29 novembre 2023
La COP28 sta per iniziare. Il vertice atteso e guardato con trepidazione dal mondo intero vedrà 198 Paesi riunirsi, dialogare tra loro e cercare un accordo sempre più definitivo per frenare i cambiamenti climatici e i loro effetti negativi sull’ambiente e sull’uomo.
Obiettivo principe della Conferenza sarà – come per le precedenti – diminuire le emissioni dei gas climalteranti e limitare l’aumento della temperatura media globale a non oltre il fatidico 1,5°C.
La verità è che siamo in ritardo. Quanto è stato fatto finora da tutte le Parti – ovvero gli Stati che si ritrovano alle conferenze – non è sufficiente per frenare l’innalzamento delle temperature. A testimoniarlo è stato il Rapporto pubblicato dall’UNEP – il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente –, dal “sintomatico” titolo: Disco rotto: le temperature raggiungono nuovi massimi, ma il mondo non riesce a ridurre le emissioni (di nuovo). Per quanto anche il Segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, continui ad affermare a gran voce che “l’era dei combustibili fossili ha fallito”, i trend evidenziati nel rapporto dimostrano che proseguire con le politiche attuali significa un riscaldamento globale medio di 3°C.
Un “bel” insufficiente non mancherà infatti di bollare i “compiti a casa” dei vari Stati in materia di piani nazionali per la riduzione delle emissioni di gas serra e di politiche in risposta ai cambiamenti climatici. In questo frangente, proprio quest’anno verrà fatto il primo bilancio globale dei Piani, il cosiddetto global stocktake, l’analisi collettiva dei progressi ottenuti dai singoli Paesi in termini di riduzione delle emissioni, misure di mitigazione e nuova capacità di energia rinnovabile installata.
Su questa strada, un freno all’eliminazione delle fonti fossili e all’aumento delle rinnovabili è la polarizzazione che a ogni incontro si accentua tra i Paesi del cosiddetto Sud Globale e quelli del Nord. Nelle precedenti conferenze, infatti, i primi si sono dichiarati contrari a eliminare il carbone e le altre fonti di energia fossile in assenza di adeguate garanzie economiche da parte dei Paesi storicamente più inquinatori.
Di fatto esiste già un Fondo verde per il clima nel quale i “paesi più sviluppati” dovrebbero stanziare 100 miliardi di dollari per finanziare le misure di mitigazione nei Paesi in via di sviluppo, ma tale somma non è ancora stata raggiunta in toto.
L’ultima conferenza delle Parti – la COP 27 – aveva però segnato un traguardo nell’istituzione di un altro Fondo, chiamato Loss and Damage. Perdite e Danni –, lo strumento finanziario che comporta compensazioni di tipo economico per i paesi più vulnerabili di fronte agli effetti distruttivi dei cambiamenti climatici. A una settimana dall’inizio di questa ventottesima edizione è stata data una struttura a tale Fondo e indentificata la Banca Mondiale come ente adibito al suo avvio. Ma ad ora la proposta di funzionamento è ancora abbozzata.
Auspicabili saranno certamente degli impegni concreti, più ambiziosi e non più rimandabili per eliminare gradualmente l’uso delle fonti fossili e attuare una transizione giusta verso la neutralità climatica. In parallelo si attende anche l’entrata in funzione del nuovo Fondo per le “Perdite e danni” e la garanzia di un finanziamento continuativo per le misure di mitigazione e adattamento verso i Paesi più vulnerabili.
Oggi serve trasformare le parole in fatti e alzare l’ambizione, costruire piani di sviluppo sostenibili e lungimiranti, fondati sull’utilizzo di energie rinnovabili. Bisogna evitare che il disco rotto continui a risuonare e che le promesse fatte a voce diventino azioni reali.
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