02 novembre 2021
La radice amb di ambiente rimanda a ciò che sta ai lati o intorno a qualcosa, qualsiasi cosa sia. Più che un contesto è il tutto: fisico e biologico scientificamente indagabile, vero ma anche storico e artistico, umanisticamente interpretabile nel suo significato. Insomma, è un concetto astratto, che rimanda al continuo o indivisibile, per cui non ha confini ed è universale; potrebbe anche essere infinito, almeno nell’immaginazione e nel sentimento. Comprende ogni cosa - sia essa naturale, artificiale o spirituale -, appartenente al cosmo oppure fatta, sentita e pensata dall’uomo.
“Ambiente” è il termine scelto dai fondatori del FAI nel 1975 per indicarne la missione: “Fondo per l’Ambiente Italiano”. Il significato del termine – limitato di norma, eppure erroneamente, alla sola natura – è stato ribadito nel Terzo piano operativo del piano strategico della Fondazione (2014-2024).
Il paesaggio è invece un contesto con caratteristiche proprie, che lo distinguono da altri paesaggi, per cui rimanda al discontinuo o divisibile, cioè alle parti del tutto, per cui ha confini. È un concetto discreto e concreto, che i sensi afferrano e sentono. Comprende una porzione di terra, di acqua e di aria scomponibile in unità topografiche boscose, coltivate e costruite, che possono essere decifrate e interpretate (anche se ciò a scuola mai viene insegnato), per cui entra in gioco la percezione, la passionalità, la sensibilità e la razionalità di un individuo o di una comunità. Conoscere il paesaggio significa apprezzarne le caratteristiche fisiche e biologiche, studiate dalle scienze della natura, e saperlo anche intendere nelle sue stratificazioni, costanti e varianti storiche, nelle sue configurazioni reali e immaginarie e perfino nelle distruzioni e deformazioni dovute alle ondate d’industrializzazioni troppo frettolose e unilaterali. Il paesaggio ignora valori universali ed è il risultato personale o collettivo della conoscenza e coscienza di un luogo amato, natio oppure acquisito, che ha contribuito a formare la propria identità.
Il paesaggio è l’espressione di un territorio, come il volto umano rappresenta una persona.
Il paesaggio esterno sempre è in rapporto con quello mentale - «io nel pensier mi fingo» -, solo in grado di mettere in relazione le morte stagioni con l’eterno, un luogo particolare con l’immensità, la parte con il tutto: entità che sentiamo ma non vediamo e solo a stento pensiamo (come ne L’infinito di Leopardi).
Se l’ambiente terrestre è stato avvelenato è perché ci siamo dedicati a tante cose ma in modo scisso, lasciando da parte proprio quel tutto, che oggi clamorosamente si vendica, e al quale il globo intero è chiamato a porre riparo. Al tutto non ci conducono l’economia, il denaro, l’avidità, la tecnica e il piacere, ma solo un sentimento forte unito alla debole ragione, come quello che ci lega al sacro, alla natura, alla specie, alle emozioni, al paesaggio, alla storia, all’arte e alla poesia.
Ecco un passo folgorante dello Zibaldone (22 agosto 1823):
«Chiunque esamina la natura delle cose colla pura ragione, senz’aiutarsi dell’immaginazione né del sentimento, … potrà ben quello, che suona il vocabolo analizzare, risolvere e disfare la natura, ma e’ non potrà mai ricomporla, … tirare una grande e generale conseguenza; né stringere e condurre le dette osservazioni in un gran risultato… Io voglio anche supporre ch’egli arrivino colla loro analisi fino a scomporre e risolvere la natura ne’ suoi menomi ed ultimi elementi, e ch’egli ottengano di conoscere ciascuna da sé tutte le parti della natura. Ma il tutto di essa, il fine e il rapporto scambievole di esse parti tra loro e di ciascuna verso il tutto, e l’intenzion vera e profonda della natura, quel ch’ella ha destinato, … la cagion finale del suo essere e del suo esser tale, il perché ella abbia così disposto e così formato le sue parti… è impossibile il ritrovarle e l’intenderle a chiunque colla sola ragione analizza ed esamina la natura. La natura così analizzata non differisce punto da un corpo morto… Scoprire e intendere qual sia la natura viva, quale il modo, quali le cagioni e gli effetti, le intenzioni, i destini della vita della natura e delle cose, quale la vera destinazione del loro essere, quale insomma lo spirito della natura, colla semplice conoscenza… del suo corpo, e colla analisi esatta, minuziosa, materiale delle sue parti anche morali non si può… con questi soli mezzi scoprire né intendere… Nulla di poetico si scorge nelle sue parti, separandole l’una dall’altra, ed esaminandole a una a una col semplice lume della ragione esatta e geometrica… Perocché tutto ciò ch’è poetico si sente piuttosto che si conosca e s’intenda o … sentendolo si conosce e s’intende … Ma la pura ragione e la matematica non hanno sensorio alcuno. Spetta all’immaginazione e alla sensibilità lo scoprire e l’intendere tutte le sopraddette cose; ed elle il possono…, perocché noi… siamo pur parte di questa natura…; e queste facoltà nostre sono le sole in armonia col poetico ch’è nella natura… Essi soli possono meno imperfettamente contemplare… il tutto della natura… Finalmente la sola immaginazione ed il cuore, e le passioni stesse; o la ragione non altrimenti che colla loro efficace intervenzione, hanno scoperto e insegnato e confermato le più grandi, più generali, più sublimi, profonde, fondamentali verità filosofiche che si posseggano, e rivelato o dichiarato i più grandi, alti, intimi misteri che si conoscano».
La ragione “pura”, cioè quella non sostenuta dall’intervento dell’immaginazione, del sentimento e della passione…, non sa percepire il tutto perché non ha sensorio e invece tende a dividere, per cui il continuo si perde. La ragione arriva a conoscere, tramite l’analisi, le parti scisse dal tutto, mentre il sentire arriva a cogliere proprio il tutto, anche se imperfettamente, tramite il poetico e l’arte. Insomma, senza una rinascita del continuo, dello spirito del tutto – naturale e umano - il Pianeta non potrà salvarsi. Ma se preservando la capacità dell’analisi torneremo anche a sentire, amare e concepire il tutto – abbracciandolo ma rispettandolo come sistema – allora il Globo si salverà, magari proprio con la stessa arma – la tecnologia – con la quale finora lo abbiamo gravemente danneggiato. Si tratta quindi finalmente di unire in tutta la Terra e in questo secolo tutte le capacità di dividere, proprie dell’Occidente (a partire dall’antichità e dalla tradizione giudaico-cristiana), a tutte le capacità di unire, proprie dell’Oriente (a partire dai Veda), mettendo a frutto quattro millenni del cammino dell’umanità.
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