Intervista a Grammenos Mastrojeni: «Il clima ci unisce tutti»

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Intervista a Grammenos Mastrojeni: «Il clima ci unisce tutti»
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19 novembre 2024

Durante i negoziati della COP29 a Baku in Azerbaijan, abbiamo intervistato Grammenos Mastrojeni, Segretario Generale Aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo: «Gli impatti del cambiamento climatico nel “Mare Nostrum” potrebbero essere devastanti, solo assieme possiamo affrontare la crisi».

Si procede veloci verso la chiusura di COP29, quando nella notte tra lunedì e martedì, i capi di Stato e di Governo del G20, riuniti a Rio De Janeiro, hanno espresso il loro sostegno per il raggiungimento di un accordo finanziario forte al vertice e la necessità di

«accelerare la riforma dell'architettura finanziaria internazionale in modo che possa rispondere alla sfida urgente dello sviluppo sostenibile, del cambiamento climatico e degli sforzi per eliminare la povertà».

Quali azioni servono per rispondere a queste sfide urgenti? E a Baku, come stanno procedendo i negoziati della COP in questa direzione? Lo abbiamo chiesto a Grammenos Mastrojeni, Segretario Generale Aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo, Professore di Sostenibilità, Ambiente e Geostrategia in varie Università, Scuole Superiori e Think Tank, da più di vent’anni si dedica al tema dei cambiamenti climatici.

Che aria tira a COP29? Come sono iniziati e come stanno procedendo i negoziati?

L'avvio dei negoziati non è mai semplice e quest’anno, tra l'annuncio di Trump di uscire dall’Accordo di Parigi e il ritiro della delegazione Argentina, il punto di partenza non è stato dei migliori. Generalmente, le potenzialità di una COP si manifestano verso la fine, quando potrebbe esserci una virata decisiva verso il successo. Vedremo cosa succederà qui a Baku, sta di fatto che la questione centrale di questa COP riguarda la finanza. I numeri che sono girati trai i tavoli sono diversi, in un rimpallo continuo tra Paesi “sviluppati” e “in via di sviluppo”. Il problema a mio avviso è che ci si è lanciati in un negoziato di tipo "contrattuale", che potrebbe non essere l'approccio più efficace. Ormai siamo in una fase di emergenza e, sebbene ci sia un obbligo storico da parte dei paesi più industrializzati, la vera questione è che ognuno deve mettere il massimo che può, ciascuno aiutando a valorizzare le potenzialità dell'altro.

In altre parole, mentre i Paesi industrializzati possono fare significativi progressi nella riduzione dei combustibili fossili e nell'adozione di tecnologie meno inquinanti, contribuendo anche significativamente alla mobilitazione delle risorse, i Paesi in via di sviluppo potrebbero mettere a disposizione i loro territori, gestendoli in modo da favorire l’assorbimento del carbonio.

In questa direzione, quali sono le iniziative dell'Unione per il Mediterraneo per affrontare le sfide climatiche nella regione e quale visione guida queste azioni?

L'Unione per il Mediterraneo, alla COP29, porta un messaggio chiaro: il clima ci unisce tutti.

I dati, infatti, ci dicono che il mondo si sta riscaldando a velocità allarmanti e con esso l'Europa e la regione mediterranea, che detengono già primati preoccupanti, con tutti i terribili impatti che ne derivano. Impatti che nel Mediterraneo potrebbero essere devastanti, alimentando conflitti tra le due sponde, dove ancora permangono fragilità e forti diseguaglianze.

Per questo motivo, la nostra proposta è chiara: solo "assieme possiamo" affrontare la crisi.

In questo contesto, abbiamo lanciato l’iniziativa Tera Med, una sfida che rivolgiamo a tutti i Paesi dell'area mediterranea. Si tratta di un progetto ambizioso, che mira a installare 1 TW di capacità energetica rinnovabile nella regione entro il 2030. Le fonti rinnovabili stanno infatti diventando sempre più competitive sul mercato e la nostra sfida consiste nell’eliminare gli ostacoli che ne impediscono la diffusione in tutta l’area. L'integrazione dei mercati energetici potrebbe così portare a una distribuzione più equa delle risorse e delle ricchezze, un passo fondamentale per garantire maggiore giustizia. In questo processo, non si tratta infatti di affrontare solo le sfide climatiche e ambientali, ma anche di costruire la pace, là dove spesso è mancata, creando un futuro più collaborativo e sostenibile per tutti.

Quale ruolo potrebbe giocare il patrimonio materiale e immateriale del Mediterraneo e, in particolare, le conoscenze tradizionali nel rispondere alle sfide ambientali e climatiche della regione?

Il patrimonio materiale e immateriale tradizionale può rivelarsi una risorsa straordinaria. Un patrimonio di cui il Mediterraneo è ricco e che merita di essere valorizzato. Questo patrimonio ci offre conoscenze antiche e straordinarie che, in parte, abbiamo dimenticato o che, pur conoscendo, non riteniamo più economicamente rilevanti. Alla COP, per esempio, si parla spesso di trasferimento di tecnologia, ma sarebbe più opportuno parlare di scambio di conoscenze.

Se consideriamo che tra venti o trent’anni il clima del Sud Europa sarà simile a quello attuale del Marocco o della Tunisia, potremmo trovare nel patrimonio culturale di questi Paesi soluzioni già collaudate.

Gli esempi sono molteplici: dai qanat alle torri del vento, passando per antiche tecniche di irrigazione e conservazione dell’acqua a tecniche costruttive che permettono di raffrescare naturalmente gli ambienti.

Il Mediterraneo è una regione caratterizzata da un’intensa ricchezza di questo patrimonio materiale e immateriale, in un contesto territoriale di grande diversità, e offre soluzioni utili a rispondere alle sfide ambientali e climatiche.

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Tornando alla COP quali potrebbero essere gli ostacoli principali alla sua riuscita e quali elementi offrono speranza per un progresso concreto verso la lotta ai cambiamenti climatici?

Un primo ostacolo alla conclusione positiva del negoziato è la persistente percezione che la finanza climatica sottragga ricchezza, quando in realtà genera molteplici attività economiche. La finanza privata ha ormai compreso questo concetto e credo che questa sia una strada di speranza. Il settore finanziario ha capito che "sostenibile" conviene: gli investimenti in sostenibilità creano un ciclo economico e generano notevoli ritorni. Se il negoziato fosse orientato su questa prospettiva – ossia che tutti possano guadagnare, e che se tu hai un potenziale, io ti aiuto a realizzarlo – il processo sarebbe sicuramente più costruttivo e fluido. Invece, ci si impantana: i negoziatori sembrano concentrarsi su logiche di guadagno e perdita legate a cifre, ma sembra che il problema di un clima prossimo al collasso venga messo da parte. Si tratta di un negoziato che, in alcuni casi, appare scollegato dalla gravità della situazione. Tuttavia, c'è un ruolo crescente della società civile, la cui presenza negli ultimi anni sta aiutando a riportare il negoziato a contatto con la realtà.

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