10 novembre 2023
Per forza di cose e di entusiasmo non potrò essere tanto breve.
La storia tutta milanese che raccontiamo oggi affonda le sue radici nel lontano 1607 quando il nostro – sottolineo – il nostro cardinal Federico creò la Biblioteca Ambrosiana (la seconda nata in Europa al preciso scopo di essere aperta al pubblico e preceduta di soli cinque anni dalla Bodleian Library di Oxford); dieci anni dopo, col medesimo scopo sociale ed educativo, il cardinale Borromeo affiancò alla Biblioteca la Pinacoteca che egualmente si proponeva di fecondare e sviluppare nella collettività un sapere vivo e multiculturale.
A quelle lontane, nobili e sempre vive, milanesissime radici non è difficile collegare molti altri gesti che di quella cultura cattolica venata di protestantesimo si sono nutriti in moltissimi campi del vivere civile di Milano: dagli ospedali, alle scuole, alla cultura.
È del 1861 il testamento di Gian Giacomo Poldi Pezzoli la cui casa – oggi le chiamiamo case-museo – venne aperta al pubblico il 25 aprile 1881. Il Poldi Pezzoli per i milanesi è come la Madonnina, la Galleria, la Scala…; il Poldi è il padre e la madre di quelle case-museo che, circa un secolo dopo, lo hanno affiancato nel raccontare una caratteristica così importante, identitaria e civile della nostra città; quella dello spirito sociale di chi, come diceva sempre Giulia Maria Crespi, avendo avuto tanto non può non restituire alla collettività almeno una parte di ciò che ha avuto.
Ed ecco Pasino Bagatti Valsecchi che nel 1975 con i suoi figli Pier Fausto, Fausta, Anna e Cristina dona alla collettività la stupefacente casa di famiglia, creando una fondazione che diventa il Museo Bagatti Valsecchi; ecco Antonio Boschi che nel 1988 dona al Comune la casa di via Jan 15 dove abitò e dove con la moglie Marieda Di Stefano raccolse la favolosa collezione che vi è custodita; ecco Nedda e Gigina Necchi che donano al FAI nel 2001 la loro villa di via Mozart con tutti gli arredi e che si arricchirà poi della collezione di Alighiero De Micheli e poi nel 2009 dei capolavori donati da Claudia Gian Ferrari, dei magnifici oggetti d’arte della famiglia Zegna e da ultimo della prestigiosa collezione di disegni della famiglia Sforni.
E oggi eccoci qui a raccontare altre tre nobili storie che si chiamano Crespi, Grandi e Rocca.
Con oggi le case-museo milanesi diventano sei e il FAI ha l’onore di possederne e gestirne per sempre e per tutti ben tre!
Sei case-museo aperte al pubblico (le due che annunciamo oggi apriranno nel 2026) diventano per Milano una caratteristica cittadina di grande peso culturale e sociale; sono la più concreta, nobile e militante testimonianza dello spirito che anima l’articolo 118 della Costituzione ove si incoraggia quel principio di sussidiarietà che deve animare cittadini singoli o associati “per lo svolgimento di attività di interesse generale”. Gesti che portano con sé un esempio alto, nobile e coraggioso che è nostro dovere additare a tutti perché – ognuno nell’ambito delle proprie possibilità e capacità – possano prenderlo in considerazione.
Crespi: questa casa! Si deve all’amico e per tanti anni Consigliere di Amministrazione del FAI avvocato Ezio Antonini se il professor avvocato Alberto Crespi – che aveva già donato al Museo Diocesano di Milano la sua impressionante collezione di Fondi Oro – assieme al fratello Giampaolo e consenzienti e anzi nobilmente incoraggianti i suoi due nipoti Francesco e Monica, decide nel 2013 di donare al FAI la casa costruita e arredata negli anni '30 dai genitori e da allora rimasta assolutamente tale e quale senza che le venisse torto un capello. Il Buon Dio donò una vita molto lunga al prof. Crespi che rimase nel pieno possesso di tutte le sue straordinarie – più uniche che rare vorrei dire – facoltà fino a poche settimane prima di morire a 99 anni nel 2021. Lo venivo spesso a trovare per parlare soprattutto di musica, la passione delle sue viscere; mentre era già un avvocato tra i più celebri d’Italia (ne parlerà tra poco il prof. Anelli) diede da privatista tutti gli esami di musica al Conservatorio; dalla composizione fino alla direzione d’orchestra e di coro, oltre naturalmente a tutti quelli di pianoforte; suonava piano, clavicembalo e organo due ore al giorno tutti i giorni e se in quelle due ore telefonava anche Enrico Cuccia – forse il più celebre e potente tra i suoi pochi e selezionatissimi clienti – sua madre (morta centenaria) rispondeva “Il professore sta suonando”; non ebbe mai infatti né segretaria né dattilografa! Un uomo di un rigore etico, morale e civile, di una intransigenza sia verso se stesso che verso gli altri, di un’intolleranza verso qualsiasi forma di approssimazione o, peggio, di sciatteria e di una onestà intellettuale che incutevano verso di lui, nonostante l’amabile tratto, un rispetto quasi sacrale se non addirittura un motivato timore.
