Un progetto ambientale innovativo per la tutela del Lago d’Orta

Un progetto ambientale innovativo per la tutela del Lago d’Orta

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Un progetto ambientale innovativo per la tutela del Lago d’Orta
Dal territorio

15 gennaio 2025

Il progetto Ris-Orta consente di monitorare l’inquinamento delle acque del Lago d’Orta attraverso le cozze, trasformate in sentinelle dell’ambiente. Ne abbiamo parlato con Nicoletta Riccardi, biologa esperta di ecologia degli ambienti acquatici e ricercatrice di IRSA CNR di Verbania.

Grazie al contributo di 20.000 euro assegnato nel 2019 da FAI e Intesa Sanpaolo attraverso il Bando I Luoghi del Cuore, il 18 luglio scorso, sulle sponde del Lago d’Orta, sono stati presentati i primi risultati di Ris-Orta, un progetto ambientale innovativo di biomonitoraggio attivo e risanamento dei sedimenti delle aree costiere del Lago d’Orta che prevede il posizionamento di cozze d’acqua dolce in alcune aree litorali.

Le cozze, infatti, si trasformano in biosentinelle grazie alla capacità di agire come “spugne”: filtrano grandi volumi d'acqua e svolgono la funzione di depuratori naturali, rimuovendo anche sostanze tossiche grazie alla capacità di accumularle e depositarle nei loro organi in forma non tossica.

La ricercatrice di IRSA CNR di Verbania Pallanza Nicoletta Riccardi, biologa esperta di ecologia degli ambienti acquatici, ha seguito tutte le fasi di questo innovativo progetto.

Dott.ssa Riccardi, a partire dal 1926 il Lago d’Orta fu gravemente inquinato dagli scarichi industriali e ripristinato ecologicamente alla fine degli anni Ottanta mediante l’operazione di “liming”. In cosa consiste questa tecnica e quali risultati ha portato?

A partire dal 1926, il Lago d’Orta, subisce un rapido inquinamento per lo sversamento degli scarichi industriali della Bemberg, che produceva seta artificiale e scaricava acque reflue contenenti solfati di rame e ammonio.

Tali acque venivano sommariamente depurate e scaricate a lago, per cui nel giro di pochi anni si assiste alla completa distruzione degli organismi che compongono la comunità biotica del lago, che nel 1930 viene definito “sterile”.

Si assiste a un progressivo aumento del contenuto di rame nelle acque lacustri, con accumulo di nitrati dovuti ai processi di ossidazione dell’ammonio che continua a essere scaricato dalla Bemberg. Contemporaneamente, si assiste a un consumo della riserva alcalina che determina una spinta di acidificazione delle acque e un rilevante consumo di ossigeno nelle zone più profonde del lago. Nel 1958 si decide così di attivare un impianto di recupero grazie al quale il carico di rame prodotto dalla Bemberg si riduce significativamente, pur mantenendo inalterate le concentrazioni di azoto ammoniacale e si evidenza la sempre maggior presenza di metalli quali rame, zinco, nichel e cromo derivanti da aziende elettro-galvaniche in forte crescita espansiva sulla sponda occidentale del lago.

Fino agli inizi degli anni Ottanta la situazione si aggrava sempre più con un continuo peggioramento della qualità delle acque lacustri tali da raggiungere acidità di 4-4.5 unità, invivibili per qualsiasi organismo vivente. In questi anni però si assiste a una svolta decisiva per il recupero del lago con la messa in funzione di un impianto di depurazione da parte della Bemberg che migliora il processo di abbattimento del rame e un’efficace rimozione dell’azoto ammoniacale (riduzione pari al 95%) e con l’attivazione di un impianto di trattamento delle acque reflue degli insediamenti civili e industriali. In questo periodo si rilevano per la prima volta metalli tossici in concentrazione superiore ai limiti consentiti dalla legislazione nazionale. Nel giro di pochi anni dall’entrata in funzione dell’impianto, si osservano i primi miglioramenti, ma il pH è costantemente acido a causa della trasformazione dell’ammonio in nitrato con rilascio di ioni idrogeno.

Questo porta a una drastica riduzione della fruibilità del lago da parte della popolazione locale e dei turisti con notevoli ripercussioni sul flusso turistico di presenze sul lago e sulla pesca professionale.

