Per millenni l’uomo ha trasformato i territori che abitava per renderli idonei ai propri bisogni. In particolare, l’attività agricola, iniziata più di 10.000 anni fa, ha plasmato buona parte dei paesaggi del mondo, rendendoli il frutto di una lenta e costante coevoluzione tra natura e cultura, di un progetto collettivo misurato sulle risorse disponibili e sull’ingegno umano. Le lavorazioni del terreno, la perimetrazione dei campi, la creazione di terrazzamenti e muri a secco, la regimentazione delle acque sono state pratiche condotte in equilibrio dinamico con l’ambiente, che hanno creato un mosaico vario e diversificato, unico per ogni territorio in quanto ad assetto e varietà colturali, definendo le matrici del paesaggio.
Se queste pratiche si sono mantenute quasi invariate per secoli, nel secondo dopoguerra le veloci trasformazioni economiche e sociali hanno segnato un loro radicale cambiamento. L’agricoltura tradizionale è così mutata sotto le spinte della "Rivoluzione Verde" o "terza rivoluzione agricola", del rapido sviluppo tecnologico, della meccanizzazione, dell’apertura dei mercati internazionali. Il modello agricolo che la "Rivoluzione verde" ha lentamente imposto e diffuso – a partire dagli anni Quaranta dello scorso secolo sotto la guida del genetista americano Norman Borlaug (premio Nobel per la Pace nel 1970), che per incrementare le rese di grano e mais e soddisfare la crescente domanda di cibo, creò nuove varietà ad alto rendimento e ideali per la meccanizzazione - ha visto nel tempo il prevalere di monocolture intensive, l’uso smisurato di pesticidi e concimi chimici e l’introduzione di organismi geneticamente modificati. Questo metodo industriale ed intensivo di produrre ha causato negli anni ricadute negative sugli ecosistemi, provocando il declino della biodiversità, l’aumento della deforestazione, l’inquinamento di suolo e acqua, una maggiore emissione di gas climalteranti cibo e mostra oggi con chiarezza di non essere più né sostenibile, né equo.
Di fronte agli impatti negativi dell’agricoltura intensiva e all’odierna crisi ecologica è dunque necessario ripensare il paradigma agricolo dominante e adottare pratiche che assicurino la produzione alimentare e allo stresso tempo mantengano gli ecosistemi in salute. Il FAI vuole, dunque, portare l’attenzione sull’agroecologia, una scienza e insieme una tecnica e una pratica che si pone il fine di coniugare la produzione di alimenti con la gestione sostenibile delle risorse naturali. Mettendo in pratica il paradigma agroecologico, la filiera agroalimentare può diventare una delle leve più potenti che abbiamo a disposizione per rovesciare l’attuale crisi e garantire anche alle generazioni future un Pianeta prospero.
*Nel grafico, confronto tra le strategie dell’agricoltura industrializzata e l’agroecologia, tratto dall’intervento del Prof. Stefano Bocchi al XXVII Convegno del FAI.
Al fianco delle tecniche agroecologiche il FAI conserva e promuove nei suoi Beni "paesaggi rurali di interesse storico", ovvero quelle "porzioni di territorio classificate come rurali, che pur continuando il loro processo evolutivo, conservano evidenti testimonianze della loro origine e della loro storia, mantenendo un ruolo nella società e nell'economia." Questi paesaggi sono espressione dell’eredità culturale delle popolazioni e testimonianza di un patrimonio culturale immateriale di pratiche tradizionali, noti anche come traditional knowledge.
I saperi e le tecniche dell’agricoltura storico-tradizionale, quelli precedenti ai cambiamenti del secondo dopoguerra, che hanno generato le specificità socio-culturali di ogni luogo, possono costituire oggi un’opportunità per mettere in atto nuove pratiche sostenibili, che non rinuncino ai progressi scientifici, ma che abbiano un minor impatto sulla società e sull’ambiente ed anzi ne promuovano il benessere e la diversità biologica e culturale.
Due Beni del FAI si trovano all’interno di paesaggi storici censiti e registrati dal Ministero dell’Agricoltura nel “Registro dei paesaggi rurali tradizionali o di interesse storico, delle pratiche e conoscenze tradizionali", istituito all’art. 4 del Decreto n. 17070 del 19 novembre 2012, relativo all'istituzione dell'Osservatorio Nazionale del Paesaggio rurale, delle pratiche agricole e conoscenze tradizionali (ONPR). Il registro censisce la loro significatività, integrità e vulnerabilità, tenendo conto sia di valutazioni scientifiche, sia dei valori che sono loro attribuiti dalle comunità, dai soggetti e dalle popolazioni interessate. Sono il Bosco di San Francesco inserito nella Fascia Pedemontana Ulivata Spoleto-Assisi e il Podere Case Lovara inserito nel Paesaggio dei terrazzamenti e della viticoltura delle Cinque Terre. Un analogo percorso per questo importante riconoscimento è avviato anche per il Giardino della Kolymbethra verrà inserito nel nascente Paesaggio rurale storico della Valle dei Templi.
Molti Beni del FAI ospitano al loro interno testimonianze di paesaggi rurali di interesse storico-culturale: sono quelle particelle vocate alla produzione agricola e vitivinicola, nelle quali le tecniche di coltivazione tradizionali sono ancora oggi praticate e si conciliano perfettamente con la tutela del suolo e del territorio circostante e la valorizzazione culturale dei luoghi. Nella cornice di Villa dei Vescovi sui Colli Euganei si trovano per esempio il marascheto e la vite maritata, ovvero “sposata” all'albero a cui s'avvinghia; ad Agrigento, nella Valle dei Templi, risplendono al sole l’agrumeto e il giardino mediterraneo della Kolymbethra; mentre sui ripidi versanti montani della Valtellina e della Vallagarina si inerpica la vite dei Castelli Grumello ed Avio. Qui vengono recuperate colture tradizionali e specie autoctone, vengono utilizzati concimi organici e banditi i diserbanti chimici. Tutto nell’ottica di coniugare il benessere dell’ambiente con quello delle persone. Unico Bene del FAI che invece è proprio una tenuta agricola è Villa Caviciana nella Tuscia, la cui conduzione aziendale e affidata a una società agricola.