È stata una delle grandi fortune della mia vita l’averlo conosciuto e frequentato e ne ricordo con emozione e gratitudine la grande lezione.
Da oggi e per sempre legati, qui in via Verga, al nome Crespi, i nomi Rocca e Fiocchi.
In un impeto di generosità e civismo culturale, nel momento del fallimento del celeberrimo ristorante Bagutta, Gianfelice Rocca e sua moglie Martina Fiocchi Rocca decidono, con una buona dose di entusiastica dissennatezza, di acquistare all’asta gli oltre 450 pezzi della collezione di dipinti, liste libri, etc… che decoravano le pareti del ristorante ove Riccardo Bacchelli fondò il primo premio letterario italiano.
Un patrimonio culturale e identitario milanese e nazionale tra i più eclatanti del ‘900.
I coniugi Rocca hanno deciso di donare al FAI – accompagnandola con una importante dote che ci consentirà di allestirla al primo piano della casa e di prevedere adeguati depositi e gli indispensabili restauri – l’intera collezione; un gesto di grandissima e concreta attenzione verso Milano e la sua storia culturale e letteraria e sono felice di avere qui oggi l’amico Kerbaker, segretario del Premio Bagutta, col quale avremo molte occasioni di lavoro comune; non posso non inviare oggi il mio saluto e il mio grato ricordo alla mamma di Gianfelice, Andreina Rocca Bassetti, che fin dagli inizi e nei primi anni ruggenti del FAI fu attivissima e appassionata Consigliera di Amministrazione del FAI. Darò tra poco la parola a Gianfelice e Martina.
E infine il terzo nome: Grandi. A questa famiglia, a questa casa, a questi tre fratelli sono legato da un rapporto tanto stretto da potersi dire parentale anche se di sangue comune non ne abbiamo; ma tanta storia comune fin dalla prima giovinezza sì! Il che profondamente mi commuove. Amo quella casa, quello stile, quel modo di vivere, di essere curiosi, presenti nella storia, attenti al prossimo; soprattutto quello che ha bisogno della nostra attenzione per vivere o anche solo per sopravvivere. Lo sono Filippo, Laura e Edoardo, lo erano i loro genitori, i loro nonni; una tradizione di famiglia che fa onore a Milano e che ha nell’understatement un cardine fondante del proprio essere.
Non è una casa, casa Livio–Grandi; è quasi un piccolo borghetto magico e secluso composto da una villa in stile neo-cinquecentesco, una grande casa da appartamenti con portineria in stile neo-quattrocentesco e da un terzo più piccolo edificio anglo-eclettico; tutti e tre si affacciano su una sorta di piazzetta centrale alberata mentre il romantico giardino si apre alle spalle della villa.
Villa e giardino saranno aperti al pubblico con le loro collezioni mentre la casa da appartamenti darà un sostanzioso reddito annuale che consentirà al FAI la perfetta manutenzione dell’intero complesso. Anche i fratelli Grandi hanno accompagnato la donazione con una significativa somma che consentirà di coprire circa la metà dei costi di restauro e valorizzazione. Della importantissima collezione di disegni e incisioni dal primo Quattrocento al primo Ottocento, che sarà il cuore di questa casa-museo, parlerà tra poco il prof. Giovanni Agosti che la studia da parecchi anni.
E infine: musica a Casa Crespi, disegno a Casa Livio-Grandi.
Il poderoso organo Mascioni che avete ascoltato, il magnifico Steinway a coda e il raro clavicembalo Neupert saranno gli strumenti che ci consentiranno di dedicare la casa, oltre alla visita e al racconto del patrimonio Bagutta, a eventi di ogni tipo e dedicati ad ogni fascia di età ma in primis alle scuole, alla comprensione della musica. Non all’ascolto (anche… per forza!) ma alla comprensione: cos’è la chiave di violino, cos’è la chiave di basso, cos’è una fuga, una giga, una sarabanda, una sonata…; Bach – il grande adorato maestro di Alberto Crespi – sarà la pietra angolare sulla quale non potrà non basarsi questa nuova importante attività del FAI che sana un vuoto che personalmente ho sempre sofferto. Daniela Bruno, la Direttrice Culturale del FAI, sarà affiancata nella progettazione di questo innovativo progetto di valorizzazione da Ricciarda Belgiojoso che saluto con affetto.
Musica e disegno: arti accantonate un tempo tanto più riconosciute come elementi fondamentali dell’educazione di una persona colta e che la scuola di oggi relega tra le discipline secondarie… se non inutili.
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