Raro esempio di archeologia industriale ottocentesca, la Cunziria ha le sembianze di un piccolo borgo costituito da circa quaranta edifici con al centro una chiesetta dedicata a Sant'Eligio. Spesso i locali a piano terra sfruttavano un piccolo ipogeo, poi inglobato nella costruzione su più livelli, tra la valle e la collina.
Le condizioni ambientali ne hanno fatto, nel tempo, un luogo idoneo per l’attività di conciatura del cuoio: ampi spazi esposti al sole, abbondanza di tannino estratto dalle numerose piante di sommacco e una sorgente d’acqua, il torrente Masera, che raggiungeva l’interno delle botteghe degli artigiani tramite un ingegnoso sistema di canalizzazione e vasche di raccolta ancora oggi ben visibili. Abbandonato in seguito alla concia industriale, ai mutamenti economici e ai conflitti mondiali, questo antico borgo ormai disabitato conserva un fascino intatto, ancorché decadente.
Case di pietra e mura sberciate, stradine che si inerpicano attorno alla collina, piante di sommacco, e fichi d'India a perdita d'occhio. In questi luoghi le parole di Verga trasudano da ogni crepa e i suoi personaggi sembrano occhieggiare da ogni uscio spalancato e sbilenco, quasi un set cinematografico naturale che non è sfuggito all'occhio di grandi registi come Franco Zeffirelli che nel 1981 lo scelse per l'opera-film “Cavalleria Rusticana” e a Gabriele Lavia che nel 1996 vi girò “La Lupa”.
Il nostro luogo del cuore è inserito nella classifica "salva l'acqua" per la presenza di diversi opifici idraulici che sfruttavano le falde acquifere e i ruscelli con il sistema della ruota orizzontale. Un sistema perfettamente integrato che sfruttava le risorse del luogo, tra cui principalmente l'acqua, non solo per la concia, ma anche per la molitura dei cereali, della canna da zucchero, che qui si coltivava sin dal '500, dei panni di lana, in particolari opifici chiamati gualchiere o paratori che sfruttavano il medesimo sistema di sfruttamento di acqua a regime torrentizio, ma anche sorgenti che esistono tuttora, ma che spesso sono state lasciate in abbandono. Sappiamo che l'acqua è una risorsa quantomai importante per la vita e tutte le attività umane, particolarmente lo è nel nostro tempo ed è e sarà sempre più l'emergenza del secolo e forse del millennio. Tutte le attività di questo villaggio a sistema chiuso erano legate all'uso di questa risorsa, gli edifici che ancora permangono sono in condizioni assai precarie ma ancora resistono. Costituiscono un raro esempio di ingegneria civile, spesso risalente ad un periodo antecedente al cataclisma del 1693 e che sfruttava il medesimo sistema introdotto dagli arabi in Sicilia, con la canalizzazione delle acque attraverso saie e canalizzazioni forzate che utilizzavano le acque avvalendosi del "salto di quota" in qualche caso per i mulini
(anche due di seguito, uno a quota più alta e uno subito sotto) quindi per il riempimento delle vasche all'interno delle concerie, e ancora per l'irrigazione degli orti a valle.
In ultimo siamo in possesso di dati storici che riferiscono di sorgenti, canalizzate in antiche fontane (Fontana Sant'Angelo) di acque classificate come oligominerali. Auspicheremmo, nel caso in cui un progetto di recupero potesse essere finanziato ed adeguatamente progettato e finalizzato, non solo il salvataggio delle strutture esistenti, ma anche il ripristino di alcuni opifici e mulini non solo a scopo didattico, ma anche per l'accoglienza e la ristorazione, magari anche grazie all'intervento di privati, alla nascita di attività legate alla molitura biologica di grani autoctoni, senza dimenticare la protezione e una migliore canalizzazione delle falde acquifere, oggi, ripetiamo quantomai di primaria importanza.