21 novembre 2022
Dopo due settimane di lunghe e intense trattative, a Sharm el-Sheikh si è conclusa COP27, la conferenza delle Nazioni Unite che ha visto riuniti sotto lo stesso tetto i ministri e i delegati dei 197 Paesi firmatari della convenzione quadro sui cambiamenti climatici. Obiettivo ambizioso del vertice era il raggiungimento di un nuovo accordo per far fronte alla crisi climatica; obiettivo che non è stato raggiunto. Delle tre tematiche principali discusse al summit – mitigazione e adattamento, finanza per il clima e Loss and Damage – sulle prime due si sono raggiunti risultati deludenti.
Il documento finale non affronta in modo decisivo la dismissione delle fonti energetiche fossili, prima causa del riscaldamento globale, né enfatizzata a sufficienza la necessità per tutti Paesi di avere dei Piani Nazionali di Adattamento.
Unica nota positiva è stata l’istituzione del fondo per Loss and Damage, il meccanismo di finanziamento per le perdite e i danni che i Paesi più vulnerabili stanno subendo e subiranno a causa dei cambiamenti del clima.
Un webinar dedicato all’approfondimento dei problemi e delle soluzioni emerse a Sharm El-Sheikh.
In diretta da Casa Bortoli, Bene FAI a Venezia, ore 17.30
Durante il discorso conclusivo della conferenza, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha mostrato la sua preoccupazione per l’esito del negoziato.
«Il nostro pianeta è ancora al pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che questa COP non ha affrontato. Un fondo per perdite e danni è essenziale, ma non è una risposta alla crisi climatica che cancella piccoli stati insulari dalle mappe o trasforma un intero paese africano in un deserto. Il mondo ha ancora bisogno di un passo da gigante in termini di ambizione climatica».
Questo passo da gigante, per quanto estremamente necessario, non è stato fatto, rimandandolo, forse, al 2023. Nonostante sia stato riconfermato il proposito di contenere l’aumento delle temperature entro 1.5°C e sia stata sottolineata l’importanza della transizione alle fonti rinnovabili, nel documento finale «manca l’impegno per un’uscita sicura e socialmente sostenibile dai combustibili fossili», come ha ribadito Luca Bergamaschi, co-fondatore e Direttore del think tank ECCO. Secondo quanto emerso dalla conferenza, per mantenere l'obiettivo di 1,5 gradi è necessaria una riduzione delle emissioni del 43% al 2030 rispetto al 2019. Ma con i piani attuali di decarbonizzazione presentati dai paesi – i cosiddetti NDCs, National Determined Contributions, il taglio di emissioni sarebbe solo dello 0,3%.
Frans Timmermans, Vicepresidente della Commissione europea, ha pronunciato un discorso duro e insieme toccante, per la chiarezza e la profondità con cui ha delineato il tempo che stiamo vivendo. Dalle sue parole sono emerse note di delusione per il risultato dei negoziati:
«Molti Paesi, troppi Paesi, oggi non sono pronti a fare ulteriori progressi nella lotta alla crisi climatica. Ci sono stati troppi tentativi persino di annullare quanto concordato a Glasgow. Alcuni hanno paura della transizione futura e del costo del cambiamento che li attende».
Il costo dell’inazione, però, è molto maggiore di quello dell’azione. I cambiamenti, quelli climatici, sono già in corso e stanno già compromettendo la stabilità economica, sociale ed ambientale di molti Paesi del mondo, in particolare di quelli più vulnerabili. Proprio questi ultimi, intanto, dopo anni di richieste sono riusciti a ottenere l’istituzione di un fondo che risarcirà loro i gravi danni causati dal cambiamento climatico, il fondo per Loss and Damage.
Un risultato storico che definisce che chi ha la responsabilità storica (e attuale) di inquinare, ha anche il dovere di ripagare i danni causati. Un comitato transitorio creato per l’occasione dovrà preparare un progetto da presentare alla prossima Cop28, nel 2023, per l’avvio operativo del fondo.
In quanto ai fondi per le misure di mitigazione e adattamento, neanche a COP27 si è raggiunto l’obiettivo di mobilitare i 100 miliardi di dollari all’anno per la finanza climatica. I bisogni di finanziamenti sono però destinati ad aumentare e, durante la stessa COP, si è parlato della necessità di avere una cifra di almeno 4.000 miliardi di dollari per riuscire a implementare tutte le misure che portino a emissioni zero entro il 2050. Inoltre, nel documento finale, manca del tutto il capitolo riguardante il tema della biodiversità. Non si fa cenno alla COP15 che si terrà a dicembre a Montreal e che dovrebbe consegnare un accordo quadro per tutelare la natura da qui al 2030.
A riportare l’attenzione sul tema è stato il discorso di chiusura del Segretario Generale ONU, Guterres, che ricorda la necessità «di porre fine alla guerra suicida contro la natura che sta alimentando la crisi climatica, portando le specie all'estinzione e distruggendo gli ecosistemi. La Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità del mese prossimo è il momento per adottare un ambizioso quadro globale sulla biodiversità per il prossimo decennio, attingendo al potere delle soluzioni basate sulla natura e al ruolo fondamentale delle comunità indigene». Se non lo facciamo, le conseguenze saranno nefaste e, come ha ribadito Frans Timmermans:
«Il tempo e la stanchezza non sono una scusa per smettere di essere ambiziosi. Il mondo non ci ringrazierà quando domani sentirà solo scuse».
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