Si decide quindi di intervenire con un piano di risanamento diretto tramite “liming”, per la neutralizzazione delle acque lacustri tramite l’aggiunta di carbonati. L’intervento inizia nel 1989 a partire dal bacino di Buccione estendendosi gradualmente verso nord fino al bacino di Pettenasco. Nel giro di breve tempo si assiste al miglioramento delle condizioni di acidità delle acque (passato da 4 unità a 6-7 unità) e alla drastica riduzione di rame, alluminio e azoto ammoniacale. Questo permette l’insediamento di alcune specie di alghe e di animali planctonici e, di conseguenza, ricompaiono alcune specie ittiche. Per quanto il liming abbia sostanzialmente depurato dai metalli le acque del lago, ha causato un ulteriore peggioramento delle condizioni dei sedimenti. Infatti, i metalli “abbattuti” dall’aggiunta del carbonato di calcio sono andati ad aggiungersi a quelli che nel tempo si erano accumulati nei sedimenti. Per effetto di questa situazione (acque pulite ma sedimenti sporchi) il Lago d’Orta presenta una comunità biotica squilibrata: gli organismi pelagici (che vivono nella colonna d’acqua) sono in avanzata fase di recupero, ma la situazione degli organismi che in un ecosistema sano ed equilibrato dovrebbero vivere nei sedimenti è tutt’ora indicativa di un ambiente profondamente alterato. E tale risulterebbe se venisse applicato un metodo di valutazione biotica che, secondo l’attuale Direttiva Europea, prevede l’analisi della fauna che colonizza i fondali (macrobenthos).

Ora il lago è in via di guarigione ma non ha ancora raggiunto una stabilità e, per questo motivo, entrano in campo le cozze. Ci racconta il loro ruolo e come ha concepito il progetto pilota di ricerca “Ris-Orta”?

Le cozze sono organismi filtratori in grado di depurare grandi volumi d’acqua rimuovendo le particelle sospese (fitoplancton, batteri, virus, detrito) e le sostanze inquinanti sospese o disciolte. Un singolo individuo della specie introdotta nel Lago d’Orta può filtrare fino a 40 litri d’acqua al giorno, un volume davvero grande se si pensa che l’animale adulto raggiunge al massimo 10 cm di lunghezza.

Ma il loro ruolo non si esaurisce qui: questi animali sono i più usati in tutto il mondo come indicatori biologici per il monitoraggio della qualità delle acque. Un improvviso aumento della mortalità delle cozze d'acqua dolce è un indice di contaminazione tossica o di variazione anomala della qualità dell’ambiente. La loro scomparsa di solito indica un inquinamento persistente dell’ambiente, come accadde nel Lago d’Orta un secolo fa.

Formidabile è la loro capacità di accumulare sostanze tossiche dall’acqua e dai sedimenti di laghi e fiumi: depurano l’ambiente e accumulano le sostanze tossiche, i batteri e i virus. Infatti, vengono definite bioaccumulatori e, come tali, vengono globalmente usate per valutare la concentrazione di inquinanti inorganici (es. metalli, radioisotopi) ed organici (es. PCB, tossine algali) e per mappare la loro distribuzione nell’ambiente. Ad esempio, le sostanze tossiche che potrebbero essere presenti nel Lago Maggiore (DDT, PCB, microplastiche, etc.) vengono frequentemente monitorate mediante l’analisi delle loro concentrazioni nelle cozze raccolte lungo il perimetro del lago.

Ma come possono accumulare sostanze che sappiamo essere tossiche senza lasciarci la pelle, o, meglio, la conchiglia? Lo possono fare perché il loro organismo possiede delle particolari capacità di de-tossificazione: cioè le sostanze tossiche vengono “inattivate” mediante diversi meccanismi biochimici. Ad esempio, alcuni metalli vengono “legati” a proteine che li rendono inattivi o incapaci di entrare nelle cellule attraversando la membrana cellulare. Altri metalli vengono “pietrificati” imprigionandoli in granuli di carbonato di calcio che vengono accumulati nei tessuti del mollusco oppure trasferiti nella conchiglia. E una volta che sono nella conchiglia, ovviamente, ci restano per tutta la vita dell’animale, e oltre. Infatti, come tutti sappiamo, le conchiglie durano molto più a lungo degli animali che le hanno prodotte. Ma non è finita: muovendosi nei sedimenti, le cozze ne favoriscono l‘ossigenazione influenzando anche tutti gli altri processi chimici che regolano la disponibilità di nutrienti, quali azoto e fosforo, che stanno alla base di tutta la catena alimentare dell’ecosistema, dai batteri ai lucci.

Come filtratori e accumulatori di sostanze anche tossiche e di microorganismi anche patogeni svolgono un ruolo simile a quello di piccoli impianti di depurazione dell‘acqua, ma con il vantaggio di smuovere anche i sedimenti dei fondali e accelerarne la detossificazione.

