Il cosiddetto Piano della Civita è situato circa a 1 km a sud della moderna cittadina di Artena. Lì si trovano importanti resti di una città antica, della quale si ignora a tutt’oggi il nome. Il sito occupa la sommità e le pendici di una collina poco accessibile, all’estremità settentrionale dei Monti Lepini, in una zona che in antichità fu al confine fra il territorio dei Latini, degli Equi e dei Volsci.
Le pluriennali indagini di scavo condotte dalla missione archeologica belga poi franco-americana hanno riportato alla luce vestigia appartenenti a più fasi di occupazione, dal IV sec. a.C. fino al VII sec. d.C., che possono essere brevemente suddivise in tre periodi.
Periodo repubblicano, metà del IV e l’inizio del III sec. a.C, a cui appartiene il lungo circuito della cinta muraria in opera poligonale che segue i contorni stessi dell’altopiano, secondo quel principio antico di fortificazione elementare che consisteva nel semplice rinforzamento delle difese naturali del luogo. Esso era attraversato da un asse stradale che si dirigeva dal centro verso un terrazzamento a nord, costruito anch’esso in opera poligonale. La cinta muraria difendeva all’interno un impianto urbanistico che include numerose abitazioni, ognuna delle quali disponeva di almeno una cisterna, il loro numero complessivo si attesta a circa venti vista l’assenza totale di una fonte d’acqua sul Piano della Civita. Tra i vari edifici di questa epoca merita interesse una struttura a pianta rettangolare con un annesso aggiunto in un secondo tempo a sud-est. L’edificio si apre verso sud-ovest, cioè verso valle e poi il mare. Con grande prudenza gli archeologi hanno ipotizzato che fosse un luogo di culto e l’hanno chiamato "l’edificio del mundus", composto da diversi vani: un vano occupato da una cisterna; una grande corte, con canaletto di adduzione d’acqua dal sottosuolo e condotto di fognatura; un vano con fossa circolare. L’apertura della fossa circolare era circondata da un orlo decorato in terracotta, dove si incastrano due livelli di ‘coperchio’, fatti di tegole. La cura estrema della chiusura ermetica suggerisce la natura speciale, perfino sacra della struttura tale da corrispondere ad "un mundus", descritto dagli autori antichi come una cavità sotterranea, con bocca stretta, consacrata alle potenze legate alla sfera funeraria, infernale o agraria, ad esempio Plutone, Proserpina o Cerere. La possibile presenza di un altare e l’orientamento nord-est, diverso rispetto agli altri edifici di quest’epoca, potrebbero essere un ulteriore argomento per l’ipotesi di un edificio pubblico a carattere cultuale.
Epoca imperiale, a cui risale la villa rustica di cui finora sono stati scavati circa 1750 mq e la cui estensione totale non è ancora conosciuta. "L’opus reticulatum" rappresenta la tecnica più utilizzata nelle murature. Le stanze si sviluppano attorno ad un atrio nella parte settentrionale e ad un peristilio nella parte meridionale. Atrio e peristilio formano l’asse di simmetria principale della pianta. Lo spazio sotto l’atrio tetrastilo è occupato da una cisterna. Sopra la cisterna si trova l’impluvium, con quattro colonne incastrate negli angoli del muretto. Tra i vari ambienti che compongono la villa meritano menzione il torcular, del quale è conservato il piano di lavoro in opus caementicium, il piccolo complesso termale ed una stanza con pavimento a mosaico che si apre sul peristilio: un tappeto composto di 315 quadrati che si alternano regolarmente (bianchi, neri, bicromi) i cui muri erano rivestiti all’interno da intonaco bianco con tracce di pittura rossa, in parte conservato in situ.
Epoca tardoantica, durante la quale sono stati attuati molti interventi che hanno profondamente cambiato l’identità della villa, trasformandola gradualmente da un complesso singolo in un insediamento più o meno ristretto o sparso, con funzioni varie.