I Luoghi del Cuore
Il censimento dei luoghi italiani da non dimenticare
BOSCO DI SAN VITO

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CAPUA, CASERTA

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BOSCO DI SAN VITO
il bosco di san vito e sanso' sito nel monte tifata ,Il panorama è davvero grandioso, certamente uno dei più suggestivi d'Italia. Marco Tullio Cicerone, che dimorò in zona, nella seconda orazione contro Rullo sulla legge agraria esalta con appassionato vigore il territorio campano definendolo: Al più bello di questo mondo; l'unico fiorentissimo fondo del popolo romano, la sorgente della vostra ricchezza, il decoro della pace, il sussidio della guerra, la base delle entrate, il granaio delle legioni, la suprema risorsa della carestia". Dal dotto lessicografo latino Festo, che compendiò l'opera di Verrio Flacco sul Significato delle parole latine arcaiche, si apprende che l'espressione Tifata è identificabile con il concetto di "bosco di lecci", dal che deriva che quel nome è stato attribuito al monte perché era tutto ricoperto di lecci, piante sempreverdi ad alto fusto, con chioma dalle foglie cerose, simili a quelle della quercia. Il poeta latino Silio Italico, autore del poema Punica, immaginò questi boschi lussureggianti e ricchi di selvaggina come teatro di lotte tra fiere ed amò definirli "stanza dei leoni". Alla vetta del nostro monte, chiamato anche S. Nicola, spesso coperta di nuvole, gli agricoltori volgevano lo sguardo per divinare il tempo sereno o burrascoso. Ancora oggi, nelle campagne, si usa dire "quando S. Nicola fa cappa, se oggi non piove domani non scappa". Finora è stato prospettato un quadro propedeutico al fulcro sostanziale della rievocazione proposta; necessaria introduzione alla conoscenza del teatro operativo delle vicende storiche che affascinandoci ci sospinge verso l'orgoglio dell'oggi. Ordunque, si sa che a "destra del monte Tifata dalla parte d'Oriente e propriamente nelle sue radici fu edificato un grande, spazioso e magnifico tempio ad onore della dea Diana, detto di Diana Tifatina". Così Francesco Granata nel 1752 inizia, nell'opera Storia civile della fedelissima città di Capua, l'illustrazione relativa al monte Tifata. Prima però di riservare l'attenzione in via esclusiva al tempio di Diana, occorre dedicare rapidi cenni al centro gravitazionale che, nella cavea, attrae e determina, da protagonista, i fatali movimenti dell'evoluzione storica di un popolo e della sua contrada. Nella celebrata pianura campana sono ubicate varie città; tra esse primeggia Capua, la fiera, superba antagonista di Roma. Capua "la speciosa", che nelle celebri vie Albana e Seplasia esprimeva il massimo del lusso e del vizio che la ponevano come sublime attrazione. La Capua che, secondo Cicerone, è da annoverare tra le più antiche, le più ricche e le più eccellenti del mondo ("Maiores vestri tres tantum urbis in terris omnibus Carthaginem, Corinthum, Capuam statuerunt imperii gravitatem nomen posse sustinere"). Velleio Patercolo fa nascere Capua cinquant'anni prima di Roma: invero essa vanta natali ancora più remoti. Il mito della fondazione di Capua si ricollega alle grandi migrazioni dei popoli antichi dell'Asia e dell'Etruria. I Beli di Assiria, sotto la guida e l'impulso del loro capo Belo, nella ricerca di siti adatti alla sopravvivenza, si fermarono in questi luoghi e vi costituirono un agglomerato di villaggi che, per il suo tracciato discontinuo, chiamarono "Volturnum". Successivamente, quasi un secolo prima della fondazione di Roma, un capo etrusco di nome Osco, seguito da una moltitudine di gente alla ricerca di nuovi spazi, visto un luogo boscoso e ameno, decise di prendervi stabile dimora. Alla decisione contribuì, in maniera determinante, la vista di un falcone che venne a posarsi nella zona prescelta: oracolo favorevole, che non poteva essere disconosciuto. Quindi Osco si alleò con i vicini Beli ed insieme fondarono una nuova città, chiamata Osca. Gli abitanti, detti Osci, avevano come divinità un serpente, animale che successivamente fu assunto nello stemma antico della città di Capua.