Il loro uso come indicatori di accumulo si basa sull’indubbio vantaggio di poter valutare, dalla quantità di inquinanti presenti nei loro gusci e tessuti, il tipo, l’estensione, e anche il tempo nel quale è avvenuto l’inquinamento. E non solo! I loro gusci possono essere usati come “registratori” dell’evolversi dell’inquinamento negli anni. Ma negli ultimi anni si stanno diffondendo sempre più dei sistemi di allarme in tempo reale che registrano il comportamento e il battito cardiaco delle cozze d’acqua dolce per monitorare le variazioni dell’ambiente. Un’applicazione di questo sistema di allarme permette di tenere sotto controllo la qualità delle acque potabili destinate al consumo umano, come ad esempio viene fatto dalla Città metropolitana di Torino.

Quando nel 2014 è stata scoperta una popolazione di cozze che aveva spontaneamente ricolonizzato una piccola area del litorale del Lago d’Orta, presso il lido di Gozzano, ho pensato che avremmo potuto “aiutare” la ricolonizzazione di tutto il lago per sfruttare le capacità depuranti di questi animali e migliorare anche lo stato dei fondali oltre che delle acque.

Poiché i tempi di crescita della popolazione mediante riproduzione naturale sono molto lunghi, l’aiuto poteva solo venire dall’impianto di cozze prelevate da un altro ambiente (la cosiddetta traslocazione). Dopo aver valutato le condizioni di salute delle popolazioni di cozze degli ambienti limitrofi, ho scelto di prelevarle dal Lago Maggiore perché la composizione genetica indicava che la popolazione che si era spontaneamente insediata a Gozzano era probabilmente arrivata dal Lago Maggiore per mezzo delle immissioni di pesce effettuate dai pescatori dopo il “liming”. Ma una seconda idea è nata dalla capacità delle cozze di reagire prontamente ai disturbi ambientali: potevamo usarle come sentinelle per evidenziare in tempo reale eventuali sversamenti di sostanze tossiche nel lago. Quindi abbiamo realizzato un sistema di allarme costituito da una “batteria” di cozze delle quali registriamo il comportamento in continuo. Questo prototipo di BEWS (Biological Early Warning System) è installato presso il circolo velico di Orta e viene costantemente monitorato.

La traslocazione delle cozze dal Lago Maggiore a quello d’Orta

Lago d'Orta

A luglio 2024 sono stati presentati i primi dati del progetto. Ci descrive le principali evidenze?

La traslocazione delle cozze dal Lago Maggiore a quello d’Orta ha permesso di colonizzare l’area compresa tra la penisola di Orta e la spiaggia di Bagnera: una piccola area, proporzionale alle risorse finanziarie disponibili, ma che rappresenta un primo passo verso la ricolonizzazione dell’intero perimetro del lago. Le cozze impiantate sono sopravvissute e cresciute malgrado l’ingresso di una specie molto invasiva, la vongola cinese. I controlli continueranno nei prossimi mesi per verificare se la popolazione è in grado di riprodursi autonomamente.

Il sistema di allarme è funzionante: stiamo registrando il comportamento delle cozze in relazione ai diversi cambiamenti “naturali” dell’ambiente, come le variazioni della luce, della temperatura, del movimento dell’acqua. Questa registrazione del comportamento “basale”, in assenza di disturbo, è necessaria per identificare le reazioni di allarme in caso di tossicità ambientale.

Stiamo analizzando le concentrazioni dei metalli accumulati nei tessuti molli e nei gusci delle cozze traslocate per verificare l’assorbimento dall’ambiente. I valori saranno confrontati con quelli rilevati nella popolazione di Gozzano presente dal 2000 e nella popolazione del Lago Maggiore dalla quale sono stati prelevati gli individui traslocati. Contemporaneamente verranno misurate le concentrazioni dei metalli nei sedimenti raccolti in prossimità delle cozze.

Dal confronto potremo stimare l’efficienza di accumulo, cioè il tempo necessario per depurare i fondali grazie all’attività delle cozze.
Lago d'Orta

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Quali sono gli sviluppi futuri della ricerca?

I risultati delle analisi dei metalli nei tessuti molli e nei gusci delle cozze traslocate per verificare l’assorbimento dall’ambiente verranno utilizzati anche per scopi più generali, cioè non solo specifici per il Lago d’Orta.

Infatti, i risultati ottenuti nel Lago d’Orta, un lago noto per il suo inquinamento particolarmente grave, saranno utilizzati nell’ambito del progetto Europeo SYMBIOREM (101060361, HORIZON-CL6-2021-ZEROPOLLUTION-01) per lo sviluppo di un sistema di “biodepurazione” che, ottimizzando la combinazione di diversi strumenti naturali (piante, batteri, cozze), possa essere applicato al recupero di ambienti contaminati da molteplici inquinanti.

