16 novembre 2022
In questa seconda settimana i negoziati della COP27 sono entrati nel vivo e, fino al 18 Novembre, si continuerà a discutere di mitigazione, adattamento, perdite e danni e, naturalmente, dei finanziamenti necessari a sostenere queste misure. Intanto società civile ed esperti di scienza climatica chiedono a gran voce azioni concrete e non più astratte promesse.
Insieme a Jacopo Bencini, direttamente da Sharm el-Sheikh facciamo il punto sulle negoziazioni.
Per quanto riguarda i meccanismi di mitigazione, i Paesi che hanno firmato l’Accordo di Parigi stanno effettivamente riducendo le loro emissioni per contenere l’aumento delle temperature a 1.5°?
Come è scritto ovunque qui a Sharm el-Sheikh, COP27 avrebbe dovuto essere la conferenza dell’implementazione degli strumenti di mitigazione: i quasi 200 Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sarebbero dovuti arrivare alla conferenza con politiche efficaci per ridurre le emissioni climalteranti. Dico avrebbe dovuto, perché purtroppo non è stato così. A Glasgow, infatti, i governi di tutte le parti si erano dati dei compiti a casa, ossia di aggiornare e di rispettare i loro impegni nazionali sulla riduzione delle emissioni entro COP27, i cosiddetti NDCs, National Determined Contributions. Ad oggi, però, solamente 33 Paesi su 196 hanno raggiunto i loro obiettivi. Fuori dalla lista dei Paesi virtuosi ci sono gli Stati Uniti, l'Unione Europea e la Cina, tra i principali emettitori a livello globale. Di fronte alla loro inadempienza, gli altri sono solo piccoli numeri.
Quali sono le soluzioni e le tecnologie di mitigazione di cui si sta discutendo?
Le principali tecnologie di mitigazione delle emissioni climalteranti sono certamente le energie rinnovabili, come l’eolico e il solare, ma si sta parlando molto anche di efficientamento energetico e, in particolare, di efficientamento degli edifici. Una questione, quest’ultima, che tutto il mondo deve affrontare, soprattutto l’Europa, dove ci sono strutture molto antiche, difficili da ristrutturare in senso energetico. Al fianco delle tecnologie volte a ridurre le emissioni, è di fondamentale importanza la riduzione dei consumi di combustibili fossili, primo tra tutti il carbone, ma anche il gas naturale, il petrolio, il metano. Stati Uniti ed Europa hanno confermato il loro impegno di ridurre del 30% le emissioni di metano entro il 2030; mentre i Paesi del gruppo G77, tra cui India e Cina, hanno finalmente parlato della possibilità di un phase out del carbone, questione che lo scorso anno, a Glasgow, non era mai arrivata tra i banchi della conferenza. Oggi il negoziato è aperto, ma solo a una condizione: se i Paesi in via di sviluppo riusciranno a ottenere il fondo su perdite e danni, allora l'India si dice disponibile a chiudere le centrali a carbone.
Come procedono le discussioni sui meccanismi di adattamento?
In questa COP africana si sono tenute molte sessioni in merito al finanziamento del Fondo globale per l’adattamento. Si è parlato di nuovi finanziamenti, quelli del Loss and Damage, che possono essere visti come misure di adattamento. Ma si è parlato anche di azioni di cooperazione internazionale che possono concretizzarsi in progetti che rendano più resilienti i Paesi in via di sviluppo ai cambiamenti climatici. Già lo scorso anno, a COP26, i fondi internazionali per l’adattamento erano stati raddoppiati, raggiungendo così un importante obiettivo. Parlando di numeri, però, la somma della finanza per la mitigazione e di quella per l’adattamento non ha raggiunto neanche quest'anno i 100 miliardi di dollari. Somma che ogni anno, a partire dal 2009, l'occidente ha promesso ai Paesi in via di sviluppo. Questo è un dato molto grave, ancor di più di fronte al fatto che gli ultimi report delle Nazioni Unite ci dicono che servirebbero almeno 1.000 miliardi all’anno in mitigazione e adattamento, non 100. A questa COP africana si sta però lavorando alla definizione di un nuovo obiettivo che entri in vigore a partire dal 2025, il che significa che dovremo alzare di molto la nostra l'asticella per gli impegni finanziari.
Di fronte alla crisi climatica e alle pressioni internazionali, quali sono i piani dell’Italia per contrastare i cambiamenti climatici?
A questa COP, come nelle precedenti, il grande assente nella narrazione italiana è il Piano Nazionale per l’Energia e il Clima, il PNIEC. Il piano risale a prima della legge europea sul clima del 2021 e gli obiettivi che contiene non sono allineati con gli obiettivi europei. L’Italia, ad oggi, non ha ancora annunciato una revisione del PNIEC. Non si è parlato neanche del PNAC, del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, che non è mai stato approvato dal Consiglio dei Ministri e giace in un cassetto del ministero della Transizione Ecologica dal 2017. E questo è un altro fatto abbastanza importante per un Paese come il nostro, che avrà enormi problemi in prospettiva di adattamento: problemi di dissesto idrogeologico e di fenomeni estremi. Si è molto parlato invece del Fondo Italiano per il Clima, l'iniziativa lanciata da Draghi al G20 dell'anno scorso, che permetterà di mobilitare circa 4,2 miliardi di euro nei prossimi cinque anni. Somma che sarà spesa in azioni di mitigazione e adattamento nei Paesi di cooperazione prioritaria del Ministero degli Esteri e della Farnesina. Con questo impegno finanziario, l'Italia si pone in linea con l'obiettivo di raggiungere i 100 miliardi di dollari all'anno da destinare alla finanza climatica.
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