20 novembre 2023
Domenica 19 novembre è tornato a suonare il maestoso organo del Duomo Vecchio di Brescia: un raffinato gioiello, frutto dell’incontro tra due mirabili artigiani organari, i bresciani Antegnati e i bergamaschi Serassi, votato alla settima edizione de “I Luoghi del Cuore” da 20.254 persone.
Al censimento del 2014 una mobilitazione appassionata da parte dei cittadini, sostenuta dalla Delegazione FAI di Brescia aveva consentito all’Organo del Duomo Vecchio di posizionarsi al 12° posto della classifica nazionale dei beni più amati.
Spesso le raccolte di voti sono mosse dal desiderio di cura di un Bene ritenuto di valore identitario per la sua comunità e, infatti, l’organo si trovava in pessime condizioni di conservazione, con le canne – ben 1.300 – aggredite dal “cancro dello stagno”, che le stava corrodendo in modo irreversibile.
Grazie al risultato conseguito al censimento e alla richiesta di sostegno presentata dalla Parrocchia della Cattedrale di Brescia, nel 2015 FAI e Intesa Sanpaolo hanno messo a disposizione un contributo di 10.000 euro che, insieme ai 51.000 euro stanziati dalla CEI e alla collaborazione del Comune di Brescia, proprietario del Duomo Vecchio, hanno permesso di avviare il restauro conservativo dell’antico strumento. Ulteriori contributi si sono aggiunti negli anni successivi, per sostenere un intervento risultato più complesso, ma anche più sorprendente, rispetto a quanto preventivato.
Le condizioni dell’organo erano precarie sotto molteplici aspetti: oltre alla corrosione, lo strumento presentava lacune, ammaccature e cedimenti ai piedi delle canne e anche le parti in pelle – guarnizioni e manticeria – andavano sostituite. Un restauro in situ era impossibile: lo strumento è stato dunque smontato e sottoposto a un lungo e complesso restauro, iniziato a marzo 2017, presso la Ditta Mascioni di Azzio (VA), specializzata nel recupero di organi storici.
Nel Duomo è rimasta la cassa lignea rinascimentale, opera dello scultore bolognese Battista Piantavigna (1537), anch’essa oggetto di restauro. Nel corso nell’intervento, sulle porzioni di muro ai due lati dello strumento, erano emersi frammenti affrescati sotto uno strato di intonaco bianco, steso in un momento storico imprecisato.
Una volta rimosso, è stato ritrovato un vero e proprio ciclo pittorico: una scoperta eccezionale, che ha permesso di riportare alla luce le scene ritenute perdute, ma citate in una fonte manoscritta seicentesca, realizzate dal grande pittore Girolamo Romanino.
Nativo di Brescia – tele e affreschi sono conservati in diversi luoghi della città – fu tra i protagonisti della pittura lombarda del Rinascimento, fondendo l’espressività caratteristica del territorio, con influssi veneti, derivati dalla sua formazione in Laguna, a contatto con le opere di Giorgione e Tiziano.
L’autografia non è in discussione: Romanino fu infatti autore, nel 1539, delle ante dipinte che, come da tradizione, chiudono l’organo trasformandolo in una sorta di grande pala d’altare, per essere aperte quando lo strumento suona.
Ai lati dell’organo sono apparse dodici figure: otto di musici e quattro di astanti, due per lato, che quindi prolungano scenograficamente oltre l’organo le scene dipinte sulle sue ante. Queste ultime, che raffigurano Natività, Sposalizio e Visitazione della Vergine, sono state riposizionate nella loro collocazione originale: i telai sono stati fissati alle colonne girevoli che fiancheggiano le canne dell'organo.
D’ora in poi sarà quindi possibile ascoltare la straordinaria musicalità dell'organo e ammirare i dipinti di Romanino sia ad ante aperte, sia ad ante chiuse.
Nel 1533, quando venne pubblicato il trattato Scintille di musica di Giovanni Maria Lanfranco, gli organi Antegnati erano famosi per la loro qualità:
«Organi così ben lavorati che non da mano di homo, ma da natura creati paiono, con la sua accordatura così fatta, che ciascuna circonferenza delle sue canne intera, rotonda e immaculata resta».
Lo strumento bresciano era stato realizzato da Giovanni Giacomo Antegnati tra il 1536 e il 1538 e nel 1589 Costanzo Antegnati specificò che «l'organo ch'ora si suona nel nostro Domo è stimato uno de' migliori e più famosi ch'oggi si sentino in tutta Italia».
I materiali utilizzati, fra i più antichi presenti nel territorio nazionale, producono infatti sonorità argentine che possono essere usate in decine di amalgami e combinazioni timbriche sempre diverse. La sua acustica è talmente eccezionale che l’importante intervento di restauro affidato nel 1826 alla rinomata ditta dei Fratelli Serassi li vincolò a mantenerne il materiale fonico e in particolare il pregiato canneggio Antegnati, che ancora oggi rende lo strumento del Duomo Vecchio, per qualità e quantità dei materiali conservati, uno degli esemplari più importanti e pregevoli dell'organaria rinascimentale italiana.
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