22 marzo 2024
Non basta quello che stiamo vivendo: lo stato di emergenza per le falde idriche esaurite in Spagna, la Sicilia che decreta il riutilizzo degli scarichi di fogna per irrigare i campi, il canale di Panama semichiuso da sei mesi per siccità, l’Emilia Romagna ancora alle prese con le ferite dell’alluvione della scorsa primavera, la stagione degli incendi già iniziata in un Paese non esattamente tropicale come il Canada.
«È inutile. Non riusciamo a comunicare l’urgenza del problema. La crisi dell’acqua avanza senza che si faccia nulla per correre ai ripari».
Andrea Rinaldo è sconsolato. Professore di idrologia e costruzioni idrauliche all’Università di Padova e al Politecnico di Losanna, vincitore l’anno scorso dello Stockholm Water Prize o “Nobel dell’acqua”, ex rugbista professionista non sprovvisto di grinta, proverà oggi a fare breccia con un convegno all’Accademia dei Lincei a Roma, proprio in occasione della Giornata mondiale dell’acqua.
«Della siccità e del suo opposto: le inondazioni. Sono le due facce di una stessa medaglia: la crisi del clima causata dall’uomo con le sue emissioni di gas serra. Per ogni grado di aumento della temperatura, l’atmosfera trattiene tra il 6% e l'8% in più di vapore acqueo. Le bombe d’acqua si spiegano così»
«L’eccezionalità del cambiamento che è davanti ai nostri occhi. Il clima ciclicamente è sempre variato sulla Terra, ma non con la velocità di oggi. Il riscaldamento che stiamo vivendo grosso modo dagli anni Cinquanta è qualcosa di mai visto prima nella storia della Terra».
«Un’Italia lenta nell’adattarsi. Eppure, dobbiamo chiederci oggi quali soluzioni trovare per irrigare i nostri campi, o non riusciremo a fare agricoltura. Non potremo più permetterci di lavare l’auto con l’acqua potabile e ogni pioggia forte causerà un’alluvione, se il caso vorrà che cada su uno dei tanti bacini fluviali medio-piccoli incapaci di reggere una piena, come avvenuto l’anno scorso in Emilia Romagna. Se non affrontiamo il problema subito, anche Venezia, la mia città, marcirà del tutto».
«Entro la fine del secolo – e non sono le previsioni più pessimistiche – avremo un metro in più di medio mare, sia per l’aumento del livello delle acque sia per la subsidenza, che fa sprofondare il centro urbano. Per salvare la città dovremmo tenere alzate le paratie del Mose 260 giorni all’anno, trasformando la laguna in uno stagno. Altrimenti il sale corroderà le mura della città e di rovine».
«C’è chi, riprendendo il futurista Marinetti, vorrebbe veder sfrecciare le auto su un Canal Grande completamente asfaltato. Interrare Venezia non deve essere una soluzione. Credo che la strada maestra sia quella di avviare un concorso di idee internazionale per immaginare una Venezia vitale anche fra cent’anni. Va fatto adesso, però. Non c’è più tempo».
«No, e penso che senza il coinvolgimento dei giovani, il senso civico di ciascuno di noi e l’intervento pubblico non andremo lontano. Il problema dell’acqua ormai tocca la casalinga di Voghera, il macellaio di Melbourne e perfino il re di Svezia, che sembrava turbato quando l’ho incontrato. L’ho invitato a guardare le foto satellitari dell’angolo più arido del pianeta, nel Sahel, dove non cade una goccia d’acqua da 38 anni: tra le dune si intravedono antichi letti di fiumi, oggi prosciugati. Per evitarlo possiamo guardare a Paesi come Israele, dove nessuno si sogna di sprecare acqua, quasi il 90% delle acque reflue trattate sono usate per l’irrigazione (che è centellinata) e le case vengono costruite con un doppio sistema idraulico: uno per le acque nere, scartate, e uno per le acque grigie, riutilizzate per lavare l’auto o innaffiare il prato. Quel che manca viene prodotto con i desalinizzatori. Poco però, perché è un sistema che costa. In qualche località costiera potremmo farvi ricorso anche noi».
«Non sarà il mercato a risolvere la crisi climatica. Per tamponare i danni del cambiamento climatico è necessario l’intervento pubblico. Guardiamo all’accaparramento dei terreni più adatti all’agricoltura da parte della Cina, soprattutto in Africa, o allo sfruttamento delle risorse perpetrato fino a ieri dai Paesi occidentali nei Paesi ai quali oggi chiedono sacrifici per il clima. Se affidassimo al mercato la soluzione dei problemi di Venezia, l’avrebbero già trasformata in un parco tematico o in un acquario dove ammirare l’acqua che sale».
Intervista di Elena Dusi
Articolo apparso su “la Repubblica” il 22 marzo 2024
Pubblicazione per gentile con cessione di “La repubblica”
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