07 marzo 2025
L’appuntamento di fine febbraio 2025 a Roma presso la sede della FAO dopo i primi negoziati della COP 16 che si è chiusa a Cali il 2 novembre 2024, è stato un incontro cruciale nel percorso globale per la tutela delle specie e degli ecosistemi, ma, nonostante l'urgenza del tema, ha visto una partecipazione limitata della società civile e del mondo politico.
Al centro delle discussioni la questione delle risorse finanziarie, ovvero i fondi da mobilitare tra i Paesi per sostenere la conservazione della biodiversità, oltre alla definizione di una tabella di marcia con gli impegni da prendere da qui 2030.
La sfida resta chiara: trovare soluzioni concrete e risorse adeguate, per affrontare la crisi della biodiversità, affinché gli impegni presi non restino solo sulla carta, ma si traducano in azioni efficaci.
Abbiamo chiesto un commento a Caterina Batello, esperta di agroecologia, membro del Consiglio di Amministrazione di Agroecology Europe (AEEU) e vicepresidente dell’Associazione Italiana di Agroecologia (AIDA), nonché ex responsabile del team di agroecologia e gestione degli ecosistemi della FAO.
Questa sessione della COP sulla Biodiversità a Roma è durata solo tre giorni, ma fino all'ultimo raggiungere un accordo comune è sembrato difficile: le tensioni erano evidenti e la partecipazione della società civile è stata scarsa, in netto contrasto con Cali, dove i popoli indigeni, custodi della biodiversità, avevano avuto un ruolo centrale. I negoziati sono iniziati con una forte polarizzazione tra i Paesi, concentrati su accordi bilaterali, ma alla fine lo spirito multilaterale ha prevalso, un esito tutt’altro che scontato in questo momento storico.
Di fronte alla crisi della biodiversità, infatti, un approccio frammentato non basta: solo una risposta collettiva può portare soluzioni efficaci e durature.
In questo contesto, però, l’Italia è stata inizialmente assente: il Paese ha preso parte ai negoziati solo nell'ultima giornata, con la partecipazione del sottosegretario all'Ambiente e alla Sicurezza energetica. Un'iniziale assenza che stride con l'importanza del tema per l'Italia, nazione con la più alta varietà di specie in Europa e custode di un patrimonio naturale unico, modellato da una straordinaria diversità topografica e climatica.
Nonostante le difficoltà iniziali, si è riusciti a superare la contrapposizione tra i Paesi del Nord e del Sud globale, tra le nazioni più ricche e quelle più vulnerabili, anche grazie al ruolo sempre più incisivo dei Paesi emergenti, come Cina, Brasile, India e Sudafrica, che stanno influenzando in modo crescente gli equilibri globali.
Il nodo centrale era la finanza: dove reperire i fondi, chi deve erogarli e quale strumento utilizzare per trasferirli. E proprio quest’ultimo punto è stato quello spinoso.
Finora, la biodiversità è stata finanziata principalmente attraverso un fondo globale per l’ambiente – il GEF, Global Environment Facility – ma i Paesi più poveri spingevano per un fondo alternativo, più snello e in grado di rispondere più efficacemente alle loro esigenze. Il problema del GEF è che i finanziamenti faticano ad arrivare direttamente alle comunità locali, agli agricoltori e ai contadini, ovvero a coloro che si occupano concretamente della gestione della biodiversità.
A livello globale e nazionale, la FAO promuove numerosi progetti e iniziative per supportare i Paesi nell'implementazione dei loro piani strategici sulla biodiversità, fornisce assistenza politica ai governi che ne fanno richiesta e si impegna nella ricerca di fondi e nello sviluppo di progetti. Tra le iniziative di maggior successo, la FAO ha avviato un progetto capillare sugli impollinatori, un esempio concreto di come le politiche sulla biodiversità possano tradursi in azioni efficaci a tutti i livelli. Questo programma ha avuto un impatto significativo, contribuendo a sensibilizzare i cittadini: anche un gesto semplice, come piantare fiori sui balconi delle città, può favorire la sopravvivenza degli impollinatori, essenziali per la biodiversità. È fondamentale ricordare che gli impollinatori non sono solo api, ma includono anche ditteri, farfalle, pipistrelli e uccelli, tutti con un ruolo cruciale negli ecosistemi. Proteggerli significa preservare un equilibrio naturale di inestimabile valore.
Con questa iniziativa siamo riusciti a tradurre un processo scientifico in un vero e proprio percorso politico, portandolo al centro dei negoziati internazionali fino a farlo diventare un’iniziativa riconosciuta su scala mondiale.
Diverse associazioni e istituzioni sensibili ai temi dell'agroecologia, tra cui l’Associazione Italiana di Agroecologia (AIDA) e l’Associazione Italiana AgroForestazione (AIAF), nell’ultimo anno hanno organizzato una carovana di incontri itineranti che porterà al 1° Congresso di Agroecologia del Mediterraneo (AEMED 2025), in programma dal 9 al 12 giugno ad Agrigento.
Un evento di grande rilievo, soprattutto perché la Sicilia è la prima regione italiana ad aver approvato una legge sull’agroecologia, riconoscendo la necessità di un nuovo approccio produttivo che tuteli ambiente e biodiversità.
L’agroecologia rappresenta una trasformazione profonda, che ripensa sia i sistemi agroalimentari sia il nostro rapporto con la natura. Coinvolgere agricoltori, organizzazioni locali, esperti e cittadini significa creare spazi di confronto reali. Gli incontri della carovana saranno occasioni cruciali per discutere le sfide dell’agricoltura sostenibile e delle pratiche agroecologiche. Al termine di ogni tappa, agricoltori e altri attori locali – inclusa la cittadinanza – raccoglieranno le proposte in documenti sintetici, per portare ad Agrigento una visione condivisa sul futuro dell’agroecologia nei territori.
nei Beni FAI tutto l'anno
Gratis