20 luglio 2022
Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro, scriveva Giuseppe Ungaretti nella poesia del 1916 “San Martino del Carso”, tratteggiando uno scenario che rischia di riproporsi non per colpa di un conflitto ma, questa volta, a causa del gravissimo incendio che da qualche giorno sta devastando i boschi di conifere del Carso, l’altopiano roccioso al confine fra l’Italia e la Slovenia, già teatro della Grande Guerra.
«Il rogo che sta letteralmente riducendo in cenere la regione carsica è un evento eccezionale. A mia memoria non è mai accaduto un fenomeno di tali proporzioni nella Venezia Giulia. La prima cittadina di Monfalcone ha invitato la popolazione a rimanere in casa e uscire solo con la mascherina FFP2 per proteggersi, non dal Covid, ma dalla pessima qualità dell’aria sprigionata dai fumi dell’incendio e molto dannosa per la salute. A causa del fumo, ha chiuso addirittura il grosso impianto Fincantieri», ha dichiarato la Presidente Regionale FAI del Friuli Venezia Giulia Tiziana Sandrinelli.
Più che mai in quest’estate “bollente” – come l’ha definita il nostro Vicepresidente Maurizio Rivolta – le fiamme divampano in Italia, in Europa e non solo.
L’abbiamo ribadito lo scorso anno allarmati dai roghi che avevano distrutto la Riserva naturale del Catillo a Tivoli e lo ripetiamo ancora: incendi estesi e inarrestabili sono la drammatica conseguenza del riscaldamento globale che a causa dell’estrema intensità di siccità prolungate, picchi record delle temperature e ondate anomale di calore, crea condizioni sempre più favorevoli per eventi potenzialmente disastrosi per la natura e l’uomo. Se lo zero termico in queste settimane di luglio si raggiunge a 4.800 metri (l’altezza del Monte Bianco), vuol dire che le Alpi sono in estrema sofferenza e l’abbiamo drammaticamente osservato, impotenti, lo scorso 3 luglio con il crollo del ghiacciaio della Marmolada.
«Per le fiamme del Carso non possiamo puntare il dito verso nessuno, se non verso noi stessi, noi umani», afferma Tiziana Sandrinelli e continua: «Non stiamo facendo abbastanza per modificare i nostri comportamenti. È arrivato il momento di assumerci la nostra responsabilità sugli effetti del cambiamento climatico, non possiamo continuare a mettere la testa sotto la sabbia, dobbiamo cambiare e convertire subito i nostri stili di vita: non abbiamo trent’anni davanti, forse neanche venti».
In realtà il punto di non ritorno ce lo indica espressamente il Climate Clock, il “grande orologio” del clima: secondo i calcoli dell’IPCC (il Gruppo Intergovernativo delle Nazioni Unite sul Clima) mancano sette anni per agire sulle nostre emissioni di gas serra prima che le temperature della Terra aumentino oltre i 1,5 gradi stabiliti come limite massimo dall'Accordo di Parigi.
Non c’è proprio più tempo.