EREMO DI SANTA ROSALIA ALLA QUISQUINA

MONTE QUISQUINA, AGRIGENTO

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EREMO DI SANTA ROSALIA ALLA QUISQUINA

Coschin è una parola di origine berbera, vuol dire "oscurità", “luogo in ombra”. Forse è in questa parola la chiave per accedere al significato naturalistico e storico di uno dei più affascinanti organismi architettonici rurali della nostra Isola: l’Eremo della Quisquina. É un raro caso in cui il nome di un luogo, conferito in virtù di caratteristiche fisiche esteriori, coincida con il carattere interiore del luogo stesso, con la sua atmosfera, presentandosi oggi, al nostro tempo tecnologico e artificiale, con tutto il suo grande carico naturale di storia, di storie e di cultura e di mistero. A 4 km dal paese che prende il suo nome, sulla strada provinciale che conduce ad Agrigento, ci si immette in una stradina carrabile nel fitto delle conifere, su, fino al pianoro dominato dalla statua bronzea di santa Rosalia, opera dello scultore Lorenzo Reina, eretta su di un masso quasi a marcare un dominio simbolico sui luoghi. Alle sue spalle inizia la discesa in un tunnel di querce secolari che, per i viandanti d’altri tempi, costituiva, l’approdo naturale e accogliente, dopo ore o giorni di cammino, e ancora oggi, accorciando i tempi del nostro stupore, ma non l’intensità, quel sentiero ci conduce alla prima visione prospettica dell’eremo: il grande portale principale, povero e possente, i piani sovrapposti della torre campanaria e dei lunghi corpi degli ambienti monastici, della chiesa e degli altri ambienti compressi nello scorcio verso il bosco che già fanno intuire la struttura labirintica della fabbrica. Siamo ‘alla Quisquina’: così nel gergo corrente viene designato tutto l’insieme naturalistico-architettonico del sito. Non resta più nulla dell’antico e primitivo romitorio (che accolse il giovane Francesco Scassi da Albisola, primo tra gli eremiti) e della chiesetta originaria, edificata attorno al 1683, che furono il primo involucro architettonico della grotta: nel 1772 era già compiuta la riedificazione della nuova chiesa e del monastero, così come oggi li vediamo, grazie a donazioni e rendite assegnate da fedeli e soprattutto da Giuseppe Emanuele Ventimiglia principe di Belmonte signore di S.Stefano (schiatta di provenienza ligure radicatasi a Palermo) e con il fondamentale contributo d’ingegno dato dall’eremita Ignazio Traina, monaco e architetto, al quale si deve l’ideazione della chiesa e, probabilmente dell’intera fabbrica. Il tutto edificato sempre a tutela del nucleo mistico della grotta che, a sua volta, che reca l’epigrafe (e ancor oggi leggibile) graffita sulle pareti d’ingresso: - Ægo Rosalia Sinibaldi Quisquina Et Rosarum Domini Filia Amore Domini Mei Jesu Christi In Hoc Antro Abitare Decrevi. Da allora, da quel 1624 (anno di riscatto dalla peste), attorno a quell’epigrafe e a quella grotta si comincia a edificare il romitorio a più fasi, accrescendo il mito religioso di Santa Rosalia che nella tradizione popolare si manifesta ancora oggi con la Festa a Lei dedicata (prima domenica di giugno) che impegna per giorni tutta la comunità in un unico afflato a dar vita ad un intenso programma di eventi di festosa devozione. Attualmente questo luogo richiede urgenti interventi di sicurezza e manutenzioni straordinarie di tutela, salvaguardia e valorizzazione.

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