17 settembre 2025
Il giorno della prossima estate in cui le vacche, burline ma non solo, brucheranno di nuovo questi pascoli e vi lasceranno i loro doni giornalieri che le erbe dei prati aspettano con ansia da tantissimi anni, quel giorno sarà la vera inaugurazione di Monte Fontana Secca e Col de Spadaròt.
Potevamo dunque aspettare la prossima stagione per chiamarvi qui con noi a festeggiare ma abbiamo deciso di farlo oggi perché fortemente volevamo che questo luogo così amato e ricco di storia e significati partecipasse come protagonista alle celebrazioni per i 50 anni del FAI e ne divenisse uno dei pilastri sui quali far crescere e prosperare i prossimi 50 anni!
Lo stallone ricostruito, del resto, e la casa del malgaro restaurata per raccontare per sempre e per tutti una storia tanto importante come quella che ascolterete tra poco e che questi luoghi hanno scritto in tanti secoli di vita – che, come tutte le storie del FAI raccontiamo grazie all’amicizia di EPTA e degli amici Nocivelli –, sono ormai una certezza; festeggiamo quindi oggi, assieme a voi, una prima promessa esaudita!
La pietra angolare è stata posata; ed è solida!
Ma l’attesa, l’attesa di sentir salire e avvicinarsi nuovamente dalla valle i suoni dei campanacci, l’attesa delle mandrie che riporteranno qui davvero la vita è oggi il sentimento che domina il mio cuore; la vivo un po’ come l’attesa di una nascita dopo quei fatidici nove mesi (tanti ne mancano, appunto, al giorno del ritorno degli animali) che tutti i nostri genitori hanno vissuto con trepidazione e che tanti di noi hanno avuto la gioia di provare. Nelle mie montagne valdostane quel giorno si chiama “inarpa”, non so come si chiami qui; sarà anche qui a Fontana Secca un giorno di grande festa; sarà il giorno in cui finalmente questi pascoli torneranno a essere utili alle vacche per nutrirsi e produrre il loro latte; utili all’uomo per trasformare il latte in formaggio; utili al paesaggio alpino perché, di nuovo nutrito, riprenda vigore e torni a riempirsi di fiori e buone erbe; utili al territorio perché, curato da tante mandibole, si rafforzi e si rassodi per evitare frane estive e slavine invernali; la cura del territorio, la lotta contro il dissesto, si sa, inizia proprio da qui; dalle terre alte ben curate.
Sono le vacche, quindi, (seppur oggi assenti) e non gli uomini che oggi festeggiamo; sono loro le protagoniste della futura era di Fontana Secca e Col de Spadaròt!
Noi uomini, Bruno e Liliana Collavo da cui tutto è iniziato e senza i quali nulla di ciò che è stato fatto sarebbe stato possibile, noi tutti del FAI assieme a Willi Guidolin e alle squadre che hanno lavorato con dedizione e costanza alla ricostruzione e al restauro di questi storici edifici, tutti coloro che hanno creduto, sostenendolo, in questo progetto come Nereo Rosin che ha voluto lasciare in legato testamentario una cifra considerevole per Fontana Secca, come Fondazione SAME e gli amici Carozza (un pensiero speciale a Luisella Carozza il cui spirito indomito, civile e appassionato è qui con noi stamattina), come il Fondo Comuni Confinanti con il suo vigoroso presidente Dario Bond senza il cui entusiasmo i nostri bei progetti non si sarebbero trasformati in realtà, come il grande e pugnace amico Bruno Zanolla che da subito, assieme ai suoi colleghi e collaboratori del Comune di Setteville, ci ha aperto le porte facendoci sentire parte della vivace comunità che guida con fermezza, ecco – dicevo – noi uomini di buona volontà abbiamo sognato, donato, progettato e realizzato per loro, per le vacche! Noi uomini a servizio delle Burline e delle loro compagne; l’uomo al servizio delle vacche perché le vacche possano compiere il loro dovere e il loro servizio verso noi uomini e verso la terra. Che bellissima ed esemplare reciprocità!
Ma la terra qui a Fontana Secca non è solo ricchi pascoli utili alla vita ma anche terra sacra che custodisce, gelosamente e generosamente, le eroiche fatiche, le speranze, le vite e le ossa di migliaia e migliaia di ragazzi italiani, austriaci e tedeschi che nel fiore della vita qui, proprio qui nel 1917 si sacrificarono, nel nome dei loro ideali, per un futuro migliore; un futuro che è oggi il nostro presente e che loro non potevano immaginare nemmeno nel più roseo dei loro sogni, se ancora nel buio e nel gelo di quelle trincee era loro rimasta la forza di sognare. E pensando a quei nostri eroi che con i loro sacrifici hanno costruito la nostra Patria non posso non andare col pensiero e col cuore a quelle centinaia di migliaia di bambini, giovani, donne e uomini che dalle loro case stanno scappando, che nelle terre che furono la loro dimora vagano senza meta e senza futuro sospinti dalla disperazione; è il popolo di Gaza, è il popolo del Sudan, è la gente dell’Ucraina a cui penso nell’attesa, che troppo si prolunga, che la colomba della pace porti un ramoscello nato dall’albero della giustizia, della ragionevolezza e della fratellanza.
Nell’attesa gioiosa, dunque, della prossima estate con i suoi campanacci e in quella spasmodica che chi aggredisce sia toccato dal lume della Pietà e chi soffre trovi conforto vi chiedo, qui in montagna dove è di casa, qui dove custodisce le speranze e le sofferenze di tanti patrioti caduti per il nostro futuro, un minuto di silenzio che dedichiamo anche al futuro di tutti coloro che, oggi, sembrano non averlo.
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