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il bosco di san vito e sanso' sito nel monte tifata ,Il panorama è davvero grandioso, certamente uno dei più suggestivi d'Italia. Marco Tullio Cicerone, che dimorò in zona, nella seconda orazione contro Rullo sulla legge agraria esalta con appassionato vigore il territorio campano definendolo: Al più bello di questo mondo; l'unico fiorentissimo fondo del popolo romano, la sorgente della vostra ricchezza, il decoro della pace, il sussidio della guerra, la base delle entrate, il granaio delle legioni, la suprema risorsa della carestia". Dal dotto lessicografo latino Festo, che compendiò l'opera di Verrio Flacco sul Significato delle parole latine arcaiche, si apprende che l'espressione Tifata è identificabile con il concetto di "bosco di lecci", dal che deriva che quel nome è stato attribuito al monte perché era tutto ricoperto di lecci, piante sempreverdi ad alto fusto, con chioma dalle foglie cerose, simili a quelle della quercia. Il poeta latino Silio Italico, autore del poema Punica, immaginò questi boschi lussureggianti e ricchi di selvaggina come teatro di lotte tra fiere ed amò definirli "stanza dei leoni". Alla vetta del nostro monte, chiamato anche S. Nicola, spesso coperta di nuvole, gli agricoltori volgevano lo sguardo per divinare il tempo sereno o burrascoso. Ancora oggi, nelle campagne, si usa dire "quando S. Nicola fa cappa, se oggi non piove domani non scappa". Finora è stato prospettato un quadro propedeutico al fulcro sostanziale della rievocazione proposta; necessaria introduzione alla conoscenza del teatro operativo delle vicende storiche che affascinandoci ci sospinge verso l'orgoglio dell'oggi. Ordunque, si sa che a "destra del monte Tifata dalla parte d'Oriente e propriamente nelle sue radici fu edificato un grande, spazioso e magnifico tempio ad onore della dea Diana, detto di Diana Tifatina". Così Francesco Granata nel 1752 inizia, nell'opera Storia civile della fedelissima città di Capua, l'illustrazione relativa al monte Tifata. Prima però di riservare l'attenzione in via esclusiva al tempio di Diana, occorre dedicare rapidi cenni al centro gravitazionale che, nella cavea, attrae e determina, da protagonista, i fatali movimenti dell'evoluzione storica di un popolo e della sua contrada. Nella celebrata pianura campana sono ubicate varie città; tra esse primeggia Capua, la fiera, superba antagonista di Roma. Capua "la speciosa", che nelle celebri vie Albana e Seplasia esprimeva il massimo del lusso e del vizio che la ponevano come sublime attrazione. La Capua che, secondo Cicerone, è da annoverare tra le più antiche, le più ricche e le più eccellenti del mondo ("Maiores vestri tres tantum urbis in terris omnibus Carthaginem, Corinthum, Capuam statuerunt imperii gravitatem nomen posse sustinere"). Velleio Patercolo fa nascere Capua cinquant'anni prima di Roma: invero essa vanta natali ancora più remoti. Il mito della fondazione di Capua si ricollega alle grandi migrazioni dei popoli antichi dell'Asia e dell'Etruria. I Beli di Assiria, sotto la guida e l'impulso del loro capo Belo, nella ricerca di siti adatti alla sopravvivenza, si fermarono in questi luoghi e vi costituirono un agglomerato di villaggi che, per il suo tracciato discontinuo, chiamarono "Volturnum". Successivamente, quasi un secolo prima della fondazione di Roma, un capo etrusco di nome Osco, seguito da una moltitudine di gente alla ricerca di nuovi spazi, visto un luogo boscoso e ameno, decise di prendervi stabile dimora. Alla decisione contribuì, in maniera determinante, la vista di un falcone che venne a posarsi nella zona prescelta: oracolo favorevole, che non poteva essere disconosciuto. Quindi Osco si alleò con i vicini Beli ed insieme fondarono una nuova città, chiamata Osca. Gli abitanti, detti Osci, avevano come divinità un serpente, animale che successivamente fu assunto nello stemma antico della città di Capua.
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