Il borgo di Pontemanco costituisce forse l’unico esempio – mantenutosi integro - nel territorio padovano, di centro abitato quattro-cinquecentesco – di cui conserva l’originario impianto urbanistico e la quasi totalità dell’edificato – sorto in funzione delle notevoli attività molitorie che vi erano precedenti (già da prima del 1338), ed affacciato sul corso d’acqua che costituiva fonte di vita e di lavoro.
Esso è percorso dal canale Biancolino, diramazione del Canale di Battaglia. Deve il suo nome probabilmente all'antica mancanza del ponte che attualmente ne collega le due rive, e nel periodo di più fiorente sviluppo la sua fama alla posizione strategica nel sistema di navigazione interno lungo la direttrice Venezia-Chioggia-Padova.
La sua nascita ed ubicazione è originata dalla presenza di due poste di mulini medievali, di proprietà Carrarese, in corrispondenza di un pronunciato salto d’acqua (circa tre metri) del canale, che garantirà una florida attività di macinazione cresciuta nel corso di sette secoli – sino a far operare contemporaneamente dodici ruote, rendendoli i più importanti mulini della provincia - e cessata soltanto nel 1970. Le granaglie lavorate a Pontemanco venivano trasportate poi per mezzo di carri e/o di imbarcazioni a traino fino ai grandi punti di scambio.
Con la conquista Veneziana dei domini Carraresi (1405), i beni da questi posseduti – suddivisi in varie gastaldie - vennero messi all’asta. L’11 settembre 1406 Barbon e Bernardo Morosini, in consorzio con Francesco Corner, acquisirono una posta di molini e la fabbrica di carta in Battaglia con case e sedimi di terra, due poste di molini con case e campi di terra a Pontemanco, una casa con brolo di fronte la chiesa di Carrara ed alcuni campi in contrade vicine.
Si sviluppa l’insediamento, organizzandosi ai lati del canale, attorno ed a monte dei mulini, con le case (e successivamente le ville) dei principali proprietari patrizi e dei loro agenti, le abitazioni delle diverse maestranze (i molinanti, ma anche le maestranze delle attività indotte, come i marangoni, i fabbri, i maniscalchi, i cavallanti, i barcaioli), le botteghe necessarie alla vita del complesso proto-industriale ed a quella di tutti i giorni, le taverne (o, come si diceva allora, hostarie) e le locande necessarie per i popolani ma anche per quanti forestieri dovevano stazionare e soffermarsi sul posto.
Già due mappe in pergamena colorata (anni 1466 e 1477) fotografano l'intero agglomerato edilizio enucleatosi attorno al corso del Biancolino. Documenta la presenza di boschi intorno all'abitato, la regimazione delle acque in corrispondenza delle poste molitorie, le strade di accesso alle abitazioni ed ai mulini.
L’abitato risulta solo in parte diverso da quello attuale: mancano le abitazioni a schiera che s'affacciano lungo la sponda sinistra, a monte del ponte (anche se sussistevano alcune casette isolate) e alcuni altri edifici eretti, probabilmente, nei secoli successivi quando le ruote divennero sei per parte. Il limite di parte dell'agglomerato edilizio, invece, appare già delineato, tanto che ci permette di affermare che sul finire del XV secolo l’impianto urbano era già in buona parte tracciato.
Celebri mappe cinquecentesche (Nicolò dal Cortivo, 1534 Cristoforo Sabbadino, 1552) dimostrano come ormai Pontemanco fosse diventata centro di qualche conto, con interessi che superavano i confini provinciali per estendersi nel veneziano.
Con l'intensificarsi dell'attività produttiva e degli scambi, si stabilizza l'impianto urbanistico così come oggi lo vediamo. I Pasqualigo (eredi diretti dei Morosini) trasformeranno in villa l’originario palazzetto, e costruiranno l’adiacente oratorio della Beata Vergine annunciata. I Grimani (eredi diretti dei Pasqualigo) completeranno le casette in linea dei lavoranti, ed amplieranno Villa Pasqualigo (ora Fortini). Si realizza e si completa così un singolare modello insediativo funzionale all'attività produttiva e di scambio.