Infine, come una cigliegina sulla torta, sono arrivate proposte di analisi aggiuntive molto innovative da parte di altri gruppi di ricerca grazie all’interesse suscitato da questa traslocazione in un ambiente che ha subito un inquinamento così devastante da uccidere tutta la vita. In particolare, sono in fase di studio il microbioma e la struttura dei gusci e dei tessuti delle cozze di Gozzano (popolazione spontanea insediatasi nel 2000) e di quelle traslocate nel 2022 grazie a questo progetto. I risultati di queste analisi, che verranno prodotti presso l’Università di Bologna e presso il sincrotrone di Amburgo, apriranno nuove prospettive non solo per applicazioni di biomonitoraggio ma anche per comprendere meccanismi alla base dell’azione dei contaminanti con possibili ricadute anche per la salute umana.

Abbiamo detto che le cozze possono fungere da biosentinelle, ci spiega cosa succede quando sono in uno stato di agitazione?

Quando sono tranquille le cozze mantengono la conchiglia un po' aperta per permettere il flusso dell’acqua in entrata e in uscita. Quando le cozze sono “sveglie” si osservano aperture e chiusure regolari delle valve della conchiglia che corrispondono all’espulsione delle feci e movimenti occasionali dovuti all’allungamento e retrazione del piede per spostarsi orizzontalmente o per affondarsi nel sedimento. Quando le cozze sono in riposo la registrazione dà un segnale piatto, cioè assenza di movimenti delle valve.

Se succede qualcosa, come ad esempio l’avvicinamento di un oggetto o una variazione dell’onda, la cozza reagisce immediatamente: dapprima con una chiusura della conchiglia (istinto di protezione) poi con chiusure e aperture alternate per testare l’ambiente e il pericolo imminente. Se il pericolo appare “grave”, come è il caso di una sostanza tossica rilasciata nell’acqua, la cozza entra in “fibrillazione” mostrando aperture e chiusure del guscio veloci e irregolari oppure chiusura permanente per un periodo superiore alla norma.

Tutti questi “segnali”, sia quelli “normali” che quelli “di allarme” sono stati studiati in laboratorio grazie a telecamere che permettevano di identificare la corrispondenza tra il tracciato di registrazione e il comportamento dell’animale. In questo modo, si arriva a una interpretazione delle varie fasi: attività normale, riposo, allarme.

In caso di allarme c’è la possibilità di intervenire sul luogo con verifiche analitiche per evidenziare immediatamente problemi che, senza l’aiuto delle cozze, potrebbero passare inosservati fino al realizzarsi di situazioni estreme, come l’inquinamento del lago del secolo scorso.

Un’ ultima curiosità, sono diverse dalle cozze di acqua salata?

Sono diverse anatomicamente e biologicamente, ma soprattutto sono diverse nella considerazione comune. Infatti, tutti conoscono le cozze di acqua salata, che hanno un valore commerciale che le rende preziose e degne di attenzione. Le poche specie di acqua dolce con un po' più di notorietà sono quelle coltivate per la produzione di perle o di bottoni, quindi quelle che si sono conquistate un valore commerciale.

Purtroppo, le cozze d’acqua dolce stanno scomparendo dovunque al punto da essersi guadagnate il primato di gruppo animale con il maggior rischio di estinzione al mondo.

Un rischio molto più alto dei mammiferi e degli uccelli, ma che passa inosservato perché è difficile fare notizia con una cozza.

Nicoletta Riccardi

Biologa, Dottore di Ricerca in Ingegneria Sanitaria, è ricercatore al CNR Istituto di Ricerca sulle Acque ed è membro attivo della IUCN Species Survival Commission Mollusc Specialist Group (Cambridge, UK).

Si è sempre occupata di ecologia degli ambienti acquatici conducendo ricerche sull’eutrofizzazione dei laghi e i metodi di recupero, le macroalghe della Laguna di Venezia, l’ecologia dello zooplancton marino e d’acqua dolce, i molluschi e le loro capacità di accumulare sostanze tossiche, le specie aliene invasive e i loro effetti sugli ecosistemi, e la conservazione della biodiversità delle specie native.

Responsabile scientifico di progetti relativi alle invasioni biologiche, al monitoraggio delle tossine algali, alla diffusione di parassitosi in relazione alle invasioni di specie aliene e al cambiamento climatico, a metodi di biorisanamento e di biomonitoraggio, all’impiego di biosentinelle per lo sviluppo di sistemi di allarme ambientale, alla conservazione di specie a rischio di estinzione.

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