16 dicembre 2024
All’interno degli edifici trascorriamo buona parte delle nostre giornate, per lavoro, per svago e soprattutto perché sono il nostro ambiente di vita, la nostra casa: per questo ci servono confortevoli, caldi d’inverno e freschi d’estate. Ma sappiamo quanto consumano? Quanto sono efficienti e quanto potrebbero esserlo di più?
I sistemi di riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell’aria richiedono grandi quantità di energia e più gli edifici sono inefficienti, maggiore è il loro consumo. In un contesto di crescente domanda energetica e cambiamenti climatici, è quindi necessario ripensare ai metodi con cui costruiamo il nostro patrimonio edilizio e anche a come lo abitiamo. L'uso di materiali naturali, la progettazione orientata all'efficienza energetica, l’uso di fonti di energia rinnovabile e l'adattamento alle condizioni climatiche locali sono ad esempio chiavi fondamentali per migliorarne le prestazioni e anche la salubrità. Da questo punto di vista il patrimonio storico è un esempio virtuoso in cui ritrovare principi guida: alcune costruzioni tipiche di epoche passate sono state realizzate secondo regole di funzionalità e durabilità, possono quindi essere un faro che ci guida nelle scelte future. Attraverso un approccio che integra conoscenze tradizionali e innovazioni, possiamo quindi avere soluzioni sostenibili già per il nostro presente. Ne parliamo con Alessandro Speccher, ingegnere ambientale, formatore e consulente con esperienze nazionali ed internazionali, che si occupa a tempo pieno di sostenibilità ambientale applicata al settore dell’edilizia. *
I report attuali ci dicono che le abitazioni, gli edifici e, in generale, il settore dell’edilizia sono responsabili di quasi il 40% delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. Tuttavia, capire a pieno questo fenomeno è complesso e proporrei invece un approccio più metodologico, partendo dal nostro passato. Vitruvio identificava tre caratteristiche fondamentali dell'architettura: la firmitas, cioè la solidità e la durabilità dei materiali, la venustas, ovvero la bellezza estetica e l'utilitas, la funzionalità. Dobbiamo riappropriarci di questi concetti, che proprio negli edifici storici, costruiti in epoche in cui la scarsità energetica imponeva pratiche virtuose, sono espressi alla loro massima potenza. Molti edifici storici sono costruiti con materiali naturali come mattone, legno, pietra e argilla, che non contengono derivati sintetici, e garantiscono la durabilità nel tempo, restando salubri e resistenti. Questi materiali hanno il pregio di "sfasare" l'onda termica, cioè di comportarsi in modo particolarmente positivo durante il periodo dell’anno che mette maggiormente alla prova il sistema energetico: l’estate.
Quindi la risposta alla domanda su cosa possiamo fare oggi per ridurre l’impatto energetico degli edifici è cercare di capire cosa funzionava nel passato, identificare le pratiche migliori e riportarle nel presente, integrandole alla tecnologia e migliorandole con buon senso.
Le rinnovabili sono sicuramente una parte importante della soluzione, ma prima dobbiamo ripensare alla progettazione degli edifici, ponendoci la domanda di quanta energia hanno bisogno. Faccio un esempio molto pratico in un contesto sfidante come quello di Pantelleria, in Sicilia. I dammusi panteschi sono delle costruzioni in pietra secolare, le quali, durante l’estate, garantiscono un comfort di 27 gradi quando fuori ce ne sono 40 per 14 ore del giorno.
Propongo ora un altro scenario che è quello di un edificio completamente vetrato, anche in un comune del Nord Italia, che da aprile a ottobre diventa impraticabile per le elevate temperature se non lo dotiamo di climatizzazione. In un caso del genere, anche se riempissimo la copertura di pannelli fotovoltaici, non riusciremmo a coprire il fabbisogno di energia dell'edificio. Allora le rinnovabili sono il secondo passaggio di un approccio dove al primo posto c'è la riduzione della domanda di energia, ottenuta attraverso la progettazione a monte e la giusta scelta dei materiali, quindi con strategie di tipo passivo, come ad esempio schermature o cappotti. L’approccio attivo significa invece immettere energia e allora ci interessa il concetto di efficienza e di energia rinnovabile.
Se l’edificio è progettato correttamente, la quantità di energia prodotta da fonti rinnovabili è sufficiente ad alimentarlo e soddisfare i bisogni di chi lo abita e utilizza.
È necessario ritornare a fare un po’ più di architettura ed un po’ meno real estate. Come diceva Philippe Daverio, l’architettura è costruire per l'eternità, all’opposto del real estate che costruisce per mere logiche strumentali. L’architettura è nata a partire dai popoli stanziali del Mediterraneo che avevano la necessità di costruire opere che durassero nel tempo, da tramandare alle generazioni successive. Allora è bene fare una riflessione di tipo culturale. Come costruiamo noi oggi? In quale ottica? In Italia il 35% del patrimonio edilizio ha più di 80 anni, cioè è stato costruito prima dell'edilizia industrializzata. Dire questo vuol dire che è stato costruito con pochi materiali, estremamente performanti se li guardiamo da un punto di vista ambientale: performanti nella facilità di riciclo e del riuso e nella salubrità. Con l’avvento dell’edilizia industrializzata questo approccio è andato a cadere. Allora oggi dobbiamo riappropriarci di questa eredità, che rappresenta una fortuna e che, a volte, non riusciamo ad apprezzare a pieno. Le normative attuali ci impongono infatti di analizzare il ciclo di vita di un edificio su un arco di tempo di cinquant'anni, ma ci sono materiali che dopo cinquant'anni iniziano ad acquisire bellezza e che diventano straordinari dopo duecento anni. Dobbiamo allungare le nostre vedute e riniziare a costruire basandoci sui concetti di durabilità e funzionalità.
Questo comporta anche ridurre il nostro impatto sull’ambiente, perché se le nostre case durano di più non andiamo a depauperare lo stock di risorse che la natura ci offre.
È assolutamente importante riflettere sulle abitudini delle persone. Cento anni fa, la persona agiata si spostava di stanza in stanza seguendo il percorso del sole durante la giornata. Le persone meno agiate, invece, piuttosto che riscaldare l’intera casa, mantenevano calda una sola stanza, di solito la cucina, che diventava il cuore della vita familiare. Storicamente, quindi, il calore veniva portato dove serviva. Oggi spesso gli edifici vengono lasciati accesi in ogni ambiente (in termini di illuminazione e climatizzazione), anche dove non è necessario. In questo senso, la tecnologia e i sensori possono aiutarci a riprendere la buona pratica di indirizzare il calore dove è realmente necessario. La tecnologia diventa così un alleato, uno strumento al servizio del contenimento dei consumi, ma si presti attenzione anche all’uso che se ne fa: non deve sostituire il nostro buon senso.
Come dice Renzo Piano, la tecnologia è come un autobus: lo prendi solo se va dove vuoi andare, altrimenti no.
* Alessandro Speccher è un ingegnere, formatore e consulente ambientale con esperienze nazionali e internazionali. Laurea in Ingegneria Ambientale, inizia a lavorare nel contesto degli edifici ambientalmente responsabili nel 2007, prima come assistente del presidente e senior developer di GBC Italia, poi come responsabile formazione e consulente per le più importanti società del settore. Nella sua lunga esperienza come formatore ha contributo alla progettazione di Master universitari ed erogato centinaia di ore di docenze in molte Università e società pubbliche e private. Dal 2014 a oggi ha seguito oltre 500.000 m2 di edifici certificati/in corso di certificazione con i protocolli internazionali LEED, BREEAM e WELL. LBC.
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