Guido Monzino, l'Everest e i ghiacciai di ieri e di oggi

Guido Monzino, l'Everest e i ghiacciai di ieri e di oggi

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Guido Monzino, l'Everest e i ghiacciai di ieri e di oggi
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10 maggio 2023

5 maggio 1973: l’Italia conquista la vetta più alta del mondo con la spedizione di cui Guido Monzino fu artefice e protagonista. Cinquant’anni dopo il FAI ha celebrato la storica impresa con un incontro che ha coniugato toccanti testimonianze con il drammatico presente della crisi climatica, di cui proprio i ghiacciai sono le sentinelle.

Venerdì 5 Maggio nella sontuosa cornice di Villa Necchi Campiglio a Milano, il FAI ha riunito ospiti d’eccezione per ricordare uno dei più illustri esploratori italiani del ’900Guido Monzino – e per riflettere sulle drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici, che oggi stanno radicalmente trasformando i paesaggi che l’“ultimo signore di Villa del Balbianello” attraversò e amò solo cinquant'anni fa.

Conquistare l’Everest ieri e oggi

Promotore di imprese straordinarie – ben ventuno – Monzino è ricordato soprattutto per essere stato il secondo uomo a raggiungere con una slitta trainata da cani il 90° parallelo, il Polo Nord, e, solo due anni dopo, per aver guidato la prima spedizione italiana sulla vetta del Monte Everest. Era il 1973. La vetta fu raggiunta il 5 maggio dall’allora ventunenne Rinaldo Carrel, presente all’evento, che attraverso la sua toccante testimonianza ha narrato con minuzia di dettagli quella grande impresa dedicata da Monzino all’Italia, la patria tanto amata. L’esperto alpinista ha descritto le difficoltà tecniche e organizzative per raggiungere le pendici dell’Everest e poi la calma totale e irreale, la grande desolazione, nel trovarsi tra le distese di ghiaccio della montagna più alta del mondo. Ha ripercorso la fatica del corpo e della mente, i legami che si creano con i compagni di cordata, i momenti di difficoltà che a 8.000 metri non sono mai né piccoli, né banali. Ma alla domanda “che emozione si prova quando si raggiunge la vetta dell’Everest?” Carrel risponde con un aneddoto: “Lassù ho sentito ridere e cantare gli angeli”.

L’alpinista ha poi passato il testimone a un giovane compagno di avventure, Francois Cazzanelli, guida alpina del Cervino. Un passaggio dalla storia alla contemporaneità, che ha mostrato come negli ultimi cinquant'anni la salita all’Everest sia radicalmente cambiata. La montagna oggi sperimenta un turismo quasi “di massa”, la presenza di molte agenzie e tour operator, la possibilità di farsi accompagnare da alpinisti esperti per raggiungere il tetto del mondo e coronare un sogno. Un mondo – e un sogno - che oggi si stanno velocemente dissolvendo. I cambiamenti climatici stanno infatti trasformando gli ecosistemi montani, i loro paesaggi, ma anche gli ambienti artici e antartici, provocando la fusione dei ghiacciai e delle calotte glaciali.

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Sulle tracce dei ghiacciai

A rendere evidente questo cambiamento sono state le impressionanti fotografie del progetto Sulle tracce dei ghiacciai di Fabiano Ventura. Il progetto iniziato nel 2009 mette a confronto le immagini storiche di alcuni tra i ghiacciai montani più importanti della Terra – dal Karakorum all’Alaska, dall’Himalaya e alle Alpi – con le odierne fotografie scattate agli stessi ghiacciai, nello stesso punto geografico e nello stesso momento dell’anno. Le immagini hanno mostrato quanto questi ghiacciai stiano velocemente scomparendo a causa dell’aumento medio delle temperature, modificando così non solo il paesaggio, ma l’intero ecosistema globale. Un progetto scientifico e iconografico insieme, dal profondo significato storico e divulgativo: far comprendere la responsabilità dell’uomo di fronte alla crisi climatica e alle modificazioni ambientali del nostro Pianeta.

Il progetto “Ice Memory”

Sempre sulla responsabilità, ma quella verso le generazioni future, è basato il progetto Ice Memory, guidato da Carlo Barbante e presentato da Jacopo Gabrieli, ricercatore presso l'Istituto di Scienze Polari del CNR. Il progetto si prefigge l’obiettivo di raccogliere e conservare delle carote di ghiaccio prelevate da calotte glaciali e ghiacciai di tutto il mondo: la conservazione delle carote permetterà alle prossime generazioni di avere accesso a informazioni che tra qualche decennio non saranno più disponibili. Per descrivere il lavoro svolto dai ricercatori e l’importanza storica ed ecologica degli ambienti glaciali, Gabrieli ha usato una metafora eloquente: “Perdere un ghiacciaio significa perdere un paesaggio, perdere una risorsa d’acqua, ma anche perdere la memoria di noi stessi. Perché i ghiacciai sono formati da strati e ogni strato può essere paragonato alla pagina di un libro che contiene informazioni sul nostro passato e sulla storia climatica e ambientale degli ultimi 10 000 anni. Un libro scritto in una lingua particolare, i cui segni grafici sono racchiusi nella chimica, nella fisica e nella biologia. Tutti i ghiacciai del mondo formano quindi un enorme biblioteca, che oggi è in grave pericolo.”

L’ultima “spedizione” di Guido Monzino

Testimonianze, fotografie, immagini e contributi video hanno dunque tracciato un filo dal passato al presente e al futuro, da quel che è stato il clima, l’ambiente e il paesaggio a quel che è e che sarà. Ma il vero filo conduttore, che ha riunito gli illustri ospiti e legato le loro parole, è stato indubbiamente la figura di Monzino, l’uomo dal carattere forte, a volte difficile, spinto da un motore potentissimo: la sua spiritualità. Giuliano Galli, Area Manager FAI Lombardia Prealpina, ha sapientemente delineato le qualità dell’esploratore dalla profonda fede, che era alimentata e rafforzata dai sacrifici sperimentati nelle condizioni estreme delle sue spedizioni. Spedizioni che avevano come meta quei paesaggi glaciali dall’inconfutabile bellezza estetica, ma che oggi sono, appunto, minacciati.
Galli pone l’attenzione sull’ultima spedizione del Conte – la ventiduesima - ovvero l’acquisto di Villa del Balbianello. Nelle stanze della Villa si leggono ancora oggi la cura dei dettagli e la visione estetica proprie dell’esploratore, caratteristiche che lo accomunano profondamente al lavoro svolto dal FAI. Un lavoro che ha lo scopo di diffondere conoscenza sul mondo, svelarne tutta la bellezza, ma anche le emergenti criticità. Un lavoro che serve a far capire che tutelare il Pianeta vuol dire tutelare anche noi stessi e il nostro futuro.

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