31 ottobre 2023
Molti Beni del FAI ospitano al loro interno testimonianze di paesaggi rurali di interesse storico-culturale: sono quelle particelle vocate alla produzione agricola e vitivinicola, nelle quali le tecniche di coltivazione tradizionali sono ancora oggi praticate e si conciliano perfettamente con la tutela del suolo e del territorio circostante.
Nella cornice di Villa dei Vescovi sui Colli Euganei si trovano per esempio il marascheto e la vite maritata, ovvero “sposata” all'albero a cui s'avvinghia; ad Agrigento, nella Valle dei Templi, risplendono al sole l’agrumeto e il giardino mediterraneo della Kolymbethra; mentre sui ripidi versanti montani della Valtellina e della Vallagarina si inerpica la vite dei Castelli Grumello ed Avio. Qui vengono recuperate colture tradizionali e specie autoctone, vengono utilizzati concimi organici, praticato il sovescio (pratica agronomica consistente nell'interramento di apposite colture allo scopo di mantenere o aumentare la fertilità del terreno) e banditi i diserbanti chimici.
Il lavoro svolto dal FAI mostra come la produzione di prodotti di eccellenza, quali vino e frutta, si possa quindi sposare con un’elevata sostenibilità delle pratiche agricole e insieme con la cura di paesaggi di grande valore identitario. Qui la produzione è indissolubilmente legata alla salvaguardia dell’ambiente e ai valori culturali dei luoghi.
Tuttavia, il modello agricolo fino ad oggi predominante ha favorito uno sfruttamento intensivo della risorsa suolo, utilizzando prodotti chimici di sintesi e provocando impatti negativi sull’ambiente. Tale modello non risulta essere più sostenibile. Il settore agricolo è infatti quello che beneficia maggiormente dei servizi ecosistemici forniti da un ambiente sano e da un’elevata biodiversità e allo stesso tempo può essere esso stesso il “mezzo” più potente per salvaguardarli.
Di fronte all’odierna crisi ecologica è dunque necessario un cambio di rotta: orientarsi verso pratiche agricole che assicurino la produzione alimentare e allo stresso tempo mantengano gli ecosistemi in salute. Questo cambio può essere guidato dall’agroecologia.
Abbiamo chiesto a Fabio Caporali, “padre fondatore” dell’agroecologia in Italia, già Professore Ordinario di Ecologia Agraria presso l’Università degli Studi della Tuscia, di spiegare cos’è l’agroecologia e come può aiutarci nelle sfide del futuro.
Dobbiamo dire che nel panorama sia internazionale, che nazionale e locale si parla in generale di transizione ecologica e agroecologica. Partendo da questo concetto di “transizione” è importante citare una serie di documenti che la promuovono e sostengono: a scala internazionale l’Agenda 2030, con i suoi 17 di sviluppo sostenibile; a scala europea il Green Deal, la Strategia Farm to Fork, la Strategia sulla Biodiversità e la recentissima legge sul ripristino della natura. Queste sono tutte indicazioni di carattere politico che invitano il cittadino e le istituzioni a cambiare rotta verso modelli economici e stili di vita più sostenibili. A scala italiana, invece, è stata la modifica della Costituzione all'articolo 9 a rientrare pienamente in questo cambio di paradigma, in quanto la difesa dell'ambiente, del paesaggio, della biodiversità e degli ecosistemi sono stati annoverati tra i diritti ma anche tra i doveri della collettività. Sulla base di queste normative l’agricoltura potrebbe essere riorganizzata secondo i principi dell'agroecologia, una scelta veramente utile alla società per le sfide del presente e del futuro.
L'agroecologia è una teoria e insieme una pratica, una scienza e insieme una tecnica, che integra la produzione agricola con la necessaria preservazione dell'ambiente.
Ha un carattere di trans-disciplinarietà in quanto fa dialogare tra loro i diversi campi e le diverse professionalità che si occupano di agricoltura e tutela del territorio. Si può anche dire che rappresenta un paradigma filosofico, cioè un sistema di valori che orienta l'agricoltura verso uno sviluppo sostenibile. Alla base del concetto di sostenibilità si trova proprio la responsabilità di curare il nostro ambiente, la nostra casa, il nostro territorio.
L’agroecologia si può definire attraverso quattro componenti, che sono: conoscere la tradizione colturale e culturale del luogo dove si vuole fare agroecologia, conoscere la scienza dell’ecologia, avere un pensiero sistemico che sfocia nell’applicazione di pratiche sistemiche. A partire da questa struttura di conoscenza, possiamo menzionare alcune regole alla base dell’agroecologia: creare agroecosistemi misti che vedono anche la presenza di piante coltivate e di allevamenti animali; lavorare al minimo il terreno; realizzare la rotazione e la consociazione delle colture; praticare il sovescio; utilizzare genotipi resistenti alle infestazioni; impiantare siepi e così via. Queste tecniche permettono non solo di migliorare la fertilità, ma anche di aumentare la biodiversità, rendendo gli agroecosistemi più resilienti a qualsiasi tipo di disturbo, dallo scatenarsi di eventi estremi alla diffusione di parassiti.
A queste tecniche vanno associati i cosiddetti criteri di intensificazione ecologica per il governo del territorio: criteri che riguardano il buon utilizzo delle risorse locali, come ad esempio l’acqua, l'azoto atmosferico e il suolo. Un suolo sano, gestito in modo adeguato, trattiene l’acqua, non è soggetto a dilavamento e sa riequilibrarsi dopo un evento estremo. Mantenere una copertura vegetale durante tutto il corso dell’anno è utile perché la vegetazione fissa la CO2 e aiuta a mitigare l’effetto serra. Utilizzare le leguminose per fissare l’azoto può evitare l’uso di prodotti di sintesi che inquinano la terra e le acque. Questi accorgimenti fanno capire che per fare agricoltura si possono usare al massimo le risorse native e al minimo gli input esterni, favorendo la fornitura di servizi ecosistemici e proteggendo al tempo stesso l’ambiente.
Di fronte alla crisi odierna è dunque necessario un cambio sistemico, che da una parte orienti le pratiche agricole verso modelli più sostenibili e dall’altra riconsideri il nostro rapporto con la natura e i nostri meccanismi di pensiero, quindi la nostra cultura.
Oggigiorno il nostro punto debole come Homo Sapiens è la mancanza di una coscienza ecologica, una coscienza che oggi dobbiamo tornare a formare. Come scritto nello stresso Green Deal europeo bisogna fare leva sull'istruzione e sulla formazione: scuole, istituti di formazione e università si trovano in una posizione privilegiata per intavolare con gli alunni, i genitori e la comunità in generale un dialogo sui cambiamenti necessari per il successo della transizione ecologica. È fondamentale che all’interno delle università vengano riqualificate e migliorate le competenze in campo ecologico e vengano istituiti dei curricula di studio più approfonditi sull’agroecologia. Anche un organismo come il FAI ha una funzione educativa importante dal punto di vista civico e, grazie al suo operare, può promuovere lo sviluppo di una coscienza ecologica. Dunque attraverso l’istruzione si può – e si deve – cambiare la cultura.
Perché la crisi oggi non è solo sociale o solo ambientale, ma è congiunta: l'uomo dipende dall’ambiente e l’ambiente dall’uomo. Questa crisi va dunque risolta con una prospettiva sistemica e l’agroecologia può essere lo strumento adatto per questo cambio di paradigma.