I negoziati della COP28: dalla Finanza del clima all’auspicato “phase-out”

I negoziati della COP28: dalla Finanza del clima all’auspicato “phase-out”

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I negoziati della COP28: dalla Finanza del clima all’auspicato “phase-out”
In primo piano

06 dicembre 2023

Nelle sale dell’immenso Expo City Dubai si è chiusa la prima settimana di negoziati della COP28. Capi di Stato e ministri, arrivati da tutto il mondo, hanno tenuto discorsi, espresso indirizzi politici e firmato impegni che potrebbero influenzare l’agenda negoziale dei prossimi giorni e dare entro il 12 dicembre forma e struttura a un auspicato accordo comune per frenare il riscaldamento globale.

Approvato il Fondo su Perdite e Danni

La partenza della 28° Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici è stata per tutti inaspettata e a dir poco scoppiettante.

I negoziatori, guidati dalla presidenza del sultano Al Jaber, hanno approvato e reso operativo con rapidità – ma non senza qualche indugio – il Fondo su Perdite e Danni, quel fondo che andrà ad erogare contributi economici a beneficio dei Paesi più vulnerabili di fronte agli effetti distruttivi dei cambiamenti climatici.

Oltre 650 milioni di dollari sono stati stanziati nel Fondo, che per i prossimi quattro anni sarà amministrato dalla Banca Mondiale. Un traguardo inziale, questo, che si è posizionato contro corrente rispetto alle precedenti Conferenze (caratterizzate da decisioni spesso rimandate e progressi lenti) e che ha dato uno slancio propositivo ai negoziatori affaccendati sui tavoli.

Rinnovabili e nucleare

A segnare i primi giorni sono infatti stati gli svariati impegni politici – i cosiddetti pledge – che molti capi di Stato hanno dichiarato al fine di decarbonizzare le loro economie e accelerare i flussi finanziari per la riduzione delle emissioni.

Tra i più attesi, quello che ha visto 118 Paesi guidati dall’Unione Europea sottoscrivere il Global Renewables and Energy Efficiency Pledge, un impegno finalizzato a triplicare la capacità di energia rinnovabile e raddoppiare il tasso di efficienza energetica da qui al 2030.
Su un piano di maggiore controversia si è invece posto l’appello fatto da 22 Stati di voler aumentare di tre volte la produzione di energia nucleare entro il 2025.

Una dichiarazione che ha destato le preoccupazioni di parte della società civile e scientifica, conscia dei possibili effetti negativi e nefasti di una gestione scorretta degli impianti e dei rifiuti radioattivi che ne derivano. Si badi bene, però, al fatto che questi impegni non sono ancora definitivi né vincolanti, ma servono per dare un indirizzo alle decisioni negoziali che seguiranno nei prossimi giorni. Bisognerà infatti attendere la fine della Conferenza per capire se queste promesse si concretizzeranno in risultati tangibili di decarbonizzazione.

La Finanza per il clima

E giorno dopo giorno, quel che sta affiorando in superficie è la convinzione che la chiave di volta per giungere a questi risultati concreti sarà sempre di più la Finanza per il clima.

Lo stesso Al Jaber, dopo aver ricevuto dure critiche per la sua iniziale ritrosia all’eliminazione delle fonti fossili, ha affermato che «la portata della crisi climatica richiede soluzioni urgenti e rivoluzionarie da parte di ogni settore e proprio la finanza gioca un ruolo fondamentale nel trasformare le nostre ambizioni in azioni concrete». Un segnale che la pressione sulle fonti fossili è altissima.

Di fronte a questa tematica di enorme rilevanza riemerge però l’annosa divergenza tra Paesi del Nord e del Sud globale, una frattura che esaspera i contrasti, rallentando di fatto il raggiungimento di un accordo comune.

I Paesi in via di sviluppo sottolineano le storiche responsabilità dei Paesi “sviluppati” di aver causato i cambiamenti climatici, ricordando il cosiddetto principio delle responsabilità comuni ma differenziate, e richiedono quindi adeguati flussi finanziari per il trasferimento tecnologico e la capacity building.

Alcuni Paesi del Sud globale hanno infatti affermato che l’energia rinnovabile è la strada da percorrere, ma che al momento non hanno economie di scala adeguate per attrarre investimenti, né la capacità tecnica e le risorse umane utili per poterne fare uso. I cosiddetti Vulnerable 20, di cui fanno parte molti stati africani e alcuni Stati dell’America Latina, hanno poi fatto notare le difficoltà legate ai debiti nazionali, spesso insostenibili, e hanno richiesto un’urgente riforma per allentare la pressione: un Piano Marshall per la riduzione del debito e un reindirizzamento degli attuali sussidi ai combustibili fossili verso i Fondi per l'adattamento e per le perdite e i danni.

In quest’ultima direzione è stata avanzata la proposta di una tassa globale sulle emissioni: una task force sta discutendo in questi giorni un’ampia gamma di opzioni per rendere plausibile la tassa, tra cui le imposte sulle spedizioni internazionali, sull’aviazione, sulle transazioni finanziarie e sui combustibili fossili. Certo è che l’allineamento dei flussi finanziari e le riforme sono e saranno uno dei temi cardine sui quali questa COP girerà.

Il monito: «Non ridurre. Non diminuire. Ma gradualmente eliminare i combustibili fossili»

Ed infine i compiti a casa. Gli Stati, sappiamo, sono arrivati a questa Conferenza con delle misure di mitigazione del tutto inadeguate a mantenere le temperature al di sotto del fatidico grado e mezzo. Proprio nei prossimi giorni il lavoro dei negoziatori si concentrerà nella scrittura del testo sul Global Stocktake, che prevede, da una parte, la revisione degli impegni presi da ogni Nazione per la riduzione delle emissioni (impegni appunto ancora fortemente lontani dal necessario) e dall’altra la definizione di linee programmatiche e azioni sempre più ambiziose da mettere in atto per decarbonizzare le economie e gestire gli impatti sempre più evidenti della crisi climatica.

E qui giunge anche la spina nel fianco: la disputa sull’abbandono dei combustibili fossili, il cosiddetto "phase-out".

Lo stesso Antonio Guterres, durante la conferenza di apertura dei negoziati, ha ammonito che «dobbiamo accelerare una transizione giusta ed equa verso le energie rinnovabili. La scienza è chiara: il limite di 1,5 gradi è possibile solo se alla fine smetteremo di bruciare tutti i combustibili fossili. Non ridurre. Non diminuire. Ma gradualmente eliminare».

E così effettivamente 106 Paesi vogliono che il testo preveda l'eliminazione dei combustibili fossili, mentre 120 sostengono la triplicazione delle energie rinnovabili. Ma altri, tra cui, su tutti, Arabia Saudita e Russia, pongono un freno in questa direzione.

Intanto, però, una grande conquista è stata fatta: nella bozza di testo del Global Stocktake compaiono, per la prima volta nella storia dei negoziati, le parole "phase-out" tra le azioni principali su cui bisogna concentrarsi nei prossimi dieci anni.

Ora bisognerà vedere se questa voce resterà anche nell’accordo finale. Nei prossimi giorni i negoziatori continueranno a lavorare per trovare compromessi e definire gli obiettivi, si spera ambiziosi, per limitare le emissioni e quindi frenare l’“ebollizione” globale.

Perché, come ricorda Guterres, «la sfida climatica non è solo un altro problema nella nostra casella di posta. Proteggere il nostro clima è la più grande prova di leadership a livello mondiale. Esorto i leader a guidare, perché il destino dell’umanità è in bilico. Fate contare questa COP».

Valeria Pagani

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