Questa piccola chiesa posta nel punto d'incontro di più strade (Via Guasco, Via Plana, Via Canefri, Via Boidi) è interessante in quanto vi è ragione di credere che il piccolo edificio sia stato eretto in occasione di una delle numerose epidemie di peste abbattutesi sulla città, forse alla fine del Quattrocento. L'originaria intitolazione a S. Rocco, al quale era tradizionalmente legato il culto espiatorio dei contagi, rafforza questa ipotesi insieme alla stessa ubicazione della nostra chiesetta, in quanto era consuetudine erigere cappelle votive contro il morbo ai crocicchi delle strade, per consentire ai sacerdoti di celebrare funzioni religiose anche per gli ammalati isolati nelle case e per testimoniare ai passanti, in modo visibile, la riconoscenza della collettività per il cessato flagello La prima testimonianza di un'epidemia di peste ad Alessandria è del nel 1371 quando la peste decima la popolazione, tanto che la città sembra morta: nella Piazza Maggiore (Piazza della Libertà) e anche per le contrade si vedeva l'erba alta come nei prati; Anche nei secoli successivi Alessandria viene colpita da epidemie di peste. Le cronache ci presentano un quadro raccapricciante: i cadaveri insepolti richiamano branchi di lupi che penetrano nelle case e divorano bambini incustoditi; il Comune offre premi in denaro a chi catturi e consegni un lupo vivo o morto; finita la peste, i lupi scompaiono. Ma la peste più importante che si ricordi è quella del 1630-1631, la peste del Manzoni Come si combatteva contro questo morbo? La fuga è il rimedio più ragionevole ed efficace. I dotti hanno sempre consigliato di fuggire presto, lontano e per lungo tempo. Oltre alla prassi dell'isolamento e della quarantena, si stabilivano diverse norme, dal divieto di entrare in città all'obbligo di denunciare i casi sospetti, dall'interdizione dal frequentare i luoghi in cui si erano manifestati sintomi di contagio alla segregazione degli emarginati (pazzi, criminali, stranieri, mendicanti, indigenti); a volte si arrivava addirittura all'espulsione dei poveri, identificandosi la povertà come causa principale della peste; spesso i sospetti venivano forzatamente tradotti in lazzaretti e in ospedali aventi più carattere di carceri che di luoghi di cura. Se poi consideriamo le fonti più ricche quelle della peste del 1630 possiamo notare come le decisioni del consiglio comunale sono uno sconcertante esempio d'incapacità a fronteggiare la situazione. L'elemento religioso-espiatorio domina qui come altrove: si invocano i SS. Baudolino e Valerio, patroni della città e si intensificano le pratiche di devozione alla Madonna e ai Santi Sebastiano e Rocco, poichè è detto in una seduta del Consiglio Comunale che nel contagio nessun rimedio è più utile che quello di rivolgersi alla Madonna e ai santi. Si erigono cappelle e chiesette votive e si organizzano processioni a cui partecipavano tutti, uomini, donne, bambini di ogni ceto sociale. Inoltre, nelle prime settimane dall'inizio del contagio, manca al Comune la necessaria tempestività di interventi anche a causa delle reiterate assenze dal consiglio di alcuni membri che, per paura di contrarre la malattia, non osano uscire di casa. Per raggiungere il quorum e poter varare le opportune misure di difesa, si minaccia l'uso della forza o i consiglieri che non ottemperano ai loro obblighi d'ufficio e si inviano degli armati a prelevarli a domicilio. Il Consiglio comunale chiede l'autorizzazione a Milano ad organizzare un'azione di vigilanza sanitaria per impedire l'ingresso in città di persone e cose provenienti dalle zone colpite e a ricoverare i militari infermi in un ospedale fuori dell'abitato. Da Milano si inviano disposizioni sull'attuazione della barriera sanitaria, ma si la boccia la proposta di collocare un ospedale militare fuori le mura: in sostanza Alessandria può chiudere le porte ai civili ma non ai militari. Così quanto si temeva puntualmente avviene: dalla fine di giugno all'ottobre 1630 la peste infuria i
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