paesaggio dei terrazzamenti e della viticoltura delle Cinque Terre. Un analogo percorso per questo importante riconoscimento è avviato anche per il Giardino della Kolymbethra verrà inserito nel nascente Paesaggio rurale storico della Valle dei Templi.

    Il Giardino della Kolymbethra, Bene FAI nella Valle dei Templi (AG)
    Il Bosco di San Francesco, Bene FAI ad Assisi (PG)
    Castel Grumello, Bene FAI in Valtellina (SO)
    Podere Case Lovara, Bene FAI a Punta Mesco (SP)
    I paesaggi rurali nei Beni del FAI

    Molti Beni del FAI ospitano al loro interno testimonianze di paesaggi rurali di interesse storico-culturale: sono quelle particelle vocate alla produzione agricola e vitivinicola, nelle quali le tecniche di coltivazione tradizionali sono ancora oggi praticate e si conciliano perfettamente con la tutela del suolo e del territorio circostante e la valorizzazione culturale dei luoghi. Nella cornice di Villa dei Vescovi sui Colli Euganei si trovano per esempio il marascheto e la vite maritata, ovvero “sposata” all'albero a cui s'avvinghia; ad Agrigento, nella Valle dei Templi, risplendono al sole l’agrumeto e il giardino mediterraneo della Kolymbethra; mentre sui ripidi versanti montani della Valtellina e della Vallagarina si inerpica la vite dei Castelli Grumello ed Avio. Qui vengono recuperate colture tradizionali e specie autoctone, vengono utilizzati concimi organici e banditi i diserbanti chimici. Tutto nell’ottica di coniugare il benessere dell’ambiente con quello delle persone. Unico Bene del FAI che invece è proprio una tenuta agricola è Villa Caviciana nella Tuscia, la cui conduzione aziendale e affidata a una società agricola.

    Villa dei Vescovi, Bene FAI sui Colli Euganei (PD)
    Castello di Avio, Bene FAI a Avio (TN)
    Villa Caviciana, Bene FAI sul Lago di Bolsena (VT)
    Orto sul Colle dell'Infinito, Bene FAI a Recanati
    Tutto questo non sarebbe possibile senza di te
    Tutto questo non sarebbe possibile senza di te