ll Complesso Monumentale di San Giovanni degli Eremiti ricade nell’antico territorio del Transkemonia che comprendeva l’abitato posto al di là del torrente Kemonia o “Fiume del Maltempo”. Il monastero sarebbe stato edificato durante il papato di san Gregorio Magno nel 581, che inviò una colonia di monaci benedettini, provenienti da alcuni monasteri di Roma. Quasi nulla si sa in merito ai cambiamenti che subì il complesso durante il lungo periodo di dominazione araba: alcuni studiosi ritengono che sullo stesso sito fu edificata una moschea. Dopo la riconquista di Palermo da parte dei Normanni intorno al 1132, per volere del re Ruggero II fu eretta un’abbazia dedicata a San Giovanni Evangelista. Tuttavia, bisogna andare all’anno 1148 per avere la prima notizia certa riferibile al complesso. Finito il periodo di dominazione normanna, cominciò il declino del monastero che alla fine del ‘400 fu quasi abbandonato. Per ovviare a ciò, il papa Paolo II, nel 1464, inviò alcuni Benedettini di San Martino delle Scale. Perdurando lo stato di decadenza del complesso, intorno al 1523, si decise di attuare una riforma radicale dell’edificio di culto, grazie all’intervento dell’imperatore Carlo V che finanziò il recupero e l’ampliamento secondo il gusto tardo rinascimentale e barocco. La vecchia chiesa Normanna venne modificata e quella che era la sala capitolare diventò la navata principale della nuova chiesa cinquecentesca mentre la vecchia chiesa fu ridotta a coro dei monaci. Alla fine dell’800 il Monastero si trovò nuovamente in uno stato di degrado anche a seguito all’unità d’Italia che fece transitare i beni ecclesiastici dalla chiesa allo stato. A partire dal 1880, l’arch. Giuseppe Patricolo intraprese il restauro della chiesa per mettere a nudo le strutture normanne originarie abbattendo le stratificazioni successive al XII sec. Nel 1882, gli interventi di recupero portarono l’architetto ad affermare la presenza di un “monumento arabo” preesistente alla chiesa. L’esterno è caratterizzato da spoglie mura in tufo. Dall’esterno si vedono il campanile, l’abside e 5 cupole semisferiche rosse, che, secondo i dettami dell’arte islamica, rappresentavano la volta celeste. La navata è composta da 2 campate, divisa da un grande arco ogivale e 3 elementi formanti il transetto: l’abside centrale con una finestra in alto; la Prothesis a sinistra e, a destra, la sagrestia che porta alla sala del Capitolo. Il Patricolo la indica come “sala araba”, perché la costruzione risalirebbe al X sec. e farebbe parte di un edificio composto, oltre che dalla stessa sala, da un portico e da un recinto. La sala rettangolare è divisa in senso longitudinale da 5 pilastri a sezione quadrata di cui restano soltanto le parti sul pavimento rialzato ed è coperta da 3 volte a crociera cinquecentesche. Sul muro troviamo un affresco di stile bizantino realizzato tra la fine del XII e l’inizio del XIII sec. che rappresenta la Madonna con il bambino insieme a san Giovanni Evangelista e sant’Ermete o più probabilmente S. Giacomo. All’esterno si scorgono alcuni resti del portico di presunta epoca islamica e del muro settentrionale senza più il loggiato, su cui si aprono 5 finestrelle ogivali strombate e i resti delle originarie campate di copertura. La data di costruzione del chiostro è imprecisata, probabilmente tra la fine del XII e l’inizio del XIII sec. È stato realizzato secondo il modello del chiostro di Monreale con dimensioni minori. L’arcone addossato alla chiesa, dimostra che il chiostro era circondato da corridoi coperti sui quali si alzava il convento. Il chiostro, con un pozzo di età normanna in corrispondenza di una cisterna araba, è pieno di fascino; chiostro e giardino sono stati riempiti da verzure e piante, secondo un gusto tardo romantico, all’inglese, della fine del 1800. Negli anni a seguire le condizioni del chiostro peggiorarono, malgrado alcuni interventi atti a scongiurane il crollo. Il restauro venne portato a termine dallo stesso Patricolo nel 1883.