15 giugno 2023
Terra di ulivi, vigneti e seminativi, l’area intorno all’Abbazia di Santa Maria di Cerrate in Salento accoglie anche una moltitudine di specie arbustive ed erbe spontanee, di cui la popolazione locale ha da sempre saputo farne sapiente uso.
L’Abbazia si inserisce in un contesto che ha una matrice agricola dominante: masserie con superficie di seminativo si alternano a campagne olivetate. Negli spazi che sono stati lasciati liberi dalle coltivazioni, però, si fa largo la macchia mediterranea. Questo ecosistema spontaneo crea dei corridoi ecologici che connettono tutto il territorio di Cerrate al mare, dove si trovano ambienti di maggiore naturalità. Tra le dune, i boschi relitti e le paludi è infatti quasi assente la matrice agricola a vantaggio di una vegetazione spontanea, sia pur frammentata. Un aspetto che negli ultimi anni sta emergendo in questi territori è l’aumento dell'abbandono dei coltivi e degli oliveti, questi ultimi duramente colpiti dalla Xylella e andati incontro a un disseccamento rapido. Ma laddove i terreni sono soggetti a processi di abbandono, è rispuntata la macchia mediterranea che, pian piano, sta riconquistando i suoi spazi.
A Cerrate si trovano principalmente due categorie di flora: da un lato quella più legata alla vegetazione arbustiva e alla macchia mediterranea, come il mirto, il lentisco e il biancospino, tutte specie relegate ai confini e al di fuori delle aree agricole. Dall’altra, invece, ci sono le specie floristiche che seguono i coltivi. Tra queste troviamo per esempio le piante spontanee eduli utilizzate nella cucina tradizionale, come la cicoria selvatica, il finocchio selvatico, il boccione minore e la borragine. Tutte specie selvatiche che hanno avuto grande utilizzo e che continuano ad averlo ancora oggi, proprio grazie alla trasmissione dei saperi di generazione in generazione, ma anche grazie agli incontri formativi. Esempi di piatti tipici salentini sono infatti la cicoria selvatica accompagnata dalle fave oppure le paparine, cioè la pianta del papavero che viene raccolta ancora verde – prima della fioritura – e poi fritta. Anche il finocchio selvatico e la malva venivano e vengono utilizzati in decotti per la loro azione depurativa, digestiva e calmante, ma anche contro i dolori intestinali. All’interno dell'Abbazia abbiamo poi rilevato la presenza di una specie molto rara nel Salento, ma di antico utilizzo: la mandragora autunnale. Proprio perché questa è una pianta rara nella zona, la sua presenza lascerebbe pensare a un utilizzo terapeutico fatto dai monaci.
Per quanto riguarda le specie spontanee utilizzate nell'alimentazione, il ritorno di interesse è enorme e l’affluenza di persone a incontri ed eventi in cui si pratica la ricerca, la raccolta e il riconoscimento delle erbe sul campo lo attesta. Essendo venuto a mancare un anello generazionale che trasferiva le conoscenze dai nonni e dalle nonne ai nipoti, oggi molte persone sentono la necessità di recuperare questi saperi e lo fanno proprio prendendo parte a incontri come quelli organizzati dal FAI. Inoltre oggi anche gli agricoltori sono più attenti e stanno iniziando a preservare la diversità biologica spontanea che cresce nei campi, una diversità di cui capiscono il grande valore ecologico e che porta beneficio anche alla qualità delle rese agricole.
Assolutamente sì, perché bisogna considerare questi territori come veri e propri habitat di elevato interesse dal punto di vista della biodiversità. Per più ragioni: primo perché qui non c’è una pianta o un animale dominante, ma ci sono moltissime specie che trovano dimora tra i seminativi, lungo i bordi strada, in spazi residuali o marginali. Questa grande biodiversità vegetale si ripercuote a sua volta sulla biodiversità animale. Molte delle specie spontanee presenti sono, per esempio, di interesse apistico, cioè sono specie bottinate dalle api. Altre invece creano l’habitat ideale per i rapaci diurni e notturni, come il gufo e la civetta, che nidificano nelle cavità di alberi, tra le rocce, ma anche trai i ruderi e i muretti a secco, dove si nutrono di piccoli mammiferi e rettili. Un tempo, inoltre, le specie spontanee venivano utilizzate come foraggi per le greggi. Questo utilizzo aveva un alto valore ecologico, in quanto preveniva il divampare di incendi. Oggi invece la biomassa secca prende facilmente fuoco, proprio perché non viene più pascolata.
La principale minaccia per un ecosistema è la sua profonda modificazione da parte dell’uomo o di altri fattori. Per quanto riguarda la matrice agricola la minaccia è rappresentata da uno sfruttamento intensivo dei terreni, dall’uso di diserbanti e altri fitofarmaci, prodotti che riducono in modo drastico il livello di biodiversità. Per quanto riguarda le specie arbustive, invece, la minaccia primaria sono gli incendi: l'abbandono e il disseccamento degli oliveti facilitano infatti il divampare delle fiamme. Un tempo, invece, gli oliveti rappresentavano delle naturali barriere tagliafuoco, proprio perché erano sani e curati.
Il FAI può avere un ruolo strategico nella diffusione della conoscenza, non solo legata al patrimonio storico, ma anche a quello ambientale. Le attività di riscoperta degli elementi naturalistici – come le “camminate nella biodiversità” – possono avere un alto valore formativo, perché permettono a persone con interessi differenti, che si muovono con l’intento di visitare un bene storico, di avvicinarsi a tematiche che toccano gli ecosistemi e la natura che li caratterizza. È infatti importante far capire che il Bene – ogni Bene - è inserito in un contesto ambientale e che il contesto ambientale ha esso stesso un valore pari a quello del Bene. Partire dalla conoscenza del “monumento” per poi ampliarla all’ambiente in cui è inserito, alla biodiversità che lo abita e lo circonda è quindi è il valore aggiunto che il FAI può offrire ai visitatori.