14 dicembre 2020
Gli estremi avvenimenti meteorologici di queste ultime settimane confermano ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto ormai siamo nel pieno della “emergenza climatica”. Anche quest’anno - prendo la Sardegna come esempio emblematico - piogge intense mai registrate per concentrazione in poche ore hanno riversato su territori riarsi dalle calure estive e un territorio urbanizzato senza un’adeguata programmazione e considerazione degli elementi naturali, una quantità d’acqua incredibile che ha causato morti, danni e devastazioni in Provincia di Nuoro.
Ancora una volta, perché ormai non è più un avvenimento inatteso: ogni anno, infatti, tra ottobre e novembre si scatenano fenomeni estremi proprio in quella zona del Mar Tirreno, è successo più volte in Liguria, in Toscana, in Sardegna e fino all’alto Lazio. Le temperature estive a lungo elevate scaldano il mare Mediterraneo oltre misura, concentrando così nelle acque una quantità di energia che all’arrivo delle prime correnti di aria più fredda dall’Oceano Atlantico, passando per la penisola iberica, scatenano fenomeni estremi sulle nostre regioni. Ormai è quasi una certezza.
Questo dovrebbe far pensare a una politica di rigenerazione del territorio che consenta in qualche modo di “mitigare” almeno in parte gli effetti sul terreno di queste precipitazioni fuori controllo in pochissimo tempo. La bioingegneria e la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, oltre ad un ripensamento di alcune scelte urbanistiche dissennate (come ad esempio coprire un torrente o un canale di scarico, costruendoci sopra strade ed edifici) dovrebbero diventare una centralità delle agende politiche delle amministrazioni locali, Regioni e Comuni.
Un altro segnale che dovrebbe portare a una riflessione sono le temperature autunnali che ormai rappresentano un prolungamento della stagione estiva, piuttosto che un graduale avvicinamento alla stagione invernale.
Si è molto parlato di stazioni sciistiche e settimane bianche, ma fino ai primi giorni di dicembre su tutto l’arco alpino, da tutti i versanti la neve era scarsissima e solo ad alta quota, lo zero termico a fine novembre si trovava ancora verso i 3.000 metri di altezza, mentre dovrebbe essere almeno 1.500 metri più in basso.
Le precipitazioni nevose di inizio dicembre probabilmente salveranno l’innevamento di molte stazioni sciistiche, che comunque se ne faranno poco, almeno per qualche settimana ancora viste le limitazioni imposte dalla pandemia Covid, come poi accade dopo questa breve apparizione bianca la meteorologia continentale ci riserva ormai poche giornate di vero inverno e, piuttosto, un lungo autunno spalmato su vari mesi con rari e brevi ondate fresche (fredde è altra cosa) e molte incursioni calde e miti dell’anticiclone africano che ormai si spinge sempre più a Nord, facendo arretrare i ghiacciai alpini e condizionando l’intero clima continentale europeo.
Sempre più spesso infatti apprendiamo di pesanti “disequilibri” soprattutto nelle regioni europee del Nord, dove in Scandinavia ed in Russia abbiamo avuto temperature autunnali mai rilevate in questo periodo dell’anno che fanno seguito a una delle estati più torride nella tundra siberiana. Eventi lontani che non richiamano immediatamente la nostra attenzione come dovrebbero, sono infatti ormai dei segni evidenti che il clima è stato stravolto.
Ci troviamo quindi in una “emergenza climatica” le cui conseguenze saranno certamente più lunghe e dannose della terribile pandemia che stiamo vivendo (sperando appunto che quest’ultima si riduca a epidemia e possa essere tenuta sotto controllo).
Purtroppo c’è una sorta di assuefazione a questi eventi climatici estremi, se ne parla per pochi giorni e poi si ritorna alla normalità.
Le emissioni inquinanti in atmosfera quest’anno si sono minimamente ridotte a livello globale, ovviamente “grazie” ai lockdown e allo stop delle attività nei vari Paesi. Improvvisamente abbiamo visto quali effetti benefici si sono rivelati per la qualità dell’aria.
La “resilienza” della Natura ha dimostrato che quando l’uomo arretra il Pianeta è in grado di recuperare quegli equilibri che la specie umana ha rotto (pandemie comprese).
Come Papa Francesco e molti altri personaggi influenti per fortuna stanno sempre più rilanciando, bisogna ritrovare l’“armonia” tra Uomo e Natura, prendersi cura della Terra e quindi del nostro futuro.
Molto è in capo certamente alle istituzioni e all’economia, esiste però una responsabilità individuale di ognuno di noi, molte piccole o grandi azioni e gesti quotidiani che possono invertire i comportamenti e portare a ritrovare quell’equilibrio del quale abbiamo parlato più volte in questa sede.
Da questo anno di pandemia globale qualcosa abbiamo certamente imparato: anche se non costretti da una serie di lockdown e restrizioni, possiamo fare molto per adeguare i nostri comportamenti verso una “Cultura della Sostenibilità Ambientale”, che è tutto sommato altro non è che il miglioramento della qualità della nostra vita e del Pianeta.
Un primo comportamento virtuoso potrebbe essere l’impegno a mantenere per il 2021 le emissioni inquinanti del 2020, privilegiando l’utilizzo, per esempio, della bicicletta, del monopattino, del mezzo pubblico, invece dell’automobile, della moto o dello scooter per gli spostamenti in città. Sarebbe il segnale di una riconversione ideale che probabilmente ci può essere molto utile anche per evitare nuove pandemie e certamente a vivere meglio.
Il FAI da 45 anni si impegna a creare consapevolezza e conoscenza, anche attraverso un elemento fondamentale della nostra missione, quella di educare le nuove generazioni - con esempi concreti e modelli da applicare, con progetti e campagne volte a dimostrare che insieme “si può” - per ritrovare quella “Cultura della Natura” che ci può riportare anche in tempi brevi a quel rapporto equilibrato con il Pianeta in tutte le sue forme.
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